Attualità

Il Google della genetica

23andme è un'azienda (finanziata da Google) che vuole portare il sequenziamento del Dna in ogni casa. Ora sta stringendo accordi con i colossi farmaceutici creando il primo mercato per i dati genetici.

di Pietro Minto

Se il primo sequenziamento del Dna umano si è concluso nel 2003 dopo anni di ricerche e miliardi di dollari investiti dal governo americano, oggi basta un test salivare per esplorare i misteri dei nostri cromosomi. O meglio, un test salivare e 999 dollari, prezzo che con il tempo è sceso prima a 399 e ora 99 dollari. In appena nove anni, infatti, 23andme, una società californiana, ha aperto la strada della mappatura genetica a basso costo, anche grazie a notevoli investimenti ricevuti anche da Google Ventures. Anne Wojcicki, co-fondatrice e Ceo della società, è l’ex moglie di Sergey Brin, uno degli inventori di Google, ma il particolare familiare non deve far pensare che l’affare sia un cappriccio tra ex innamorati: per molti è anzi il futuro della medicina, l’alba di un nuovo business farmaceutico dalle enormi speranze, non senza coni d’ombra. Il fatto che un’azienda possa accumulare le informazioni genetiche può sembrare preoccupante di per sé ma aspettate di sapere cosa è successo a inizio gennaio, quando quest’ultima ha firmato uno storico accordo con un’altra società, Genentech.

Andiamo con cautela, prima di avventurarci nel roboante mondo della genetica-facile. 23andme ha iniziato creando un test (subito premiato dal Time come l’invenzione dell’anno 2008) che permette a chiunque di codificare il proprio genoma, con la stessa semplicità con cui ci si misura la febbre. L’invenzione è costata all’azienda una serie di problemi con la Food and Drug Administration statunitense, che l’ha costretta a concentrarsi su un test non medico, specializzato nell’analisi dell’origine ancestrale dei propri clienti: la storia genetica di una persona, raccontata dal suo Dna. Nel frattempo però l’azienda non si è lasciata ostacolare ed è approdata a fine 2014 nel mercato canadese e britannico, dove ha incontrato meno problemi legali. La svolta decisiva è arrivata a inizio gennaio 2015, quando Genentech, azienda del settore biotecnologico nata in seno al gigante Roche, ha ufficializzato un investimento di 60 milioni di dollari nella start up genetica, che ora ha buona liquidità e un business plan completamente diverso. Ed è solo il primo di una decina di accordi commerciali siglati tra 23andme e aziende farmaceutiche; quanto al nuovo business plan, non è difficile immaginare quale sia il progetto della società. Un indizio: c’entrano i nostri geni.

Funziona così: per 99 dollari il cliente riceve il test e ci sputa dentro; poi manda il tutto alla società che entro tre settimane spedisce il profilo genetico via mail dal quale possono sapere se sono affetti dalla mutazione BRCA1, collegata al tumore al seno, o se sono geneticamente portati a essere dipendenti dalla nicotina. È un’invenzione rivoluzionaria che può dare notevoli benefici alle persone, aiutando nel contempo le case farmaceutiche a sviluppare migliori medicinali. A renderla leggermente inquietante è l’utilizzo dei big data e una certa propensione da social network che stona con l’approccio tradizionale del settore medico.

Non è ancora la Google della genetica ma solo perché i tempi non sono ancora maturi: la Ceo Wojcicki si è anzi detta soddisfatta perché «il nostro database [di clienti] ha raggiunta una massa critica» superiore alle 800 mila persone.

Nel 2012, per esempio, 23andme ha cominciato a offrire ai suoi clienti un’Api, un software che consente ad applicazioni esterne di interagire con i dati dell’utente: Facebook ne ha una – la usate per collagare il vostro profilo a Spotify e altri siti esterni – così come ogni sito che si rispetti. Ma a cosa serve un servizio simile agli utenti di 23andme? A condividere il proprio genoma con una community di appassionati ed esperti, che hanno così modo di commentare i propri tratti genetici e risalire a problemi di salute; è, nelle parole dell’azienda, «un sistema operativo per il tuo genoma», uno slogan che sembra uscito da un b-movie fantascientifico, e un enorme business ora aperto alle case farmaceutiche. Come ha scritto Lisa Miller nel magazine New York, la Ceo Wojcicki «vuole fare con il Dna ciò che Google ha fatto con i dati. Perché, dopotutto, il Dna è un insieme di dati». E che ha fatto Google con i dati? Ha trovato il modo migliore di accumularli e analizzarli – fedele alla sua missione originale di «organizzare la conoscenza del mondo» – per poi rivenderli a inserzionisti e aziende, sempre affamati di informazioni sugli utenti e le loro abitudini. Quanto a 23andme, non è ancora la Google della genetica ma solo perché i tempi non sono ancora maturi: Wojcicki si è anzi detta soddisfatta perché «il nostro database [di clienti] ha raggiunta una massa critica» superiore alle 800 mila persone, un buon numero di utenti affezionati e devoti che discutono di genoma umano e vogliono saperne di più. Per ampliare il suo pubblico, secondo alcuni osservatori, l’azienda potrebbe persino decidere di rendere il proprio servizio gratuito facendo poi cassa con la vendita di dati – che è esattamente la scelta che ha reso Google la Grande G, differenziandosi dalla concorrenza di fine anni Novanta.

L’accordo con Genentech è essenziale per la società anche perché garantirà una migliore analisi dei dati, la ricerca di uno standard comune della mappatura genetica casalinga da sostituire ai traballanti sistemi di 23andme e aziende simili, che nel corso degli anni si sono dimostrati poco precisi. La fase 2 della società si preannuncia eccitante, visto che questi dati sono già stati utilizzati per sondare le origini genetiche di malattie come il morbo di Parkinson. A preoccupare è però la deriva-Google, gratuita e seducente ma fuori dal controllo degli utenti (o pazienti, in questo caso). E se i dati personali in cui Google sguazza costituiscono un’enorme resa nella difesa della privacy, che dire di un fenomeno simile applicato alla genetica, le 23 coppie di cromosomi che danno il nome all’azienda e sono alla base della nostra vita?

La banalizzazione di questo tipo di mercato non va però presa sottogamba: è un territorio nuovo e inseplorato ma a quanto pare abbastanza promettente da spingere Genentech a scucire 60 milioni di dollari per accedere alle informazioni degli 800 mila clienti di 23andme. È insomma un progetto che può davvero cambiare il corso della scienza ma il prezzo in palio sembra fin troppo alto, anche perché le condizioni d’uso di 23andme sono piuttosto chiare nel determinare quale sia la merce in vendita: «Fornendo un campione» si legge nel documento dell’azienda, «[l’utente] non acquisisce nessun diritto sulle ricerche o sui prodotti commerciali che potrebbero essere sviluppati da 23andme o i suoi partner».

 

Immagine: il kit di 23andme