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È morto Vince Zampella, l’uomo che con Call of Duty ha contribuito a fare dei videogiochi un’industria multimiliardaria Figura chiave del videogioco moderno, ha reso gli sparatutto mainstream, fondando un franchise da 400 milioni di copie vendute e 15 miliardi di incassi.
A Londra è comparsa una nuova opera di Banksy che parla di crisi abitativa e giovani senzatetto In realtà le opere sono due, quasi identiche, ma solo una è stata già rivendicata dall'artista con un post su Instagram.
Gli scatti d’ira di Nick Reiner erano stati raccontati già 20 anni fa in un manuale di yoga scritto dall’istruttrice personale d Rob e Michele Reiner Si intitola A Chair in the Air e racconta episodi di violenza realmente accaduti nella casa dei Reiner quando Nick era un bambino.
Il neo inviato speciale per la Groenlandia scelto da Trump ha detto apertamente che gli Usa vogliono annetterla al loro territorio Jeff Landry non ha perso tempo, ma nemmeno Danimarca e Groenlandia ci hanno messo molto a ribadire che di annessioni non si parla nemmeno.
Erika Kirk ha detto che alle elezioni del 2028 sosterrà J.D. Vance, anche se Vance non ha ancora nemmeno annunciato la sua candidatura «Faremo in modo che J.D. Vance, il caro amico di mio marito, ottenga la più clamorosa delle vittorie», ha detto.
A causa della crescita dell’industria del benessere, l’incenso sta diventando un bene sempre più raro e costoso La domanda è troppa e gli alberi che producono la resina da incenso non bastano. Di questo passo, tra 20 anni la produzione mondiale si dimezzerà.
È appena uscito il primo trailer di The Odyssey di Nolan ed è già iniziato il litigio sulla fedeltà all’Odissea di Omero Il film uscirà il 16 luglio 2026, fino a quel giorno, siamo sicuri, il litigio sulle libertà creative che Nolan si è preso continueranno.

Il barista, per oggi, non vi sgozzerà

L'utilizzo della parola "raptus" in cronaca nera: come un concetto, inesistente dal punto di vista psichiatrico, ha diffuso un'idea sbagliata. E, cioè, che chiunque potrebbe ammazzare, così per.

04 Settembre 2014

Millenni fa vivevo a Roma, in un appartamento condiviso proprio sopra a un bar che faceva pessimi cappuccini e ottimi maritozzi, con e senza panna. Studiavo per prepararmi all’esame di Stato per diventare giornalista professionista, il che implicava leggere testi e seguire lezioni su temi di cui altrimenti mai mi sarei occupata (tipo: cronaca nera) e mangiavo una quantità spropositata di maritozzi, il che probabilmente oggi provocherebbe un’obesità grave e un’ostruzione alle mie coronarie, ma che allora non mi creava alcun problema (nota a margine: quando vi dicono che i trenta sono i nuovi venti, mentono, e i maritozzi lo dimostrano). Il cameriere del bar era un tipo gentile e un po’ tamarro, si chiamava qualcosa tipo Giulio o Giuliano, ma su questo punto la memoria potrebbe fare cilecca.

Mi capitò di seguire una lezione sul tema omicidi (nel senso di come scrivere di omicidi, non come commetterli). L’insegnante tenne un lungo discorso sulle regole d’ingaggio per l’utilizzo della parola “killer”. Pensateci bene prima di scrivere che una persona è un killer, disse, perché «se qualcuno uccide in preda a raptus non è un killer». Ora, mai io avrei pensato ti utilizzare la parola “killer” in un articolo che non fosse una recensione a un fumetto (chessò, nei Cavalieri dello Zodiaco Skorpion era il killer del Santuario) oppure chattando con qualcuno in inglese (that show was killer, che poi mi dicono essere uno slang un po’ da vecchi). Però fu un’altra parola, di quella lezione, a colpirmi molto: «raptus». Il docente, peraltro, quella frase la ripeté ben più di una volta, «se qualcuno uccide in preda a raptus non è un killer».

Non trovai il coraggio di chiedergli che cosa fosse, esattamente, un «raptus» e di questo mi pento ancora oggi.

Perché, a distanza di anni, è una domanda che continuo a farmi, ogni volta che leggo sui giornali frasi come «picchia la figlia: arrestato un uomo in preda a un raptus» (Il Mattino, 28 agosto), «in preda a un raptus omicida, l’ha colpita più volte spaccandole la testa» (Tgcom, 11 agosto), «in preda a un raptus uccide figlio adottivo» (Il Tirreno, 19 luglio), «padre in preda a un raptus uccide la figlia con una coltellata al cuore» (Il Giornale, 17 agosto), e via dicendo (questi, lo avrete capito, sono soltanto i primi risultati di Google): che cosa vuole dire essere «in preda a un raptus»?

