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Nel suo primo viaggio diplomatico all’estero, il ministro degli Esteri afghano ha dovuto affrontare un grosso problema: le giornaliste Ospite in India, Amir Khan Muttaqi ha cercato in tutti i modi di evitare di rispondere alle domande delle giornaliste, escludendole anche dalle conferenze stampa.
Temu ha raddoppiato i guadagni in Europa nonostante una forza lavoro composta da otto dipendenti soltanto Otto persone per gestire gli ordini, il servizio clienti, il sito, oltre alla parte burocratica, amministrativa e fiscale.
Il Time ha dedicato la copertina a Trump ma lui si è offeso perché nella foto sembra che gli abbiano cancellato i capelli Il Presidente degli Stati Uniti d'America ha commentato così: «La più brutta foto di tutti i tempi».
Il Presidente del Madagascar è fuggito dal Paese per paura di essere ucciso ma rifiuta comunque di dimettersi Al momento nessuno sa dove si trovi Andry Rajoelina, ma lui sostiene di poter comunque continuare a fare il Presidente del Madagascar.
Maria Grazia Chiuri è la nuova direttrice creativa di Fendi La stilista debutterà alla prossima fashion week di Milano, nel febbraio 2026, e curerà tutte le linee: donna, uomo e couture.
Dopo il Nobel per la Pace vinto da Maria Corina Machado, il Venezuela ha chiuso improvvisamente la sua ambasciata a Oslo Una scelta che il governo di Maduro ha spiegato come una semplice «ristrutturazione del servizio diplomatico».
Giorgio Parisi, il fisico, si è ritrovato a sua insaputa presidente di una commissione del Ministero della salute perché al ministero lo hanno confuso con Attilio Parisi, medico E adesso sembra che nessuno al ministero riesca a trovare una maniera di risolvere il problema.

Il popolo degli alberi di Hanya Yanagihara è un libro strepitoso

Il primo libro dell'autrice di Una vita come tante, appena pubblicato da Feltrinelli, è una storia apparentemente lontana ma in realtà molto vicina.

20 Novembre 2020

Prima che lo prendessi in mano qualche giorno fa, erano almeno due anni che The people in the Tree giaceva, intonso e indisturbato, nella mia libreria: un po’ per pigrizia – leggere in inglese è più faticoso, almeno per me – un po’ perché col passare del tempo avevo superato l’ossessione per la sua autrice, Hanya Yanagihara, scrittrice statunitense di origini hawaiane che è anche editor in chief del T Magazine, tra gli style magazine più fighi della terra. Ma un po’ anche perché, a dire la verità, non è che quel romanzo mi attirasse più di tanto, non come l’altro libro di Yanagihara che avevo letto, che è stato il primo ad arrivare in Italia ma in realtà è il suo secondo. Dopo aver vissuto diverse settimane tormentata dai personaggi di Una vita come tante (Sellerio), e aver condannato allo stesso destino gli amici a cui l’ho consigliato («che sofferenza, ti odio», mi dicevano, «ma non riesco a smettere di leggerlo»), temevo che Il popolo degli alberi (negli Usa è uscito nel 2013, è il suo primo libro) non si sarebbe rivelato ugualmente coinvolgente. Al contrario, si è rivelato una conferma: come scrive Francesco Pacifico, che l’ha tradotto, «Hanya Hanagihara è una scrittrice unica al mondo. Il suo virtuosismo letterario sembra un atto di guerriglia politica»

Una vita come tante (finalista al Man Booker Prize e al National Book Award) è una storia urbana, contemporanea. Almeno all’inizio, fa credere al lettore che quelle che racconterà saranno delle esistenze abbastanza “normali” (lo dice anche il titolo). Il popolo degli alberi, invece, è stranissimo fin da subito: ambientato qualche decennio prima di oggi, parla di un medico che va in spedizione su un’isola sperduta della Micronesia e che, studiando la tribù che la popola, scopre una malattia che rende le persone quasi immortali. Cerca di sfruttarla per ottenere una cura per l’invecchiamento ma non ci riesce, vince comunque il premio Nobel per aver scoperto la malattia, ma alla fine alcuni dei quaranta e passa figli che aveva adottato sull’isola lo accusano di pedofilia e lui finisce in carcere.

