Attualità

La famiglia spiegata a mia sorella

Due fratelli litigano sul Ddl Cirinnà, ovvero come l'amore viene messo in pericolo da una diversa idea di amore.

di Gianluigi Ricuperati

Mia sorella, nove anni più grande di me, tre figli, è stata la persona che mi ha insegnato a leggere e scrivere, che mi ha accompagnato in auto per sfogarmi durante la mia prima enorme delusione d’amore, quella che ho abbracciato per prima davanti al corpo senza vita di nostra mamma, la donna che guarda con più affetto e devozione mia figlia quando non ci siamo. Sono sempre andato d’accordo con mia sorella, anche se non abbiamo passioni in comune: questione di puro affetto, di attenzione, di manutenzione. Annalisa ha 48 anni, si è diplomata al liceo classico con il massimo dei voti, si è laureata in filosofia con il massimo dei voti. Nelle ultime tre settimane il gruppo Whatsapp della nostra famiglia – che comprende anche mio fratello e nostro padre – è andato letteralmente in fiamme, a causa di una divergenza via via più radicale, una distanza di opinioni e linguaggio così brutale da far male. Il tema è: stepchild adoption, Ddl Cirinnà, questione omosessuale. Mia sorella si definisce semplicemente “cattolica” e ha partecipato con fervore al Family Day del 30 gennaio 2016. Se le dici che «è una questione di civiltà far passare il Ddl Cirinnà» risponde che «non bisogna sostenere chi fomenta la compravendita di bambini». E in quel momento ti viene da stritolarla, come si faceva da bambini, e farla piangere fino a farla ragionare. Ma è chiaramente un incubo alienante e paradossale, e il motivo per cui appoggio così tanto il Ddl Cirinnà è che ritengo che grazie ad esso l’Italia farebbe passi enormi verso la soluzione di un problema culturale che possiede le caratteristiche di un incubo alieno e paradossale. Nel nostro Paese la questione gay, lesbica, Lgbt, rappresenta per ragioni antropologiche e sociali quel che la questione nera rappresenta negli Stati Uniti. Per questo nessuno si tira indietro quando si discute di questa cosa, e nessuno si sente escluso.

Kibbutz Family

Ma c’è anche dell’altro, se accade ciò che accade quando mia sorella scrive messaggi che mi suonano come bestialità intellettuali: soffro, sento una specie di tradimento interiore, mi rivedo con le ginocchia minute e pallide sulla moquette marrone, mentre dalla tv incastonata nell’armadio esplode la sigla del Supertelegattone, e io voglio vederla, e mia sorella si alza, fa quattro passi, la spegne e tira fuori un libro, e mi fa leggere con fatica un paragrafo dopo l’altro, premiandomi con abbracci caramelle e abbracci autentici. Non mi sono mai sentito giudicato da Annalisa. Non ho mai giudicato Annalisa. Annalisa è per me la sequenza ritmica delle frasi, l’attesa di una nuova nozione da imparare, l’intensità delle mie mani sulle sue scapole. Mia sorella è stata un angelo. E divento un demonio, ogni volta che le scrivo «sei una nazista», «se i tuoi bimbi diventano gay li accolgo io perché ti odieranno», e cose del genere. In questa storia faccio la parte del buono, e lei la parte della cattiva. Ma il motivo per cui la scrivo è perché tutto ciò che desidero è l’aspirazione a costruire un terreno preciso nel quale nessuno è buono, nessuno è proprio cattivo, e i problemi sono solo la prima parte di soluzioni.

Lo scambio è diventato devastante, specie per due creature che hanno condiviso il sangue, la sofferenza, la gioia di crescere

Come dice un personaggio di The Hateful 8 di Tarantino, «l’essenza della giustizia è l’assenza delle passioni». In questa vicenda la posta in gioco è l’idea di giustizia, “il futuro dei nostri figli” come si dice con una frase cliché: ma entrambi ci abbiamo messo troppa passione, e forse io più di lei. Però credo possa essere utile a qualcuno, capire come uscire dalla guerra civile interna a ogni famiglia: perché al contrario di ciò che sostengono i cristiani estremisti, nelle famiglie sono possibili guerre civili, tutte, nessuna esclusa, e sta alla nostra personale ricetta di equilibrio cancellare “possibili” con “effettive” oppure cancellare “guerre” e immaginare una possibilità di convivenza civile. In tutti i giorni, durante tutte le battaglie di questa guerra di parole e opinioni, di queste imboscate su sfondo verde pallido, ho molte volte desiderato il lancio della bomba atomica: finché non cambi idea non ti farò più vedere Alma. E dopo i suoi figli, credo, niente abbia toccato il cuore di mia sorella più della meravigliosa Alma. Con ogni evidenza, non sono il buono. Anche se ho tutte le ragioni dalla mia parte

