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19:47 martedì 16 settembre 2025
Dopo i meme, i videogiochi, le carte collezionabili e gli spettacoli a Broadway, adesso l’Italian Brainrot arriva anche nei parchi giochi italiani Da fenomeno più stupido e interessante di internet alla vita vera, al Magicland di Valmontone, in provincia di Roma.
È morto Robert Redford, una leggenda del cinema americano Aveva 89 anni, nessun attore americano ha saputo, come lui, fare film allo stesso tempo nazional popolari e politicamente impegnati.
La prima puntata del podcast di Charlie Kirk dopo la sua morte è stata trasmessa dalla Casa Bianca e l’ha condotta JD Vance Il vicepresidente ha ribadito che non ci può essere pacificazione con le persone che hanno festeggiato o minimizzato la morte di Kirk.
Tra i film candidati a rappresentare l’Italia all’Oscar per il Miglior film internazionale ci sono praticamente tutti i film usciti in Italia quest’anno Tranne La grazia di Paolo Sorrentino, ma non per volontà: la sua assenza è solo una questione burocratica.
A Lampedusa sono arrivati tre immigrati palestinesi a bordo di una moto d’acqua I tre hanno usato ChatGPT per pianificare la rocambolesca fuga verso l’Europa, seminando le motovedette tunisine per arrivare in Italia.
Il concerto in Vaticano per il compleanno del Papa è stato uno degli show più assurdi di sempre La collabo Bocelli-Pharrell, i Clipse primi rapper a esibirsi in Vaticano, i droni del fratello di Musk, lo streaming su Disney+ e la diretta su Tv2000: è successo davvero.
L’ultima tappa della Vuelta di Spagna è stata annullata perché 100 mila manifestanti pro Palestina hanno invaso le strade A causa delle proteste non c'è stata nessuna cerimonia di premiazione, niente passerella finale e né festeggiamenti ufficiali.
Javier Bardem si è presentato con la kefiah al collo sul red carpet degli Emmy L’attore spagnolo ha chiesto la fine del blocco agli aiuti umanitari, guidando una folta schiera di star che hanno parlato della Palestina agli Emmy.

Perché Juan Guaidó non è un usurpatore

E perché il regime di Maduro non è frutto della "volontà popolare".

29 Gennaio 2019

Tutto comincia quando l’opposizione al chavismo vince le elezioni politiche. Malgrado l’imponente propaganda del governo chavista e una capillare copertura, malgrado la tattica detta del “topo impazzito”, quella cioè di cambiare all’ultimo momento i luoghi dove la gente poteva recarsi a votare spostando i seggi, soprattuttto quelli sfavorevoli al chavismo, in periferia, nonostante le accuse di brogli, l’opposizione vince con oltre due milioni e 200mila voti di scarto. Il risultato sono 114 deputati. I chavisti però, miracoli del sistema elettorale venezuelano, riescono a portarne a casa quasi altrettanti, 112. Non abbastanza tuttavia per strappare all’opposizione il controllo dell’Assemblea Nazionale, ovvero del Parlamento.

Un fatto che Nicolas Maduro non può ovviamente accettare. A questo punto, uno degli uomini forti di Caracas (sono più di uno) convoca, durante le vacanze di dicembre, una sessione straordinaria in modo che il Parlamento uscente (dove i chavisti erano maggioranza) possa nominare i giudici della Corte Suprema. Queste nomine, da costituzione, avrebbero dovuto essere appannaggio del nuovo Parlamento (dove l’opposizione era invece maggioranza). Da questo momento non si capisce più niente. Il tribunale supremo, ormai di chiara fede chavista, destituisce alcuni deputati dell’opposizione eletti nel nuovo Parlamento. Dopo sei mesi questi deputati destituiti non vengono sostituiti attraverso nuove elezioni: il nuovo Parlamento, in mano all’opposizione, abilita quindi queste persone. Un atto che autorizza la Corte suprema a dichiarare che quella stessa assemblea non può più legiferare.

Nel frattempo, nel maggio 2018, vengono indette elezioni presidenziali. Non rispettando i sei mesi obbligatori, vengono concesse appena poche settimane per preparare la campagna. L’opposizione non partecipa se non con un Henri Falcon che gli stessi partiti d’opposizione non appoggiano. Maduro si presenta come candidato di una decina di liste. Ovviamente vince. E arriviamo al 10 gennaio 2019, quando finisce il mandato ufficiale del presidente della Repubblica e Nicolas Maduro succede a sé stesso. Egli giura di fronte ai giudici della Corte Suprema meno uno, fuggito negli Usa, e di fronte all’Assemblea costituente (ricordiamo che non si tratta del Parlamento e che questa assemblea non dovrebbe svolgere un lavoro legislativo). È qui che entra in gioco l’Assemblea nazionale (già esautorata delle sue funzioni) che a questo punto si dice l’unica autorità democratica del Paese e, come da costituzione, dichiara che il suo presidente assume le funzioni di presidente della repubblica ad interim. Come scritto nella Carta Magna, si prefigge di traghettare il Paese a nuove elezioni entro poche settimane.

Juan Guaidó circondato dai suoi sostenitori (Luis Robayo/Afp/Getty Images)

In questo momento entra in gioco Juan Guaidó. Relativamente giovane deputato di Voluntad Popular, uno dei maggiori partiti di opposizione, si ritrova alla testa del Parlamento perché tutti gli altri leader o sono fuggiti all’estero, o riparati in ambasciate straniere per sfuggire all’arresto, oppure troppo squalificati per qualsiasi ruolo. Siccome la presidenza del Parlamento è a turnazione, quando tocca a VP, il partito di Guaidó, è lui a dover assumere il ruolo di presidente ad interim. Tutti uniti a sostenere Guaidó quindi? Certo che no. L’opposizione non può tollerare che un ragazzino rischi di diventare presidente quando loro aspettano da vent’anni. Iniziano quindi i distinguo, gli sguardi di traverso e i malumori. Guaidó ha deciso di giocarsela sapendo di rischiare la pelle. È stato persino arrestato brevemente prima di essere rilasciato poche ore dopo. Sapendo bene che molti chavisti temono di finire in galera, ha detto che tutti crimini dal primo gennaio 1999 verranno perdonati quando e se i funzionari contribuiranno alla difesa della Costituzione. Ovvero se abbandoneranno i leader chavisti al loro destino.

E adesso? Maduro è apparso meno tranquillo che in altre occasioni. Ha dato un’intervista esclusiva a Cnn Turchia, che non dipende più dagli americani e che è ormai sotto il controllo statale, ovvero del presidente Erdogan. I poco informati potrebbero ritenere che un grande canale americano si sia fatto spiegare le ragioni del chavismo. Non è così. La repressione è già cominciata. Anche quei pochi soldati che si erano espressi a favore del cambio, alcuni giorni fa, sono stati costretti a dichiararsi a favore di telecamere perché erano stati scoperti: secondo fonti sul posto sono stati arrestati e non si sa nulla della loro sorte. Il rischio adesso è che oltre alla “normale” repressione possa essere l’ala dura del chavismo a prendere il sopravvento. Ovvero Diosdado Cabello, presidente dell’Assemblea costituente e Tareck El Aissami ministro del Commercio e delle Attività produttive. Sono considerati ancora più violenti di Maduro e hanno già chiesto e ottenuto un giro di vite nei confronti di quei funzionari che hanno arrestato Guaidó rilasciandolo qualche ora dopo e contravvenendo agli ordini ricevuti hanno spezzato la catena di comando.

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