In realtà, anche Una vita come tante è un oggetto stranissimo. Dopo un inizio corale che racconta la vita di quattro ragazzi a New York e svela le storie molto diverse delle loro famiglie e, soprattutto, le loro ambizioni (tutti e quattro raggiungeranno il successo, ognuno nel proprio campo) la storia si stringe su uno di loro, l’avvocato Jude, sulla sua esistenza segnata da gravi problemi fisici e traumi psicologici, sul difficilissimo percorso che lo conduce ad accettare e vivere la sua omosessualità e tantissime altre cose che non si possono dire perché una parte fondamentale del funzionamento dei libri di Yanagihara sono i colpi di scena. Un mattone di 1100 pagine magnetico e devastante: l’autrice è stata osannata dalla comunità gay e dalla maggior parte dei critici, ma anche accusata di spingersi troppo in là nella descrizione della sofferenza fisica e mentale (“pornografia del dolore”, ha detto qualcuno). Il libro ha funzionato molto bene anche sui social grazie alla splendida copertina con la foto “Orgasmic Man” di Peter Hujar. La smorfia che sembra di dolore del soggetto ritratto, in realtà, è la sua espressione nel momento dell’orgasmo. Non poteva esistere immagine più perfetta per un romanzo del genere.

Anche la foto sulla copertina dell’edizione italiana di Il popolo degli alberi (Feltrinelli, in libreria dal 19 novembre) è di Peter Hujar: “Joseph Raffael ai Giardini Botanici, 1956” (Hanya Yanagihara la descriveva in questa gallery fotografica curata per il Guardian). Il libro, che l’autrice dedica a suo padre, ematologo e oncologo hawaiano, si ispira alla vera storia del virologo Daniel Carleton Gajdusek, che nel 1976 vinse un premio Nobel per aver identificato una malattia mortale in una remota tribù della Papua Nuova Guinea e nel 1997 è stato arrestato per aver abusato sessualmente dei bambini nativi che aveva adottato. Il libro è scritto come se fosse la biografia di un uomo simile: Norton Perina vince il Premio Nobel per la Medicina nel 1974 per aver scoperto la sindrome di Selene, una malattia che si contrae mangiando una rara tartaruga e ritarda l’invecchiamento: il corpo di chi ne è affetto può vivere per secoli e conserva la giovinezza anche quando la mente comincia a deteriorarsi. È sull’isola micronesiana dove ha fatto questa scoperta che Perina adotta 43 figli, alcuni dei quali, anni dopo, riveleranno di essere stati vittime delle sue molestie.

Non solo il libro è un finto memoir, ma è dotato di una cornice geniale. Le memorie scritte da Norton Perina mentre è in prigione – caratterizzate da un punto di vista originalissimo su ogni aspetto della sua vita (l’infanzia, la madre, il padre, il fratello gemello, l’università di medicina, la bellezza, e molto altro) e da un tono insopportabile, arrogante, cinico, crudele (e per questo letterariamente riuscitissimo) – sono introdotte (e continuamente commentate con pedanti note a piè di pagina) dalla voce ridicolmente umile del suo migliore amico e leccapiedi, convinto che le accuse di pedofilia, vere o false che siano, non dovrebbero in alcun modo intaccare l’importanza della sua scoperta per la scienza (che, tra le altre cose, ha causato la devastazione della flora e della fauna dell’isola: uno stupro ecologico e culturale).Tutti vogliono cancellare Norton Perina, ma lui vuole dimostrare che è una persona troppo importante per essere rinnegata o dimenticata, e lo sprona a scrivere le sue memorie. Ci troviamo quindi a dover interpretare (e giudicare moralmente, e interrogare, e mettere in dubbio) tutto quello che ci raccontano due narratori totalmente inaffidabili (uno peggio dell’altro) che riportano dal loro punto di vista una storia di potere, successo e prevaricazione, arroganza occidentale, vanità intellettuale, disintegrazione ecologica in nome della scienza, colonizzazione: ma questo lo capiremo soltanto alla fine, dopo aver seguito come in trance, ancora una volta, tutta la storia fino all’ultima pagina, ipnotizzati.

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