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I fratelli Gallagher si sono esibiti insieme per la prima volta dopo 16 anni In un circolo operaio a Londra.

1927 Kansas City

Ovvero perché parlare con cinismo e ironia di calcio (e dall'AS Roma) su facebook, è meglio del calcio stesso

08 Settembre 2011

Ogni due settimane la figurina, la storia, il profilo del personaggio del momento scritta per Studio da Alberto Piccinini.

Ho degli amici molto addentro alle vicende dei social network e della rivoluzione orizzontale della comunicazione e dello star system che sostengono di twittare coi calciatori. Sarà. Personalmente, a proposito di nuove tecnologie trovo che la questione di Balotelli messo in punizione dall’allenatore della nazionale Prandelli perché s’era portato l’i-pad in panchina – per ascoltare musica, si è scusato – sia di una abissale incongruenza. Incongruenza dell’oggetto, dico. Portati un i-pod, un samsung, un walkman, come al solito? Non è più comodo? E poi: a Coverciano il wi-fi prende sul campo? Mah.

Comunque. Nell’attesa dell’inizio del campionato italiano di calcio di serie A – spasmodica, insomma, così così, e ogni anno che passa è peggio, e ho notato che la cosa è inversamente proporzionale alla quantità di telecamere messe in campo da Sky, o sarà mica la mezza età? – nell’attesa dicevo ho stretto convintissima amicizia facebook con Kansas City 1927. Chi è? Non lo so. 1927 è la data di fondazione dell’As Roma. Kansas City immagino sia come un omaggio a Alberto Sordi, ma apprendo da un post che 1927 Kansas City è pure il titolo di una graziosa canzoncina pop-country americana degli anni ’70.

Il 19 agosto, giorno di Slovan Bratislava-Roma 1-0, sfigato preliminare di coppa Uefa, Kansas City posta il primo commento. Che finisce così: “A nulla è valso il rasposo e volenteroso e aggressivo e feroce rush finale, a nulla è valso il tourbillon di cambi orchestrato dal tecnico asturiano (che pure ‘ste Asturie ‘ndo cazzo stanno è tutta da capì) (…). Amo perso…, e pure Tom alla fine l’ha capito, anche perché gli americani so’ veloci, rapidi, gente de business, e 80 minuti pe’ capì le regole del gioco jerano bastati. “Henry Louis, what a fuck are you laughing?” pare abbia detto al suo Mister il novello Closer. “Hasta siempre comandante”, avrebbe replicato l’asturiano. “No sarà la Slovachia a stopar la revolucion cultural”.

Spero che la translitterazione dallo slang romanesco arrivi oltre il raccordo anulare. L’asturiano è Luis Enrique, il nuovo allenatore della Roma. Tom è Di Benedetto. Non ho minimamente idea di chi è Kansas City, o chi sono. “Yellowred revolution” c’è scritto nelle informazioni. Quindi si parla di calcio e di Roma. E parlare di calcio a Roma è molto più che un passatempo: è uno stile di vita, una grande scuola di retorica, filosofia, economia, politica, cinque-sei radio locali sono interamente dedicate solo a quello (e ogni anno si moltiplicano, e con loro gli “opinionisti”).

Ora, chi ha presente le “recinzioni” cinematografiche di Johnny Palomba (stampate in otto libri e amatissime pure da Nanni Moretti) noterà che lo stile di Kansas City si avvicina un poco a quella cosa lì. Ma è soltanto un caso, credo. Nel senso: se vivi qua, sotto il Cuppolone (con due “p”), il cinismo comico autoflagellatorio del romano che deve confrontarsi tutti i giorni con la realtà della città ex imperiale,  è nell’aria. Se poi si parla di calcio, nell’anno che si annuncia come quello della rifondazione sull’asse New York/Barcellona/largo ai giovani, e già stiamo freschi così, dose doppia di cinismo.

Il 26 agosto, partita di ritorno Roma-Slovan all’Olimpico, il giorno della sostituzione di Totti al 70’, insomma l’Apocalisse, Kansas descrive così il giuoco della squadra: “i nostri giovini ispanicotrigorici sgambettavano mandando a memoria il chiticaca che sognare il mondo farà.Il concetto dopo tutto è semplice. Io la do a te, tu la dai a me, lui la dà a egli, egli la dovrebbe dare a noi, se poi egli è Rosi, vabbè, come non detto, riprovamo alla prossima, ma tutto sommato il ragionamento fila”. Alla fine della partita, come tutti, se la prende con Luis Enrique: “Tu, Luigi Enrico, nun meriti me, nun meriti la mia sciarpa de lana, nun meriti la mia rosolia incipiente, nun meriti né Er Capitano né Er Cuppolone né Venditti né Tempestilli né Angelo Mangiante, nun meriti manco Trigoria guarda, e nun meriti manco l’opportunità de dimostrà un giorno che Okaka sia finalmente diventato il campioncino che da 25 anni speriamo che sia”.

Non voglio rovinare ulteriormente il gioco, nè spiegare altre battute. Concludo aggiungendo ancora un sample di Kansas City 1927, tratto dal “pagellone” sugli acquisti e i movimenti di mercato della stagione che va a incomiciare: Antunes:  se chiama Vittorino, come er coltellino svizzero, ma a differenza dello stesso lui non è multiuso, ma nemmeno monouso, semplicemente nse capisce che uso se ne possa fa. (….) Guberti: na bustina de Fluimucil buttata sul campo avrebbe funzionato meglio, come fluidificante. Fulgido esempio de tornante che non torna, de laterale che non lata, de ala che non ala, l’unico apporto alla causa romanista l’ha dato indossando la maglia della Samp, segnando un gol alla Lazio che ancora oggi non se lo spiegano manco gli analisti della Nasa. (…) Koffy e Mendy: eredi morali di Mork e Mindy, simboleggiano il prepotente ritorno sulle scene della tratta degli schiavi. Ingaggiati e rivenduti solo per incomprensibili manovre di smistamento extracomunitari (…) Pare che gli sia stata negata anche la visita a Trigoria come giardinieri aggiunti.

Ecco. Se non dal campionato della rifondazione giallorossa, almeno da Kansas City io mi aspetto parecchio. L’altro giorno al barista di Garbatella che mi ascoltava sempre più interdetto in tutta una mia serie di evoluzioni retoriche sul caso Totti, sono arrivato a dire che io, si vinca o si perda o finisca in disastro, mi diverto lo stesso. L’importante è che se ne possa parlare per giorni, settimane e mesi. Anni, persino. Quindi non sono attendibile.

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