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5 cose sul nuovo presidente messicano

Al nuovo presidente messicano Lopez Obrador, i giornalisti Nacha Cattan e Monte Reel avevano dedicato la storia di copertina del numero di maggio di Bloomberg Businessweek. Alla vigilia delle elezioni, sempre su Bloomberg, Cattan ha voluto riassumere le 5 cose che ha imparato sul leader della sinistra populista mentre lo seguiva durante la sua campagna elettorale. AMLO (così in patria chiamano Andrés Manuel Lopez Obrador, sessaquattrenne di origini modeste e famiglia numerosa) ha vinto con più del 50% di voti e prende il posto di Enrique Peña Nieto.
1. È molto bravo a modulare i suoi discorsi in base al pubblico che si trova davanti.
«Sicuramente», scrive Cattan, «l’aver visitato ogni singola città del Messico l’ha aiutato molto». AMLO, infatti, è considerato “un politico di strada”: negli ultimi quarant’anni ha sempre partecipato alle marce per i diritti degli indigeni e ai sit-in contro le compagnie petrolifere. Sarà questo bagaglio di esperienza a permettergli di modulare così bene le sue parole, variandole a seconda del pubblico a cui si rivolge. Nel cuore di Zacatecas ha promesso sussidi agli agricoltori e ha definito l’attuale governo un gruppo di “luridi porci, maiali, suini”. Un’ora dopo, nello stesso stato, ha promesso posti di lavoro migliori per fermare la migrazione settentrionale. Giorni prima, aveva detto agli investitori statunitensi a Città del Messico che avrebbe onorato le obbligazioni vendute per costruire un nuovo aeroporto.
2. Ovunque vada, viene accolto dall’affetto dei suoi sostenitori.
È sempre stato molto popolare, sottolinea Cattan, ma l’euforia dei suoi fan è cresciuta mano a mano le sue possibilità di conquistare la presidenza sono aumentate. I suoi seguaci lo baciano, salgono sulla sua Chevy Tahoe per scattare foto, chiedono autografi. Il fervore tra i messicani a basso reddito è palpabile, ma ALMO sembra aver convinto anche una certa quantità di giovani della classe media e perfino i cittadini benestanti del Nord.
3. La sua retorica incendiaria si sta ridimensionando.
Dopo aver perso la presidenza nel 2006 (con la coalizione Por el bien de todos, “per il bene di tutti”) a causa di un’accusa di brogli elettorali, López Obrador gridò ai suoi seguaci «Al diavolo le istituzioni!» (perse anche nel 2012: questo del 2018, aveva detto, sarebbe stato il suo ultimo tentativo). Durante un altro raduno criticò duramente la Corte Suprema. Recentemente sembra aver adottato un approccio più rilassato, ad esempio rispondendo alle accuse di intromissione russa a suo nome auto-rinominandosi Andrés Manuelovitch.
4. È come Trump: una forza dirompente.
Nonostante abbia sempre perso, è riuscito a trasformare le sue sconfitte in opportunità per attaccare la frode e la corruzione politica. I suoi movimenti sociali hanno contribuito a elevare il suo marchio sul palcoscenico nazionale, ma hanno sollevato profonda preoccupazione tra i critici sul suo rispetto per le istituzioni.
5. Forse crede di essere il salvatore del Messico.
«Ad ognuno dei raduni a cui ho partecipato durante la sua campagna», racconta Cattan, «i suoi seguaci cantavano l’inno nazionale del Messico, ma lui no: se ne stava fermo sul palco con le mani lungo i fianchi e guardava lontano (per non perdere la voce, hanno poi dichiarato i suoi assistenti). Ma l’impressione che si otteneva era che il pubblico stesse cantando per lui. Ha promesso la più grande trasformazione nel paese dalla rivoluzione messicana del 1910: che guardi a se stesso come al salvatore del Messico?».