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Reckless Racing

Un gioco per iPhone mostra che l’evoluzione autoriale dei videogames non è solo per supporti complessi

09 Settembre 2011

41.912432,12.525966 sono le coordinate esatte dell’abitazione di Francesco Pacifico. Un luogo situato in un punto preciso da cui, se fossimo su Google Earth, potremmo zoomare all’indietro fino a includere più vaste porzioni del pianeta. Qualcosa di molto simile lo si può fare anche con l’arte – che sia letteratura, cinema o musica. Partire da un momento o da un punto preciso – il passo di un libro, il minuto di una canzone, il frame di un film – per riconnettersi al tutto di un discorso culturale più ampio. Questo è quello che farà lo scrittore Francesco Pacifico ogni venerdì per Studio.

Cadere nel fiume giocando guidando la macchina di Cleto in Reckless Racing

Ho giocato per tutto agosto con Reckless Racing, un gioco di corse in macchina per iPhone e iPad che ha una caratteristica: è uno dei pochi giochi di corse seri che rompe con la classica e indiscutibile visione soggettiva della corsa. Il gioco punta molto sul piacere della grafica e degli scenari. Il tema del gioco sono le corse da bifolchi americani. C’è la corsa nel sito in costruzione, dove si va a sbattere contro lamiere, si salta su rampe; c’è “Hick-E Mart”, come dire il supermercato dei burini, che è una corsa in una cittadina sul mare, dove si sgomma nel parking lot vuoto e sul lungo mare; c’è la corsa sull’isola male illuminata, dove si può finire contro gli scogli e in mare nella notte buia; e la corsa tutta in derapata su una pista sul lago ghiacciato. La musica di sottofondo è country col banjo, e i piloti delle macchine si chiamano Cletus, Bubba, Lurlene, Otis (Otis nella sua icona è senza denti e con le basette). La guida ruota tutta sul piacere delle sgommate (“side-ways is the best way”), le macchine finiscono nel fiume in maniera molto soddisfacente. La fisica non è realistica, ma nemmeno troppo caricaturale.

Il punto del gioco, però, è che al di là del gusto delle sgommate questo è davvero un gioco fatto per godersi il panorama. Certo, panorama non è il modo migliore per dirlo, visto che la visuale è dal cielo verso terra, quindi è come giocare su Google Maps. è che non si dimentica mai di dove ci si trova. La gioia del gioco sta nei cortili, nelle staccionate sfasciate dalle macchine, nelle rampe, nel presepe di laghetti e pali del telefono, ombre sull’asfalto dissestato, i cassonetti, i ponti di legno, la strada sterrata che si avvita intorno ai massi, le casette col tetto a punta.

La visione dall’alto rende scomoda la guida perché “sinistra” e “destra” diventano complicati da ricordare visto che la macchina si muove e la terra resta ferma e bisogna fare quindi un esercizio di relativismo. Ma forse quella visione più oggettiva che nei giochi in prima persona permettere di apprezzare meglio la dinamica della sgommata, della terra che ti sfila da sotto le ruote. Senza contare che quando ti cappotti puoi continuare ad ammirare il paesaggio…

Il fascino di questo gioco è che fa godere chi gioca, gli procura un piacere e una pace che rendono meno ansiosa la ricerca della vittoria. Sono ritratti di vita di campagna, un po’ idealizzati e un po’ ironici, che fanno sentire meno l’ansia del gioco. Palme, alberelli, giornate di sole, pomeriggi sul ghiaccio, derapate sulla curva che dà sul mare. Trovandomi incapace di definire esattamente a quale visione della vita rurale si ispira questo gioco mi viene di dire che è un’opera d’arte narrativa consapevole, in grado di raccontarmi un mondo con dei trucchi, delle idee, dei ricordi, e un’autentica ispirazione.

Le dimensioni dell’iPhone hanno evidentemente richiesto ai programmatori di giochi di trovare idee nuove e di uscire dagli schemi del gioco da console, di puntare sulla giocabilità più che sulla grafica o sulla complessità del gioco-mondo. Un po’ come quando negli anni Novanta andava la musica lo-fi. Le circostanze pratiche – niente studi di registrazione, solo un quattro piste – rendevano possibile una musica inventiva che aveva altro da dare che i production values.

