Attualità

No, “Addio, Wanda!” no

Ogni volta che si riapre il dibattito sulla prostituzione qualcuno tira in ballo il pamphlet di Montanelli. Che però è un testo di rara violenza.

di Anna Momigliano

«Al di là del peccato, almeno in Italia, non c’è la Virtù. C’è il Vizio. Ci sono le ragazze che muoiono sulle spiagge, vergini sì, ma da una parte sola»
(Indro Montanelli, Addio, Wanda!)

Per prima cosa tocca fare una premessa, che in questi casi il rischio di fraintendimento è alto: chi scrive è assolutamente favorevole alla riapertura delle case chiuse – tema che, in mancanza di cose più interessanti di cui discutere, si riguadagna ciclicamente un po’ d’attenzione da parte dei media italiani.

Auspico la riapertura dei bordelli – anzi, la legalizzazione, visto che di bordelli clandestini non mi pare ci sia tutta questa penuria – per una serie di ragioni, alcune semplici ed altre complesse, su cui non vale la pena di soffermarsi più di tanto. Per il momento, ne basti una: in una democrazia liberale, dovrebbe essere permesso tutto ciò che non rappresenta una minaccia grave e diretta alla libertà e all’incolumità altrui. Insomma, in una democrazia liberale, prima di proibire qualsiasi cosa servono ragioni schiaccianti. E, per quanto io mi scervelli, proprio non riesco a capire come un postribolo possa costituire una minaccia alla sicurezza o alla libertà dei cittadini italiani (ah, se avvertite il bisogno di fare i brillanti, potete inserire qui un commento sagace sul fatto che l’Italia non sia una democrazia liberale).

Tutto questo per dire che quanto segue non è una tirata contro la libera professione. Piuttosto è un invito, quasi una supplica, se volete: basta-con-questa-storia-di-Montanelli.

Il fatto è questo. Ogni volta che in Italia si torna, per una ragione o per l’altra, a discutere della riapertura dei casini, c’è sempre qualcuno che tira in ballo Addio Wanda, il celebre libello di Indro Montanelli contro la Legge Merlin, che a partire dal 20 settembre del 1958 abolì le case di piacere. È successo nei mesi scorsi, quando il sindaco di Mogliano Veneto ha lanciato una raccolta firme per un referendum per abrogare “la parte della legge Merlin che impedisce l’apertura di case di chiuse”, ed è successo tante volte in passato: quando si parla di bordelli, si finisce a parlare, magari con un sospiro nostalgico, di Montanelli e del suo rinomato pamphlet.

Ecco, quello che vorrei dirvi è questo: i sospiri nostalgici teneteli pure per i casini, ma, per favore, lasciate Montanelli fuori da questo dibattito. Anzi, parlate pure di Montanelli, che in altre sedi ha avuto anche cose interessanti da dire proprio sulle case chiuse. Ma, vi prego, lasciate stare Addio Wanda. Che non è soltanto un’opera, per quanto divertente e gradevole alla lettura, figlia di una morale lontana anni luce dal sentire contemporaneo (cosa che, visti la data e l’autore, ci starebbe anche). È un libello che trasuda una misoginia, in qualche tratto persino una violenza misogina, tali dal non potere essere liquidati come “sensibilità d’altri tempi”.

Al pari delle madeleine di Proust, Addio Wanda appartiene a una schiera di citazioni prêt-à-porter con cui si è tentati d’imbastire una conversazione, non sempre a proposito.

E allora perché, a distanza di più di mezzo secolo, siamo ancora qui a parlarne? L’impressione è che, al pari delle madeleine di Proust, Addio Wanda appartenga a quella folta schiera di citazioni prêt-à-porter con cui talvolta si è tentati d’imbastire una conversazione, e non sempre a proposito. Spesso e volentieri, chi cita in termini favorevoli il libello di Montanelli lo presenta come un’invettiva contro il moralismo, oppure come un’ode a una virilità perduta, a un tempo in cui i ragazzi diventavano uomini – e, incidentalmente soldati – tra le braccia di una professionista. E, in effetti, è entrambe le cose. Ma, a leggerlo integralmente, è anche molto altro.

