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20:54 venerdì 22 agosto 2025
Daniel Day-Lewis non recita più ma ha fatto un’eccezione per il film d’esordio di suo figlio  Sono passati otto anni dalla sua ultima volta, ha interrotto il pensionamento per fare il protagonista nell'opera prima del figlio Ronan.
Il rebranding dell’Eurovision per il 70esimo anniversario non sta andando per niente bene Il nuovo logo, soprattutto, non piace né ai fan né ai graphic designer, che già chiedono di tornare alla versione precedente.
L’organizzazione che monitora la sicurezza alimentare nel mondo ha confermato per la prima volta che a Gaza c’è una carestia Secondo l'Integrated Food Security Phase Classification, organizzazione alla quale si affida anche l'Onu, a Gaza la situazione è di Carestia/Catastrofe umanitaria.
Il nuovo trailer del Mostro conferma che la serie di Stefano Sollima è uno dei titoli imperdibili della Mostra del cinema di Venezia Dopo la prima a Venezia sarà disponibile su Netflix a partire dal 22 ottobre.
L’ultimo film della saga di Mission: Impossible è stato trasmesso gratuitamente su YouTube, ma ha potuto “vederlo” solo chi conosce l’alfabeto Morse E il pubblico sembra aver molto apprezzato l'iniziativa, a giudicare dai commenti che si leggono su YouTube.
A Maiorca quest’anno ci sono molti meno turisti a causa delle proteste contro l’overtourism Addirittura il 40 per cento in meno rispetto al 2024, secondo gli allarmatissimi balneari, ristoratori e albergatori locali.
Un sacco di gente è andata a vedere un concerto di Justin Bieber a Las Vegas senza accorgersi che sul palco non c’era lui ma un sosia Ci è voluta una canzone intera (una non eccellente interpretazione di "Sorry") prima che qualcuno cominciasse a sospettare.
È uscito il primo trailer di Good Boy, l’horror raccontato dal punto di vista di un cane Chi il film l'ha già visto dice che è bellissimo e che il protagonista, il cane Indy, meriterebbe un premio per la sua interpretazione.

Il problema dei media italiani col populismo

Il punto è aver accettato la visione anti-pluralista imposta da alcune forze politiche: "solo noi rappresentiamo la gente e ne conosciamo i veri problemi".

20 Dicembre 2017

Cosa vuol dire, come si sente dire in questo periodo, che parte del sistema mediatico italiano, e con lui quindi una buona fetta di discorso pubblico, ha ceduto al grillismo (e al leghismo) invece che contribuire a costruire un argine al populismo?

Può aiutare, nella comprensione di quanto sta succedendo, la lettura di “What’s Populism?” del politologo tedesco Jan-Werner Müller nella sua nuova edizione inglese uscita a novembre da Penguin. Alle analisi già pubblicate nel 2016, Müller aggiunge ora un capitoletto intitolato “How not to think about Populism”, come non pensare il populismo, che prende in considerazione, nella lettura del fenomeno, quel tanto che è successo nel mondo in questi ultimi quindici mesi.

Müller esprime bene, in poche paginette, un concetto su cui in molti fanno confusione: quale sia la vera essenza del populismo, e di conseguenza cosa stiano sbagliando politici, giornalisti e addetti ai lavori nel racconto di chi se ne è fatto alfiere (e in questa definizione come sappiamo, ci possono stare dentro politici e movimenti molto diversi da loro, da Orban e Maduro a Trump, da Podemos al M5S, passando per Afd, l’estrema destra austriaca, Farage, Wilders, eccetera; mai chi li vota, non è il loro diritto di scegliere e di protestare a dover essere messo in discussione, come fece Hillary Clinton con lo sciagurato “deplorables”).

Il grosso equivoco, afferma l’autore, è questo: i populisti non hanno l’esclusiva della rappresentanza delle istanze e dei bisogni di tutti cittadini; non esiste una formazione politica in grado di rappresentare tutti i problemi di tutte le persone, da contrapporre sempre e comunque ai privilegi di fantomatiche élite. Attaccare l’establishment, a torto o a ragione, fa da sempre parte di un certo modo di fare politica e informazione, è fisiologico e anche giusto, si pensi alla storia della sinistra. Non è dunque questa, storicamente, la vera novità portata dai movimenti populisti, anche se chi li vota spesso lo fa, legittimamente, per questo motivo.

Penguin_Cover (1)

Arrogarsi il diritto di rappresentare tutti, anche quando l’evidenza dei numeri dice il contrario, è la vera caratteristica delle forze populiste, che le rende per questo prima di tutto anti-pluraliste e le pone in antitesi ai principi della democrazia liberale, primo fra tutti la rappresentanza. Sono anti-pluralisti, dice sempre Müller, su due livelli: quello rappresentativo, per cui ogni leader o formazione che non la pensa come loro è automaticamente corrotta, “crooked” per dirla alla Trump, o comunque non qualificata a rappresentare nessuno perché compromessa col potere, moralmente condannabile a priori – che è il motivo per cui queste forze politiche portano spesso lo scontro lontano dalle proposte per stare sul terreno della legittimità morale. E sono anti-pluralisti anche a livello popolare: un anti-pluralismo che diventa squalifica di qualsiasi voce o movimento, spontaneo o organizzato, che osi alzare critiche nei loro confronti. La reazione è sempre: chi ti paga? Chi ti manda? Che interessi difendi? I famosi “paid up activists”, attivisti pagati, per dirla sempre alla Trump. Trattamento simile è riservato qui da noi a chiunque, sui social ad esempio, osi criticare il Movimento Cinque Stelle: chi ti manda?, domanda che sottintende il concetto di cui sopra: a noi ci manda il popolo, tu chi sei e chi rappresenti.

Ecco, affermare che buona parte dei media italiani hanno ceduto al populismo, non significa affermare per forza che stiano prendendo le parti di questo o quel leader o partito politico: significa prendere atto che hanno dato per buono e veritiero il racconto del mondo che i populisti hanno imposto all’agenda politica e mediatica, e cioè che sia finalmente in atto una rivolta di tutte le persone vere, “the real people” contro l’establishment, e che ci siano delle formazioni, quelle populiste appunto, che siano depositare dei veri problemi di “tutti”, da contrapporre ad altre, più pragmatiche o moderate, che difenderebbero sempre e solo gli interessi esclusivi di pochi.

Ma leader come Wilders o Farage o Salvini, rappresentano meno di un quarto dell’elettorato del loro paese. Non rappresentano tutti, neanche lontanamente. Che dire dei milioni di cittadini che non li votano? Sono tutti esecutori al soldo di questo o quell’interesse particolare e d’élite?

Ecco perché accettare di raccontare tutto con questa chiave, “real people” contro “establishment”, come da un po’ avviene nei talk -show e sulle prime pagine di alcuni quotidiani nazionali, non è sinonimo di imparzialità, come molti spiegano. È anzi una chiara scelta di campo nella vera sfida che si sta giocando: da una parte l’anti-pluralismo populista, con il suo megafono politico e mediatico; dall’altro la democrazia liberale, con le complessità che si porta appresso e i valori che rappresenta (di cui, per altro, i giornali e il discorso pubblico sono storicamente sia una conquista che un pilastro).

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