Il dizionario Sabatino Coletti, quello consultabile attraverso il sito del Corriere della Sera, definisce «raptus» come «impulso improvviso e incontrollabile perlopiù violento». Come esempio cita, manco a dirlo, «raptus omicida».

Se ne potrebbe dedurre, allora, che il termine «raptus» si applica a qualsiasi forma di violenza non premeditata. Insomma, quando si mena o s’ammazza in uno scatto d’ira, non perché si stesse covando da tempo il piano omicida (la premeditazione, peraltro, è un’aggravante in sede legale).

Il raptus, invece, è sempre “inspiegabile”. Così, è una cosa che capita. Uno sghiribizzo che potrebbe saltar fuori nella testa di tutti, un impulso improvviso che potrebbe impadronirsi di chiunque trasformandolo in uno di quegli squartatori tipo Criminal Minds.

Ma è evidente che usare la parola «raptus» fa tutto un altro effetto che scrivere, chessò, “uno scatto d’ira”. È un termine che tinge tutta la vicenda di un’aura misteriosa. Si può uccidere in uno scatto d’ira perché si è scoperto che la propria donna, o il proprio uomo, ci ha traditi. Si può uccidere in uno scatto d’ira perché il rancore che si cova nei confronti di qualcuno – un figlio piccolo o un genitore anziano che ci ha “rovinato la vita”, un amico di cui siamo gelosi, gente il cui colore della pelle o la cui religione ci sta antipatici – esplode d’un tratto. Il raptus, invece, è sempre “inspiegabile”.

Così, è una cosa che capita. Uno sghiribizzo che potrebbe saltar fuori nella testa di tutti, un impulso improvviso ed inspiegabile e che potrebbe impadronirsi del corpo di chiunque trasformandolo in uno di quegli squartatori tipo Criminal Minds. Questo elemento può essere esplicitato nel testo («Lui stesso ha dichiarato in preda a un raptus di cui non sa dare spiegazione ha ucciso quel figlio tanto voluto» Il Tirreno, 19 luglio), oppure restare nel sottotesto, ma il »raptus» resta sempre quella roba lì.

Per anni il «raptus» me lo sono immaginato così: il barista Giuliano che un giorno come un altro, mentre prepara un cappuccio, chiacchiera con un cliente della Maggica oppure fa il filo alla mia coinquilina, estrae il coltello del prosciutto da sotto il bancone e sgozza qualcuno, magari pure me. Così, perché quel qualcuno (spero non io) era lì. Così perché gli è preso un raptus.

Ora, prima che pensiate che io sia affetta da gravi turbe paranoidi, tengo a precisare una cosa: a questa storia del raptus non ci ho mai creduto. Senza essere particolarmente ferrata né in psichiatria né in cronaca nera, semplicemente trovavo poco plausibile che un tizio qualunque, senza alcuna ragione specifica né gravi turbe pre-esistenti, da un giorno all’altro potesse essere posseduto da un istinto omicida irrefrenabile e recidermi la carotide. L’idea del barista tamarro che sgozzava tutti era un’immagine assurda, che mi veniva in mente un po’ per ridere, e un po’ per dire: maddai.

Questa storia del raptus, si diceva, non mi ha mai convinta, però fino a qualche giorno fa non ero in grado di sostanziare il mio scetticismo. Fino a quando uno psichiatra, intervistato sula 27esima ora, non ha chiarito una volta per tutte: Il raptus non esiste. «In psichiatria, tendiamo a escludere l’esistenza del raptus», dice Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli nonché ex presidente della Società italiana di psichiatria, interivstato da Giusi Fasano. «Sotto il cappello del raptus, o alcune volte della follia, si mette la violenza inaudita, quella imprevista, impulsiva. E non si considera mai che, guarda caso, quella violenza ha come oggetto i più fragili, i deboli, le persone indifese e quindi le più esposte. Lei ha mai sentito dire di qualcuno colto da raptus che ha assalito un uomo grande e grosso?».

A volte mi chiedo se la parola raptus non vada tanto di moda, in certi ambienti, proprio per questa ragione. Perché attira l’attenzione, insinuando nel pubblico una piccola paura, un brivido sottopelle, un dubbio costante: se la follia omicida è qualcosa che può capitare così, senza una ragione, allora chiunque potrebbe uccidere – e uccidermi. Basta che gli passi quello sghiribizzo nella testa. Chissà, un giorno il mio vicino si alza la mattina in preda a un raptus improbabile e – zac.

Adesso, finalmente, sappiamo che il raptus non esiste.

Potete dormire sonno tranquilli. Anzi, potete alzarvi tranquilli la mattina e andare a fare colazione al bar: il barista, per oggi, non vi sgozzerà.

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