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La storia dello champagne comunista voluto da Stalin

Citando Stalin, «non si può fare una rivoluzione portando i guanti di seta», ma forse sorseggiando champagne sì. Prima che radical chic diventasse l’epiteto infamante con cui screditare la sinistra (o almeno una parte), fu lo stesso autoritario leader sovietico a farsi “champagne socialist”. Perché quando i capi di Stato sono ossessionati da un determinato cibo o bevanda, l’intero modo in cui il Paese mangia può cambiare. E a Stalin piaceva lo champagne.
Come riporta Atlas Obscura, raccontando la storia della nascita dello spumante sovietico, lo Sovetskoye Shampanskoye, tre anni dopo la profonda carestia che attraversò l’Unione Sovietica, il Cremlino rivolse la propria attenzione alla mancanza di bollicine. Dopo aver bloccato l’importazione della bevanda (che arrivava in Russia dalla Francia, e che era troppo cara per la popolazione), il 28 Luglio 1936 in una riunione del Pcus fu deliberata una risoluzione che impegnava il governo sulla produzione di uno champagne che fosse sovietico. L’idea venne appunto direttamente da Stalin, nato nella Repubblica democratica della Georgia, la culla più antica al mondo della cultura vinicola. «Lo Champagne è un importante segno di benessere», diceva, altro che la promessa leniniana di “pane e pace”. Nel tentativo di dimostrare che l’Unione Sovietica avesse molto più da offrire, «gli venne l’idea di rendere disponibili cose come spumante, caviale e cioccolato a un prezzo piuttosto basso, in modo da poter dire che il lavoratore sovietico tipo viveva come gli aristocratici nel vecchio mondo», spiega Jukka Gronow, autore di Caviar with Champagne; il lusso comune e l’ideale della bella vita nella Russia di Stalin. Al fine di trasformare in realtà una simile retorica, il governo sovietico avviò quindi un piano per la costruzione di nuovi vigneti, di fabbriche e magazzini, nonché il reclutamento e la formazione di migliaia di nuovi lavoratori.
Ma lo stato della viticoltura sovietica rese complicata la realizzazione del progetto. Dopo molti esperimenti, si optò per una miscela di uva Aligoté e Chardonnay, e per una tecnologia che prevedeva un processo di maturazione di appena 25 giorni, rispondendo così solo all’esigenza di dare uno spumante alle masse, ma non di produrre una bevanda di qualità (per nasconderne l’acidità il sapore venne ulteriormente alterato aggiungendovi lo zucchero). Alla fine del decennio, lo Sovetskoye Shampanskoye fu comunque ampiamente disponibile a Mosca e in altre città, servito alla spina nei negozi. «Nonostante il gusto e il fatto che rimase troppo costoso per il consumo quotidiano, divenne un simbolo di tutte le celebrazioni sovietiche», continua Gronow. «Era la “Coca-Cola dell’Unione”, lo bevevi ed era come fare la bella vita».

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