Attualità

Buoni propositi per il 2015

Trovare una risposta alla domanda “che lavoro fai”; meno longreads.com e più nonna; un po' di Zavattini e un po' di Joyce: alcuni buoni propositi per l'anno appena iniziato dalla redazione e alcuni amici di Studio.

di Redazione

Il 2015 è appena iniziato e ci sentiamo tutti – ok, non tutti – un po’ più propositivi. Abbiamo chiesto a un po’ di amici e collaboratori di Studio quali sono i loro buoni propositi, seri e semiseri, per il nuovo anno. Questo è ciò che ci hanno detto.

Edoardo Camurri —
Trovare più corrispondenze tra le cose.
Assomigliare sempre di più a Leopold Bloom.
(Poi)
D’ora in poi voglio soltanto essere uno che dice Sì!

Errico Buonanno —
1. Da scrittore precario, nel 2014 ho: tradotto il libro-confessione di una sociopatica, interpretato il ruolo di un poliziotto corrotto in una fiction tv, impartito ripetizioni di italiano a maturandi, ideato una web serie, cantato con una banda di paese a Palermo, lavorato in una redazione radio a Roma, allestito un museo a Biella, venduto libri, venduto vestiti, recensito, sceneggiato. Buoni propositi del 2015? Saper rispondere alla domanda: “Che mestiere fai?”

2. Mangiare sano, muoversi di più, leggere due giornali al giorno, dormire il giusto, ritagliarsi il tempo libero, ridere, viaggiare, scrivere… E pur sapendo che niente di questo sarà rispettato, ritrovarsi tra un anno un’altra volta così, a fare la lista dei buoni propositi; a dirsi che un anno può salvarci, e a crederci sempre, nonostante tutto, come si crede al paradiso. Almeno una volta all’anno.

3. Più vado avanti, e più mi rendo conto che l’unica battaglia, l’unico proposito, l’unico sforzo e l’unica forte tentazione da evitare è questa: Non diventare stupido.

Mia Ceran —
Continuare ad ignorare la pratica dei propositi di inizio anno e, conseguentemente, saltare a piè pari i bilanci in chiusura. Vivere con obiettivi di giornata, in una giusta proporzione tra ambizione di miglioramento personale e progetti concreti da realizzare (mi accingo or ora a montare quelle mensole per il corridoio, ad esempio).

Guido Vitiello —
Nella stazione Hawksbill, colonia penale dove uno spietato governo del futuro rinchiude i dissidenti, facendoli viaggiare indietro nel tempo fino al paleozoico, il 2015 è l’anno del sovraffollamento:

«Le baracche, circa ottanta, in quel momento ospitavano centoquaranta persone. Il completo. Da Lassù non avevano più mandato materiale per costruire baracche da molto tempo, e così, tutti i nuovi arrivati dovevano venire alloggiati con qualcun altro. (…) La maggior parte degli esiliati del 2015 ormai avevano un compagno d’alloggio. (…) Barrett tuttavia riteneva che un condannato al carcere a vita dovesse godere, se lo desiderava, almeno del privilegio della solitudine».

Il romanzo fantascientifico di Robert Silverberg, Hawksbill Station, è del 1967. Ora, non voglio insinuare che nelle carceri del paleozoico, miliardi di anni fa, si stesse più larghi che nelle nostre (all’epoca, in fondo, c’erano solo batteri, alghe, trilobiti e poco altro). Ma che il 2015 sia, in Italia, l’anno dell’amnistia.

Anna Momigliano —
Scrivere di meno, leggere di più. Comprarsi uno di quei fighissimi ciambelloni che ti fanno lo chignon perfetto e imparare a usarlo. Andare dal fisioterapista e dal parrucchiere. Mettere più spesso le lenti a contatto. Cambiare ogni giorno la sabbietta dei gatti. Imparare a memoria “Defying Gravity” del musical Wicked, vedere the Book of Mormon. Tenere in ordine la mia scrivania, che è la più incasinata di tutta la redazione di Studio. Leggere di più, ok, ma uscire dal tunnel dei longread trovati per caso su Twitter, che li devo leggere subito anche se sono 180 mila battute spazi esclusi e poi arrivo in ritardo al lavoro. Dove mi attende la scrivania che resterà incasinata.

Luca Mastrantonio —
Vorrei che in Italia la parola buongiorno significasse buongiorno. Era il sogno di Cesare Zavattini in Totò il buono, poi diventato il film Miracolo a Milano. Andrebbe proiettato all’Expo.

Davide Piacenza —
Non fare troppe idiozie. Sembrerà difficile da credere, ma la natura dell’essere umano lo porta a sbagliare con una regolarità talvolta grottesca. Quando siete testimoni di casi virtuosi di uomini che fanno sempre la cosa giusta, mettete mano alla fondina. Se contrari alla proliferazione delle armi, come me, perlomeno alzate un sopracciglio.