Si tratta, ovviamente, di un’opera satirica. Addio Wanda (sottotitolo: Rapporto Kensey sulla situazione italiana) altro non è che un immaginario dossier stilato da «un illustre sociologo americano», tale professor Kensey, inviato dal dipartimento di Stato per indagare su un bizzarro caso di depressione collettiva che affligge l’Italia all’indomani della promulgazione della Legge Merlin. L’intera nazione è allo sbando. Privato dei bordelli, il popolo italiano è in preda all’abulia, e questo vale non solo per gli uomini, avviliti dalla privazione del godimento, ma anche per le donne, sperdute davanti all’afflosciamento dei mariti. Nulla funziona più come dovrebbe: i ladri non rubano, le guardie non li inseguono, i vigili urbani s’addormentano, tanto s’è ammosciato il traffico, i milanesi non lavorano e, cosa forse ancor più allarmante, gli emiliani non mangiano più le lasagne. Il professor Kensey ci mette un po’ a capire cosa sta accadendo e risale alla causa della catastrofe soltanto dopo avere girato le principali città del paese e incontrato illustri politici e giornalisti. Brillanti, tra l’altro, le parodie di alcune figure pubbliche dell’epoca: Mario Missiroli, allora direttore del Corriere della Sera, è uno dei bersagli preferiti, mentre a Giuseppe Saragat tocca la stoccata: «Lui al casino non ci va perché non ci sono le minorenni».

Il pamphlet si conclude con le raccomandazioni all’ambasciatrice americana a Roma da parte dell’esimio professore. Il quale traccia alcune conclusioni sul contributo del meretricio alla stabilità della nazione italiana, che, è lecito supporre, riflettono le opinioni di Montanelli, seppure in chiave ironica: «In Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli: la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia».

Ebbene, la difesa delle case chiuse in quanto elemento imprescindibile del funzionamento del sistema-Italia si regge su due punti: i bordelli servono a fare gli uomini, e servono a tenere le donne al loro posto.

Sul primo punto – che, come già detto, è quello più frequentemente citato – si potrebbero dire molte cose. A cominciare dal fatto che una concezione di virilità che presuppone, per forza, l’andare a puttane sarebbe oggi non solo poco condivisibile, ma persino risibile (l’andazzo, tra i giovani maschi, mi pare piuttosto: se non riesci a rimediare una donna, sei uno sfigato). Il binomio virilità-meretricio, tra l’altro, si reggeva a sua volta su un altro binomio, quello del maschio-soldato, che presupponeva di contorno il conforto di una prostituta come meritato sollievo alle fatiche belliche: «da Wanda ci andava anche lui, perché se non ci fosse andato, non avrebbe mai avuto la forza e il coraggio di morire», si legge in Addio Wanda a proposito del Milte Ignoto. Ora, sulla correlazione tra la virilità, la guerra e l’andare a puttane, la questione può essere felicemente archiviata nel reparto “valori d’altri tempi”. C’è anche chi di questi valori avverte una certa nostalgia. Io no, però non mi pare una cosa poi così grave.

È il secondo punto – ossia l’argomentazione secondo cui i bordelli svolgono un irrinunciabile contributo sociale, proprio perché fanno stare le donne al loro posto – che mi spaventa. Montanelli/Kensey lo scrive senza mezzi termini, e più di una volta: le case chiuse servono a preservare la distinzione tra moglie e donna di piacere, tra vergine e puttana, che è alla base dell’ordine sociale italiano, e che sarebbe desiderabile preservare. «In Italia la società dov’è?», si legge. «Io in questo Paese vedo solo famiglie, in cui le lenzuola erano (in genere) pulite, solo perché i maschi potevano sporcare quelle dei bordelli». Insomma, i mariti possono evitare di fare troppe cosacce con le mogli, e dunque di mancare loro di rispetto, grazie alle case di piacere: in un altro capitolo del libello viene portato ad esempio il caso di un imbarazzatissimo burocrate che, trovatosi improvvisamente a corto di altri sfoghi, ha dovuto chiedere alla moglie di indossare una giarrettiera rossa. Si dirà: suvvia, la distinzione tra compagna e amante, tra moglie e puttana, faceva parte della mentalità dell’epoca. Risposta: mica tanto, se è vero che già Freud, che pure qualche anno in più rispetto a Montanelli ce l’aveva, aveva individuato nella “dicotomia Madonna-Puttana” una nevrosi.

