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La regista della quinta stagione del progetto Crossroads di Giorgio Armani sarà Celine Song Cinque artiste in altrettanti video per parlare di cosa voglia dire trovarsi di fronte a un bivio (e poi scegliere). Nel primo episodio la protagonista è Tecla Insolia.
Una donna australiana è stata “dimenticata” su un’isola durante una crociera ed è morta La donna si sarebbe allontanata durante un'escursione e non avrebbe fatto in tempo a tornare alla nave prima che ripartisse.
Amazon licenzierà 14 mila dipendenti, soprattutto dirigenti che a quanto pare verranno sostituiti dall’AI Non è l'unica multinazionale che ha preso o sta prendendo decisioni simili: entro la fine dell'anno i licenziamenti saranno diverse migliaia.
In una settimana Il mostro è diventata la serie più vista su Netflix in tutto il mondo  In 44 Paesi è in cima alla classifica dei titoli più visti, in 85 figura nella Top Ten: nessun altro si è avvicinato a questi risultati.
Era nell’aria da tempo ma adesso è confermato: ci sarà una reunion dei CSI La prova è un post pubblicato su Instagram da Gianni Maroccolo in cui si vede la band al completo.
È morto James Senese, leggenda della musica napoletana Talentuoso sassofonista dei Napoli Centrale, fondatore del Neapolitan Power, suonò per anni con Pino Daniele.
È morto Mimmo Jodice, uno dei più importanti fotografi italiani Tra i lavori che restano nella storia della fotografia le Vedute di Napoli, la serie Anamnesi e le foto ai capolavori del Museo Archeologico
Al Museo della moda di Anversa si terrà la prima mostra di sempre dedicata agli Antwerp Six La mostra inaugurerà il 28 marzo e rimarrà in cartellone fino al 17 gennaio 2027.

L’Italia e Gheddafi in due frasi

O del perché Herbert Pagani e Lindo Ferretti ancora oggi ci dicono molto sul nostro rapporto col Colonnello

31 Agosto 2011

Oggi ricorre, pardon, ricorrerebbe, l’anniversario del Trattato di amicizia italo-libica. Quell’accordo, noto anche come Trattato di Bengasi, siglato da Berlusconi e da Gheddafi il 30 agosto del 2008 e ratificato dal nostro Parlamento l’inverno successivo, in cui la Libia si proponeva di “chiudere definitivamente il doloroso capitolo del passato” (domanda: inteso come passato coloniale oppure anche come passato terroristico?) e in cui l’Italia si impegnava a versare, sotto varie forme, cinque miliardi di euro. Il prezzo del perdono storico ma anche di un concreto aiuto nel contrastare l’immigrazione africana, per non particolare della cooperazione energetica.
Nello stesso trattato, per inciso, Italia e Libia si impegnavano anche ad astenersi “da qualunque forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell’altra Parte” in nome, testuali parole, dello “spirito di buon vicinato.” A scanso di equivoci: “l’Italia non userà, ne permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l’Italia” (articolo 4).
Convenientemente, il Trattato che vincolava al non intervento è stato dichiarato “sospeso di fatto” dal ministro della Difesa Ignazio La Russa lo scorso febbraio, mentre in Libia la protesta anti-Gheddafi stava dimostrando la propria consistenza, nonostante la repressione nel sangue, e mentre i vertici della Nato stavano mettendo a punto l’intervento militare che sarebbe iniziato il mese successivo. Il resto della storia lo conoscete: i rivoltosi e la Nato hanno vinto ed è ancora troppo presto per tirare le somme se per la Libia è la fine di una feroce dittatura o solo l’inizio di una guerra civile.
Oggi Gheddafi non c’è più, come (per il momento) non vige più il Trattato di amicizia siglato dal Colonnello e da Berlusconi. Sarebbe forse l’occasione per riflettere sulle tappe che hanno segnato il complesso rapporto tra la Libia e il nostro Paese. Ma le cronologie didascaliche non sono nella cifra di Studio (poi per quello c’è sempre Wikipedia), né qui abbiamo lo spazio o la presunzione di potere realmente fornire un compendio esaustivo delle relazioni italo-libiche. Come già fatto in passato, ci limiteremo a estrapolare e commentare alcune frasi che, seppure limitatamente, raccontano qualcosa del complesso rapporto che lega il nostro paese al Colonnello Gheddafi.