Dedicare più tempo alla lettura di Clickhole.
Clickhole, per chi non lo conoscesse, è un sito che rappresenta anche – opinione personale – il più grande prodotto di satira sul web degli ultimi mesi. Le sue parodie si riferiscono quasi interamente a un tema tristemente caro ai giornalisti di oggi: la corsa ai click, ai contenuti virali, alle condivisioni senza se e senza ma. Date un’occhiata a questo requiem di (finti) articoli che non sono riusciti a “vincere l’Internet” nel 2014, ad esempio. Un piccolo capolavoro.

Dedicare più tempo a mia nonna, che ha 92 anni e tante storie da raccontare che io non ho mai sentito. Meno longreads.com, più nonna.

Guarire definitivamente dalla sindrome “I can’t go to bed, someone is wrong on the Internet”. Una perdita di tempo paragonabile a fare un terzo grado di politica estera all’anziana signora davanti a te nella fila del banco alimentari. Nessuno ti assicura che lei non ne sappia davvero più di te, oltretutto.

Alberto Mucci —
Primo. Imparare a guidare. Ormai di anni ne ho 26 e anche mia nonna comincia a prendermi in giro perché non ho la patente. E non soltanto: prima o poi un viaggio in macchina intorno alla Sicilia con una ragazza vorrei farlo. Secondo: scrivere un articolo per The Atlantic. È più di un anno che mando idee e ogni volta la risposta è “thanks Alberto, but this is not quite for us”. Tre: passare più tempo possibile con una certa donna.

Nathania Zevi —
Per l’anno appena iniziato vorrei augurare a tutti noi di non continuare a sperare che le cose, tante cose, cambino, ma di pretenderlo. Tra le molte che mi vengono in mente ne citerò due, che sembrano riguardarci da lontano solo perché non hanno ancora toccato le nostre famiglie. Sul versante internazionale chiedo a tutti noi di non indignarci, il più delle volte semplicemente cambiando canale, di fronte all’esecuzione di prigionieri da parte di alcuni gruppi afferenti al terrorismo islamico. Auguro a tutti noi un anno di militanza, di sdegno, di partecipazione ad una resistenza all’odio che non può e non deve manifestarsi solo in coincidenza delle ostilità – completamente diverse sotto tanti punti di vista – tra Israele e palestinesi. In casa nostra, invece, mi auguro che il 2015 sia l’anno in cui Valentina e Matteo Fatello conosceranno la causa dell’ ingiusta morte in sala operatoria, a Roma, della figlia Giovanna – di dieci anni –, ricoverata “perfettamente sana” a marzo dello scorso anno presso una clinica privata della capitale per eseguire una timpanoplastica, ossia un’operazione di routine, a cui non è sopravvissuta. Nessuno ha ammesso colpe, errori, sciatterie. Non sono stati individuati i responsabili e Matteo Fatello, falegname, ha costruito una piccola bara per la sua bambina. La magistratura procede, con i suoi tempi. Sono passati mesi ed i genitori chiedono un processo, non una vendetta e si dicono disposti a perdonare: «Ma il perdono richiede due passaggi obbligatori: l’ammissione della colpa e la richiesta del perdono stesso».

Manuel Peruzzo —
Dal cesto delle promesse non mantenute potrei pescare tra tonnellate di buoni propositi: essere meno pigro, scopare e dormire meno, lavorare di più, leggere e scrivere il doppio, considerare la cartella che giace da un paio di anni sul mio desktop “da leggere assolutamente”, proprio di fianco a “da leggere assolutamente 2” e “arretrati video da guardare subito”. Procrastino in GB. Potrei scegliere tra milioni di buoni propositi, ma coerentemente a me stesso non ne rispetterei nessuno, fuorché per il tempo che impiega una medusa per sciogliersi al sole. Poiché la mia forza di volontà è gelatinosa quanto il grasso sulla mia pancia, mi l’obiettivo che mi prefiggo di raggiungere per il 2015 è estremamente più sofisticato, importante e irraggiungibile di tutti gli altri: gli addominali. Questo comporta non mangiare a ogni ora carboidrati come se fossi un sedicenne; allenamento continuo in palestra, tre, quattro giorni a settimana, dopo il lavoro; significa essere costanti, disciplinati, con senso del sacrificio e della privazione per un ideale più grande. Significa prendere decisioni: Nutella o addominali, vino o addominali, domenica a letto a guardare la TV e pulirmi le briciole dalle lenzuola o addominali. Se riesco a raggiungere questo scopo non rimane più nulla tra me e l’essere un uomo migliore.

Nicola Bozzi —
Per il 2015 mi auguro una distopia culturale globale, un inaridimento mediatico. Che esca massimo una serie Tv ogni mese, un libro al mese, 10 film al mese, non di più. Così magari riesco a tenere il passo. Quello, oppure una 25esima ora ogni giorno, come il film di Spike Lee, che per la cultura globale sarebbe una soluzione più soft. Poi ho sentito che Facebook voleva far pagare gli utenti. Ecco, che lo facesse. Magari è la volta che ne faccio a meno. (È un bluff, ovvio: se succedesse finirei sicuro col pagare a Zuckerberg l’obolo mensile).
 

Testi raccolti dalla redazione.