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La quarta stagione di The White Lotus sarà ambientata tra Parigi e la Costa Azzurra Saltato l’accordo commerciale con la catena di hotel Four Seasons, HBO sta cercando hotel di lusso vista Senna come set della nuova stagione.
Robert Pattinson ha deciso di diventare un cantante e avrebbe già pronto il suo primo album Un’ambizione che coltivava sin dai tempi di Twilight: due brani della colonna sonora del film li cantava lui.

Proust prima di Proust

Se la Recherche resta l’opera insostituibile, i racconti giovanili pubblicati dalle edizioni Clichy sono l'occasione per leggere Proust anche se non l'avete mai fatto.

17 Ottobre 2017

Cosa significa leggere Proust nel 2017? È possibile? Ha senso? Cosa può insegnarci? Con le sue 2400 pagine la Ricerca del tempo perduto incute riverenza e sospetto, e oggi rischia più che mai rischia di apparire un’opera inattuale, pretenziosa o semplicemente irraggiungibile. Soprattutto – e qui sta tutto il paradosso – a quelli che non la conoscono. Difficilmente, infatti, chi si è deciso ad affrontarla non ne è stato in qualche modo cambiato, ed è praticamente impossibile, anche volendo preferire a Proust altri tipi di scrittura e idee di letteratura, tornare a casa da quel viaggio a mani vuote. Certo, i detrattori vi diranno che la sua è una storia ambientata in un mondo che non esiste più, che i protagonisti sono personaggi di una classe sociale che definire “minoranza” sarebbe generoso e che il suo stile è sorpassato come sorpassate sono gli ideali di bellezza che ispira e difende.

In realtà Proust può essere letto in centinaia di modi diversi (e la pletora infinita di saggi, studi, convegni, colazioni letterarie, escursioni, pubblicazioni, conferenze, illazioni critiche sul suo conto lo conferma), e gli spunti che offre al lettore, oltre che pressoché infiniti, sono e restano smodatamente attuali. Le sue pagine sulla gelosia e sulle pene d’amore sono esatte e preziose come quelle dei migliori romanzi rosa, i tempi e i rovesci narrativi dei sette tomi che compongono la Recherche sono degni di una grande serie tv in sette stagioni, gli affreschi mondani e le sue condanne alle futilità di un mondo troppo social(e) e sempre connesso sono veri e propri longform sulla società dell’immagine e dell’apparenza. Insomma leggere la Recherche rischia, ancora oggi, di portare consiglio, grazia e consolazione agli ambiti più svariati della nostra vita, a patto di leggere quelle pagine nel modo giusto, ovviamente, ovvero spogliandole del tempo con t minuscola (quello di una Francia ormai scomparsa, e di nobili talmente polverosi da suonare muti e apparire invisibili) per scoprire l’altro, quello invincibile con la T maiuscola, che continua a ripetersi, a tornare ciclicamente, a fare il suo corso senza stancarsi mai (e che la letteratura, e più in generale l’arte, cercano da sempre di cristallizzare nel loro sguardo.)

Forse nemmeno a patto di leggerle nel modo giusto, ma semplicemente a patto di leggerle tout court. Fino a qualche decennio fa, infatti, quella proustiana era una tappa ineludibile nel cammino di qualsiasi lettore forte, ma le cose da qualche tempo sono cambiate. Agli occhi di giovani impazienti, adulti indaffarati o intellettuali po’ bugiardi (che dicono di averlo letto tutto tanti anni fa e di essersi annoiati, o di aspettare la pensione per poterlo “rileggere”) la Recherche si sta trasformando in un vino d’annata riposto con cura sugli scaffali alti della dispensa, cui preferiamo il gusto disimpegnato di una bottiglia meno importante, di un passatempo meno oneroso e più abbordabile. Per deciderci a stappare quella bottiglia aspettiamo il momento giusto – la visita di qualcuno d’importante o di un evento degno dell’occasione – e finiamo così, a causa della troppa importanza che le abbiamo dato, per dimenticarci di lei. Se il momento giusto, in letteratura e nella vita, non esiste, non esistono, peraltro, nemmeno vere e proprie alternative a Proust, come non esistono alternative a Parigi, alla tarte Tatin o alla pittura pointilliste: questo anche i suoi detrattori potranno confermarvelo. Si ha, ovviamente, tutto il diritto di rinunciare, e di trovare felicità e riparo in altri angoli di mondo più accoglienti e contemporanei: nessuno potrà volercene più di tanto.

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Per gli indecisi e i curiosi, tuttavia, c’è una buona notizia: se la Recherche resta l’unica, insostituibile opera proustiana non è detto che si debba per forza iniziare da lì. Prima di sposare Marcel Proust per l’eternità (o quantomeno per diversi mesi, come la lettura dei sette tomi di Alla ricerca del tempo perduto prevede) lo si può invitare per il fine settimana, e conoscerlo senza impegno e ansia da prestazione. I sei racconti giovanili appena pubblicati dalle edizioni Clichy (191 pp, 12 euro), curati da Giuseppe Girimonti Greco ed Enzo Sinigaglia, offrono l’occasione perfetta per una scorribanda leggera nell’universo e nella prosa proustiana. Editi nella collana Père Lachaise con traduzioni dei curatori stessi e di Mariolina Bertini, Federica di Lella, Ornella Tajani, questi testi sprigionano uno strano fascino, opposto alla cosiddetta “bellezza dell’asino”: uno charme a tratti ingenuo ma talmente promettente da suonare già sicuro del fatto suo. Il bacio della buonanotte della mamma, l’amore che diventa ossessione, le ambizioni letterarie e le idiosincrasie mondane, il disprezzo per la mediocrità e la devozione alla promesse della bellezza e agli incanti della nostalgia. È già tutto qui, in meno di 200 pagine, mirabilmente tradotto e illuminato dall’inconfondibile luce argentina della giovinezza.

De Benedetti, uno dei grandi lettori e critici della Recherche, ha scritto una volta a proposito di Marcel Proust: «Sembrava non volere niente, cercare qualcosa». L’uomo descritto in questa frase è il Proust della maturità, delle tende tirate, delle notti di veglia e delle colazioni a letto. Un uomo che per scrivere ha smesso di vivere, e ha riposto nella sua opera ogni desiderio, ogni incanto e ogni speranza. Quello dei Racconti, in un certo senso, fa tutto l’opposto: vuole tutto, brama la vita e le feste, la scrittura e lo stile, cerca riparo nei suoi maestri e si getta coraggioso verso i suoi futuri lettori. Lo si immagina sedersi al tavolo fra un ballo e un altro, spensierato e malinconico insieme, con la giacca sulla sedia e il fiore all’occhiello un po’ appassito, pronto a essere sostituito per la prossima soirée.

Racconti come “L’indifferente”, “La fine della gelosia” e “Malinconica villeggiatura di Madame de Breyves”, sono Proust prima di Proust ma pur sempre Proust, come le vecchie fotografie in cui ci si riconosce appena e al tempo stesso non si è cambiati di una virgola. Non possono e non pretendono certo di sostituire la Recherche, ma ce ne lasciano assaggiare il gusto, ne annunciano i temi, ne suggeriscono il suono e la luce, le ossessioni e le ombre. E – sia che con Proust si voglia farla finita o non smettere mai – sono un’ottima compagnia con cui mettersi in viaggio.

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