Torniamo indietro di qualche passaggio: ho 38 anni, sono eterosessuale e ho dato origine a una famiglia priva di legami burocratici insieme alla mia compagna e a nostra figlia: il giorno in cui ho scoperto che sarei diventato padre è stato il giorno più bello della mia vita, e se dipendesse da me ne farei altri cinque, di bambini, ma senza sposarmi mai. Sono stato educato a un cattolicesimo liberale e colto: mio padre andava a Messa con Repubblica sotto braccio (forse ancora adesso, sebbene oggi sia molto meno scandaloso che negli anni Ottanta). Di tutta la mia famiglia sono l’unico che non frequenta la Chiesa, che non va a Messa, che si professa agnostico, di un agnosticismo debole, diciamo, e che vorrebbe tenere separati gli ambiti spirituali da quelli terreni, per quanto ipocrita o contraddittorio questo possa sembrare alle persone effettivamente religiose. Inoltre va detto che credo nell’arte come una sorta di religione, e quando ascolto La passione secondo san Matteo mi sento ancora più debolmente agnostico. Tutto questo significa che non c’erano le condizioni necessarie e sufficienti perché io e Annalisa entrassimo in una guerra senza quartiere: perché io e mia sorella eravamo il quartiere. Anche se le nostre parabole non si incrociavano, anche se i nostri valori prendevano biforcazioni opposte su alcuni principi e su molte pratiche, rimanevamo comunque un solido e affettuoso quarto di famiglia.

Triple Twins

Poi è arrivato il Family Day. E la convinzione, mia, che è giusto difendere fino alle estreme conseguenze un principio astratto ma fecondo di conseguenze assai concrete: non voglio vivere in un Paese in cui vige un apartheid. E se una coppia, in linea di massima, non può dare origine a un figlio, pur essendocene le possibilità tecniche, soltanto perché è una coppia omosessuale, beh, questo è apartheid di fatto. Anche se le porte delle chiese rimarranno aperte. Anche se “nessuno li può giudicare”. Anche se c’è “misericordia”. Pur non essendo toccato in alcun modo dagli effetti di una potenziale approvazione della legge, mi sento coinvolto come essere umano, come padre, come cittadino e come “intellettuale”. La stessa cosa per lei.

Così abbiamo iniziato a discutere. E così lo scambio è diventato devastante, specie per due creature che hanno condiviso il sangue, la sofferenza, la gioia di crescere. Litigare con mia sorella, a questo punto della mia vita, è come litigare con un genitore che c’è sempre stato e non ti ha mai creato problemi. Un genitore terzo, ulteriore, che ti ha amato. È come litigare con una buona madre anziana. Solo che mia madre non c’è più – nostra madre non c’è più – e mia sorella non è anziana. Siamo nel pieno del flusso delle rispettive esistenze: è per ragioni molto meno nobili che le famiglie vengono falciate dall’interno, dal cattivo demiurgo con armi da cattivo giardiniere. Nessuno dei due voleva questo. Nessuno dei due vorrebbe questo. E come nelle guerre, tutti e due ci siamo finiti dentro. Avrei voluto mettere in mostra come pensa l’avversario, come procedono i ragionamenti del nemico, consapevole del fatto che per molti omosessuali e lesbiche, per cui il Ddl Cirinnà è tutt’altro che un problema filosofico, mia sorella è il nemico, e il nemico va battuto. Ma l’intento di queste righe è di fornire un tentativo di manuale per l’auto-costruzione di un tavolo per il dialogo – perciò non voglio commentare, rendere grottesco chi guarda il mondo in modo radicale e opposto, e per me inaccettabile: non voglio rendere eroico il dibattito, non voglio renderlo eroicomico, non voglio rendere disumano l’opponente. Ecco perché ho deciso di mettere in mostra alcune battute del nostro dialogo Whatsapp (con il permesso di mia sorella). Ecco i versetti poco satanici della possibile rottura con una sorella che non riesco a capire più. (L’intercalare più diffuso è stato non mi capisci, cerca di ragionare, non ti capisco, non capisco: grazie al Ddl Cirinnà sto vivendo una specie di trauma divorzistico: Ricuperati contro Ricuperati.)

IO
Perché non vuoi ragionare?

ANNALISA
Tu non ragioni.. Da dove dovrebbe venire il “figliastro” da adottare? Produrre su ordinazione e dietro compenso un bambino come lo chiameresti?

IO
La fecondazione assistita tecnicamente non è diversa dalla fecondazione “naturale”.

ANNALISA
Io credo che un bambino abbia il sacrosanto diritto di vivere con i propri genitori biologici, se sono in vita. I desideri degli adulti di fronte a questo si devono fermare. Questa è civiltà. Credo inoltre che tale  società naturale preesista allo Stato, vada riconosciuta e tutelata.

