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Charli xcx sarà produttrice e protagonista del nuovo film di Takashi Miike Chiusa ufficialmente la brat summer, la cantante ha deciso di dedicarsi al cinema.
A Parigi hanno dimostrato che la migliore arma contro l’inquinamento è la pedonalizzazione 100 strade chiuse al traffico in 10 anni, inquinamento calato del 50 per cento.
Tutti i media hanno ripreso un articolo di Reuters sulla vibrazione atmosferica indotta, che però non c’entra niente con il blackout iberico (e forse non esiste) E infatti Reuters quell'articolo è stata costretta a cancellarlo.
La chiusura della più famosa sauna di Bruxelles è un grosso problema per la diplomazia internazionale A Bruxelles tutti amano la sauna nella sede della rappresentanza permanente della Finlandia. Che ora però resterà chiusa almeno un anno.
C’è un cardinale che potrebbe non partecipare al conclave perché non si riesce a capire quando è nato Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo emerito di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, ha 80 anni o 79? Nessuno riesce a trovare la risposta.
La Corte europea ha vietato ai super ricchi di comprarsi la cittadinanza maltese Per la sorpresa di nessuno, si è scoperto che vendere "passaporti d'oro" non è legale.
Una nuova casa editrice indipendente pubblicherà soltanto libri scritti da maschi Tratterà temi come paternità, mascolinità, sesso, relazioni e «il modo in cui si affronta il XXI secolo da uomini».
Nella classifica dei peggiori blackout della storia, quello in Spagna e Portogallo si piazza piuttosto in basso Nonostante abbia interessato 58 milioni di persone, ce ne sono stati altri molto peggiori.

La catastrofe di Facebook

Cosa racconta il libro contro Facebook scritto dall'ex mentore e consigliere di Mark Zuckerberg, tuttora investitore del social network.

28 Gennaio 2019

In occasione del quindicesimo compleanno di Facebook, Mark Zuckerberg ha scritto un editoriale sul Wall Street Journal per difendere la sua creatura dalle accuse di manipolare i dati degli utenti e di dare legittimità alle fake news. Non è stato molto convincente, secondo molti opinionisti americani, ma al di là delle argomentazioni lo stesso fatto che Zuckerberg sia stato costretto a difendersi pubblicamente segnala il cambiamento di atteggiamento nei confronti di Facebook.

È una bella 10 year challenge, questa: il film di David Fincher e Aaron Sorkin, The Social Network, è del 2010 e, per quanto non nascondesse le origini tumultuose dell’idea di Mark Zuckerberg, descriveva in modo epico la scalata al successo, tanto da essere diventato un irresistibile strumento di ispirazione e di propaganda per chiunque volesse lanciare start up e idee dirompenti. Ora, invece, tra le inchieste inglesi sui dati ceduti a Cambridge Analytica, quelle americane sulle ingerenze russe nel dibattito pubblico, quelle fiscali europee e una certa ossessione, secondo Zuckerberg, del New York Times che sforna scoop su scoop sulle malefatte della sua creatura, probabilmente a causa del senso di colpa di aver fin qui sottovalutato l’impatto dei social sui processi democratici, dieci anni dopo il film, Facebook comincia a essere visto come un problema da risolvere, certamente da regolamentare per prevenire guai ulteriori.

L’ultima bordata a Zuckerberg l’ha tirata uno dei suoi mentori e consiglieri, tuttora investitore di Facebook: Roger McNamee, figura primaria della Silicon Valley americana, avendo investito negli ultimi 35 anni svariati milioni di dollari. McNamee ha appena scritto un libro, il cui titolo dice già tutto: Zucked – Waking Up to the Facebook Catastrophe. L’urgenza di scriverlo è scattata nove giorni prima delle elezioni presidenziali del 2016 che hanno eletto, a sorpresa, Donald Trump, quando McNamee ha inviato una email a Zuckerberg descrivendosi «infastidito, imbarazzato, vergognato» per il comportamento di Facebook, nonostante ancora non fossero pubbliche molte delle cose di cui siamo venuti a conoscenza successivamente: «Facebook ha fatto cose davvero orribili – ha scritto McNamee a Zuckerberg – e io non posso più scusare questo comportamento».

La tesi del libro di McNamee è quella centrale di questa epoca: «Il business model dipende dalla pubblicità, che a sua volta dipende dal manipolare l’attenzione degli utenti in modo che vedano più pubblicità. Uno dei modi più efficaci di manipolare l’attenzione è appellarsi alla rabbia e alla paura, emozioni che fanno aumentare il coinvolgimento. L’algoritmo di Facebook dà agli utenti quello che vogliono, e così il flusso di notizie di ciascuno di loro diventa una realtà separata, una bolla che crea l’illusione che la maggioranza delle persone che l’utente conosce la pensa allo stesso modo». E, ancora, «informazione e disinformazione sembrano la stessa cosa, l’unica differenza è che la disinformazione genera maggiori ricavi, viene trattata meglio dall’algoritmo che quindi preferisce i messaggi estremi a quelli neutrali, cosa che contribuisce ad aumentare la disinformazione a danno dell’informazione e le teorie della cospirazione sui fatti».

Qualcosa, insomma, comincia a muoversi: le grandi piattaforme digitali, Facebook ma anche Google, non sono più libere di fare quello che vogliono, come lo vogliono e quando lo vogliono, prendendosi peraltro anche gli applausi di incoraggiamento delle vittime. O, meglio, continuano ad abusare della loro posizione dominante e nessuno ha ancora trovato il modo di limitare i danni causati alla società dalla dittatura dell’algoritmo, ma per la prima volta si nota una nuova consapevolezza pubblica o, perlomeno, se ne comincia a parlare. Non è ancora sufficiente, ma è già qualcosa.

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