Allah è grande e Gheddafi è il suo profeta”
CCCP, sedicente gruppo punk emiliano
Vedi alla voce: complesso post-coloniale
Se citiamo Lindo Ferretti, non è perché ci siamo bevuti il cervello. Nella sua trashaggine che rende appieno solo in video, il testo di Punk Islam coglie bene, seppure involontariamente, la natura del “post-colonial guilt.” Quel senso di colpa che spinge alcuni figli ribelli dei colonizzatori a dare sempre ragione ai figli dei colonizzati, anche quando sono dei tagliagole o dei tiranni. E, quel che è peggio, a idealizzarli fino a renderli delle caricature di se stessi, macchiette ad uso e consumo dello spettatore occidentale.
Per anni Gheddafi è stato un’icona della sinistra anti-imperialista. Una scelta di campo non solo stupida e moralmente meschina (come il passato coloniale può giustificare il massacro di oltre duecento innocenti a Lockerbie?), ma che tradisce proprio il retaggio imperialista che i suoi sostenitori vorrebbero celare: la riduzione del non-occidentale a uno stereotipo.
Per gli appassionati del genere, è una delle critiche mosse spesso a scrittori come Salman Rushdie, accusato di proiettare con romanzi come Shalimar il Clown un’immagine del suo Paese “ad uso e consumo di lettori occidentali privi di strumenti.” Nota finale: Shalimar il Clown non è un brutto libro, ma proprio perché il protagonista anti-eroe non era una macchietta. O se non altro non era macchiettistico ai livelli del Gheddafi di Lindo Ferretti.

“Arrenditi all’evidenza, Colonnello. Sei il parente povero dell’Islam”
Herbert Pagani, cantautore libico rifugiato in Italia
Vedi alla voce: complesso d’inferiorità
Se esiste un complesso del colonizzatore, esiste anche un complesso del colonizzato. O, meglio, del colonizzato privo della “consolazione di un glorioso passato” da contrapporre al misero presente e per giunta umiliati dal dominio di un colonizzatore di seconda categoria. Questa era la lettura che Herbert Pagani, certo un osservatore di parte, offriva delle scorribande terroristiche di Gheddafi, nella sua (bellissima, seppur semisconosciuta) Lettera al Colonnello. In cui descrive la sua Libia, paese “disamato dalla storia.”

Prima che il suo nome fosse propulso nel cielo dei media, dai capricci congiunti del petrolio e di un tiranno, quest’immenso territorio non è stato, per 2.000 anni, che una fabbrica di dune. Uno zero, un’amnesia, un sacco di sabbia sventrato e disperso su 1.759.000 chilometri quadrati di mancanza d’ispirazione del Creatore.

E avvertiva, beffardo, il Colonnello:

Arrenditi all’evidenza, Colonnello. Né la tua bella faccia da antagonista, né il pennacchio dei tuoi pozzi, né le scie dei tuoi mirage in cieli non tuoi, né il tuo vivaio di terroristi riescono a trattenere a lungo l’attenzione del nostro mondo distratto. Una forza centrifuga maledetta fa svaporare il beneficio dei tuoi misfatti, come l’acqua dei tuoi uadi, impedendo alla tua periferia di trasformarsi in centro. Malgrado i tuoi sforzi, questo paese resta senza viso, come i tuoi sicari, e senza voce, come in passato.

Chissà, ancora oggi, quanto a lungo la Libia del dopo-Gheddafi riuscirà a trattenere “l’attenzione del nostro mondo distratto.”


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