IO
Ma i genitori ci sarebbero!  Ma poi, scusa… lascia che le cose si facciano, poi eventualmente provaci (senza a-priori) che i risultati sono pessimi.

ANNALISA
Non si fanno sperimentazioni in questo caso

IO
Non mi capisci. Sono convinto che sia giusto aiutare persone a procreare per superare le limitazioni temporaneamente imposte da una natura che non è né giusta né instabile.

ANNALISA
Ma la natura discrimina. Non gli uomini.

IO
La natura va superata. Ma la teoria di genere serve appunto a fare una base per estendere le possibilità di vita degli individui, nella Storia. È un fattore di libertà basato su una presa di coscienza di ciò che già accade.

ANNALISA
La mia posizione è totalmente diversa: primo non esistono studi scientifici che supportino la teoria gender, cioè che la sessualità sia un prodotto puramente culturale, mentre ce ne sono che dimostrano il contrario. Secondo non so come fai ad affermare che dal punto di vista statistico la famiglia naturale produca più errori che benefici. Poi non deve essere bello non sapere chi è tuo padre/tua madre, altrimenti non si capirebbe come mai tutti gli adottati hanno questo anelito, e su questo sono sicura che esistono anche molti studi sui nati da fecondazione artificiale, ora adulti. Mi sembra che si voglia sperimentare una nuova razza umana, facendo finta che i legami di sangue non contino. Le coppie omosessuali per natura devono farsi “produrre” un figlio, e comprarlo. Esseri umani sempre più soli, alla fine, e quindi deboli e manipolabili.

IO
Il punto è che voi non dovete preoccuparvi di ciò che fanno gli altri. Finché nessuno viene a dirvi come dovete comportarvi voi.

ANNALISA
Io mi preoccupo del mondo che lascio e costruisco, per la mia parte. Non ti capisco. È così difficile capire che un bambino deve stare con la sua mamma e il suo papà? Tutto il resto sono parole inutili.

IO
Titti ma se fosse così semplice perché migliaia di persone starebbero lottando per l’esatto opposto?

ANNALISA
Perché non vogliono vedere la realtà. Il concetto di naturale è comodo solo quando si parla della salute dei nostri corpi? La difesa della natura va bene solo se si parla di inquinamento?

IO
Ma secondo te è possibile che così tante persone diverse tutte insieme, tutte nello stesso momento non vogliano vedere la realtà?

ANNALISA
Mi sembra che nella storia sia già successo…

Bathtime Fun

Ovviamente nella Storia è già successo tutto, e questa conversazione rappresenta una buona parte di ciò che non voglio in un dialogo tra chi crede nella ragione e chi crede nella ragione. Il problema, si potrebbe obiettare, è proprio qua. Ma la realtà – la trama della realtà – è assai più stratificata e complessa, e per questo è necessario armarsi di buona volontà e dialogare senza fine. Tutto questo non vale per la maggior parte dei capi, per chi si espone e lucra sulle “mie sorelle” cattoliche di questo mondo: tutto questo non vale per gli Adinolfi, le Miriano, i Gandolfini, che sono principalmente quello che sembrano: egospie interessate al loro tornaconto di visibilità politica e mediatica. Il modo migliore per costruire una civiltà del dialogo è decapitare i capi privi di accuratezza morale. (Decapitarli simbolicamente, visto che quando si tratta di religione nel 2016 i chiarimenti non sono mai abbastanza.)

Qualche giorno fa ho visto un bellissimo film di Francois Ozon, uscito nel 2009, Ricky, che racconta la storia di un neonato cui spuntano le ali: la madre vive con la sua bambina di sette anni, poi conosce una specie di balordo e ci fa un figlio: alla fine s’intende che tutta la vicenda è una sorta di visione ipnagogica sulla maternità, sull’attesa, sul trauma e sul sogno di generare (in tedesco Traum significa sogno, come insegna Schnitzler). Ho pensato che il desiderio di procreare, di perpetuarsi nel futuro, è esattamente come il bimbo con le ali da uccello, prima deboli poi sempre più grandi e forti, messo in scena dal regista francese. Il mio sogno illuministico e sentimentale, per questo febbraio, è che il disegno di legge venga approvato così com’è: che le coppie omosessuali possano almeno contemplare la possibilità di quelle ali: e infine, che possa rivedere il film insieme a lei, Annalisa, e ai nostri figli, e poi abbracciarla, mentre scorrono i titoli di coda. Ma con le unghie fraterne ben affilate sulla sua schiena. Perché lo so: starà già pensando al referendum abrogativo.

Immagini Hulton Archive/Getty Images.