Mantenere in vita le case di piacere, dunque, è una questione di ordine non solo perché offre una valvola di sfogo agli uomini, ma anche – se non soprattutto – perché incasella le donne in due categorie che debbono restare separate: che le puttane facciano le puttane, e le vergini facciano le vergini. Le prime senza imbarazzo, ma con riservatezza. Le seconde con la consapevolezza che, al primo sgarro, si va a fare compagnia alle prime.

«La famiglia, la famiglia all’italiana, funziona solo finché le figlie sono vergini, cioè finché hanno dinnanzi agli occhi lo spauracchio del lupanare, in caso di deviazione»

«Era chiaro che non si vergognava affatto del suo mestiere, ma capiva perfettamente le ragioni per cui chi lo esercitava doveva rassegnarsi alla squalifica da parte della società», scrive Montanelli della Wanda da cui il titolo, rispettata e persino ammirata prima di tutto in quanto donna che sa stare al suo posto. «La famiglia, la famiglia all’italiana, funziona solo finché le figlie sono vergini, cioè finché hanno dinnanzi agli occhi lo spauracchio del lupanare, in caso di “deviazione”», prosegue in un paragrafo che vale l’intero pamphlet. «Il giorno in cui ad esse si conceda di “vivere la loro vita” senza timor di ferire in quei serragli, l’Italia è destinata a diventare uno dei tanti Paesi di moralità e di costume protestanti, dove la condizione di “vergine” non esiste, come non esiste quella di “puttana”, tutte le donne essendo accomunate in un limbo intermedio; e dove non esiste la famiglia». La funzione dei bordelli, dunque, è anche questa, essere uno spauracchio per le “vergini”, quasi una minaccia: un passo falso, ragazzina, e ti rinchiudo là dentro.

Ma la cosa che spaventa di più, quella che mi ha spinto a utilizzare sopra non solo il termine «misoginia», ma anche «violenza», è un’altra. Dal libello di Montanelli – e non soltanto nel sottotesto – traspare l’idea che, se non stanno al loro posto, le donne se la vanno a cercare. Si vanno a cercare la chiusura in un serraglio, si vanno a cercare anche la morte: «Al di là del peccato, almeno in Italia, non c’è la Virtù. C’è il Vizio. C’è Capocotta. Ci sono le ragazze che muoiono sulle spiagge, vergini sì, ma da una parte sola». La ragazza morta sulla spiaggia cui si riferisce è Wilma Montesi, trovata senza vita nel 1953 sul litorale di Torvaianica, nei pressi di Roma. Il caso, passato alla storia come il “delitto di Capocotta”, resta ad oggi irrisolto: a lungo la stampa e gli inquirenti batterono la pista dell’“orgia finita male”, sebbene l’autopsia avesse rivelato che Wilma, a 21 anni, fosse ancora vergine.

Qual è allora il messaggio di Addio Wanda? Che se le ragazze cominciano ad aprire le gambe, poi che si ritrovino con la gola squarciata è il minimo che possa capitare. E che se per caso il corpo di una giovane donna viene trovato su una spiaggia senza vita, e se per caso dall’autopsia si viene a scoprire che la ragazza le gambe non le aveva mai aperte, vorrà dire che deve avere aperto qualcos’altro. Perché alle brave signorine, alle fanciulle dei bei tempi in cui il mondo femminile era rigidamente suddiviso in vergini e puttane, certe cose non capitano.

E adesso, per favore, dimentichiamo Addio Wanda.