Mentre giocavo a Reckless Racing sono rimasto colpito dalla cura della grafica e, ignaro di tutto, mi sono comunque detto che non sembrava il gioco fatto da un programmatore qualunque, da solo. Poi ho scoperto che è della Elettronic Arts. Quindi un grosso marchio. Per un gioco che al di là della cura con cui è fatto non sembra un gioco da grande casa. Insomma il grosso marchio ha puntato su quello che posso definire esteticamente un gioco indie.

Ora: i giochi di macchine in soggettiva sono bellissimi, e Reckless Racing non è rivoluzionario, semmai un po’ retro, ma comunque non è che deve interrompere la tradizione del gioco di corse in soggettiva. Detto ciò, mi ha colpito, in fondo, perché getta una luce sugli aspetti narrativi del videogioco.

Uitimamente si parla del valore narrativo del videogioco e ho sentito dire spesso che il videogioco diventerà arte quando potrà dire qualcosa di profondo sulle scelte morali dei personaggi. Lo si dice tipicamente dei giochi complessi in cui i personaggi devono decidere se ottenere qualcosa uccidendo o in altro modo.

Sulla questione videogiochi e arte vorrei dire una cosa di portata minore: le arti narrative sono caratterizzate da una dinamica eterna e sempre rinegoziata tra i personaggi della storia e le circostanze, dove l’autore del racconto decide quanto peso dare alla descrizione delle circostanze, e quanto peso dare ai protagonisti e dunque allo sforzo di suscitare, nel fruitore dell’opera, empatia col protagonista. Non può esserci empatia se si racconta un soggetto privo di contesto, quindi il contesto avrà sempre un ruolo importante, ma nel decidere come e quanto intensamente raccontarlo sta una parte consistente e affascinante del processo creativo.

Sotto questo profilo i videogiochi già condividono un problema con le arti narrative: il soggetto è il personaggio che usiamo: nelle corse è un pilota, e le circostanze sono le piste e l’ambiente in generale della corsa.

L’empatia col pilota è semplice e perfetta: deve correre e non schiantarsi, vincere e non uscire di pista. Se esce di pista soffriamo con lui – siamo lui che finisce nel fosso o contro un albero. Quanto alle circostanze… guarda che belle le montagne sullo sfondo! Ho un nanosecondo per guardarle che devo correre, ma sono consapevole che ci sono delle belle cime innevate, o un tramonto sul mare. E così i giochi in soggettiva hanno mantenuto l’idea della soggettiva perché era il modo più bello e intenso per raccontare l’esperienza di guida; intanto, seguendo i progressi tecnologici delle console, hanno sviluppato sempre meglio quegli scenari realistici da guardare con la coda dell’occhio, mentre siamo fissi con gli occhi sulla strada e le cose scorrono accanto troppo veloci, essendo noi in soggettiva, per poterle ammirare. Insomma hanno privilegiato il racconto del protagonista rispetto alla descrizione dell’ambiente: l’hanno fatto anche laddove i giochi sono curatissimi, e l’hanno fatto per un motivo: quando gli scenari ci scorrono accanto, tendono a sparire prima ancora che li apprezziamo. Reckless Racing non ha questo problema, perché si basa su una scelta creativa diversa: riprendendo la scena dall’alto, noi ci sentiamo meno immedesimati nella macchina, ma teniamo sempre tutta la scena insieme in un colpo d’occhio – la macchina, le curve avanti, la strada percorsa dietro – e siamo dunque meno assorbiti dalla pura traiettoria della corsa: possiamo così rimanere consapevoli dei luoghi ameni o buffi o sfasciati attraversati dalle piste. È come se il creatore avesse scelto di inventarsi una trovata per dare più peso alla descrizione della corsa che all’emozione empatica col pilota.

Al di là dei suoi meriti come gioco, Reckless Racing mi ha fatto sentire cos’è la freschezza di un’invenzione narrativa. Mi ha fatto pensare che il videogioco è arte semplicemente perché il suo creatore, un artista, può scegliere cosa farmi vedere e cosa farmi sentire, e come influenzare la mia esperienza.

In più, laddove io trovavo che tra iPhone e console si giocasse la sfida dell’ipercomplesso contro l’ipersemplice – per dire: Gears of War contro Angry Birds – Reckless Racing mostra che ci possono essere vie di mezzo, anzi moltissime vie di mezzo, e che la realtà può essere raccontata in tanti modi e liberarci l’immaginazione.

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