Attualità

Generation Walk

Il cambio generazionale dei Millenials: se l'auto non è più uno status-symbol

di Davide Coppo

C’è stato un tempo, non così lontano, in cui si sognava a trazione anteriore, posteriore o a quattro ruote motrici. Un tempo in cui l’automobile era uno status symbol tra i più importanti della società. E una società che sull’automobile si fondava, non soltanto economicamente (leggi: Fiat) ma pure in un linguaggio fatto di interazioni, costume, moda, cultura. Le Topolino che affollavano le nuove autostrade verso le ancor più nuove vacanze al mare, e sull’altro lato le lotte sindacali a Mirafiori e il sardonico Cipputi di Altan. Anche oggi si parla di Mirafiori, e insieme di Detroit e di Polonia – ché la Fiat si è globalizzata -, e ancora di lotte e sindacati e votazioni nelle fabbriche, pro e contro Marchionne, ma se ne parla con formule vecchie, e proprio le forme ideologiche della prima repubblica sono alla base delle tensioni e delle polemiche. Anche la classe che le automobili le produce, letteralmente e manualmente, non è più la stessa.

La società è fortemente mutata (solite cose banali: caduta del Muro, globalizzazione, internet, eccetera eccetera) e mutati sono i suoi consumi – e il suo bisogno di determinati consumi. Le ultime fasce generazionali hanno nomi e caratteristiche ben definiti: i Baby Boomers, quelli che la guerra non l’hanno vissuta per un pelo (tendenzialmente nati nel segmento 1945 – 1965) e i Millenials, o Generazione Y (1970 – 1980 e oltre). I primi hanno fatto fiorire il mercato automobilistico (negli Stati Uniti il 62% è occupato dagli over 50, soltanto il 13% dai 18-34). I loro figli lo stanno spingendo verso una pericolosa discesa che s’affaccia su un preoccupante baratro, all’insegna dell’indifferenza. I Millenials vivono in città, non hanno alcuna intenzione di muoversi nei centri rurali (sempre negli Usa, un sondaggio del Wall Street Journal ferma all’88% la fetta di giovani che non desiderano in alcun modo “andare a vivere in campagna”), e hanno un altro significativo soprannome: Generation Walk.

La frustrazione del mercato automobilistico nei confronti dei Millenials emerse a una delle maggiori conferenze dello scorso anno, in cui Jim Lentz, presidente del ramo americano di Toyota, parlò così: «Dobbiamo affrontare la realtà: i giovani, oggi, non sembrano interessati nelle auto come le generazioni precedenti. Molti preferiscono di gran lunga comprare l’ultimo modello di smartphone o l’ultima console piuttosto che fare un esame di guida». Le ragioni del declino di un mito sono molteplici: quella economica, certo (questi giovani d’oggi: non si sposano, non comprano casa, non fanno figli e rallentano pure l’economia), quella geografica, che concerne più direttamente gli spostamenti inter-cittadini, inter-statali e persino inter-continentali: questa generazione è dopotutto quella che più viaggia, non solo per brevi periodi (chiamateli cervelli in fuga, se vi pare) ma anche per lunghi soggiorni di studio o lavoro. C’è la questione residenziale, già anticipata, con un’urbanizzazione costante – e all’interno dell’urbanizzazione, la veloce e continua gentrificazione dei quartieri in capitali come Londra, Berlino, New York. In ultima analisi c’è, evidente, la motivazione sociale. La libertà un tempo promessa dall’automobile non ha più senso di essere invidiata. E con meno nuclei famigliari e meno figli, la macchina non rappresenta nemmeno più un bonus in comodità.

Status symbol, piuttosto, tornano i treni o le biciclette, anche per la tendenza green delle società, non più appannaggio di un isolato segmento politico. L’alta velocità delle Fs, la concorrenza (finalmente) di Nuovi Treni Veloci, le politiche comunali all’insegna delle ciclabili (lo avevamo visto a Milano con Pisapia, lo confermano queste ultime amministrative con il boom, pardon, successo, del M5s) sono la nuova cifra generazionale. Le case automobilistiche corrono ai ripari a modo loro: la General Motors, a inizio anno, ha reclutato Ross Martin, trentasettenne vice presidente di Mtv Scratch (l’unità di Mtv che si occupa di brand consulting) per svecchiare la linea alla Chevrolet, uno dei marchi più legato al “grande mito americano” dell’auto che ha in tempi recenti inglobato anche Daewoo. Il risultato dell’unione è per ora una nuova gamma di colori, “techno pink”, “lemonade” e “denim”, che secondo le parole di Rebecca Waldmeir, color designer di GM, «puntanto a un target di ventitreenni che fanno shopping da H&m e ascoltano Wale con auricolari Beats» (Wale è un rapper scarso, le Beats sono le cuffie disegnate da Dr Dre).

Il mercato si sta invece spostando sulla formula della condivisone e dell’affitto. A fronte del -27% di immatricolazioni registrato nel marzo 2012 rispetto all’anno precedente (dati del Ministero dei Trasporti) cresce esponenzialmente il numero dei posti auto condivisi: da seimila del marzo 2011 si è passati, nel 2012, a 16mila. La tratta più richiesta è la Milano – Roma. E in Europa, una start-up spicca nella pletora di servizi di car-rental: si chiama WhipCar, ha base a Londra, ed è un social network dell’affitto. Il sistema è molto simile a quello del couch surfing. Si affitta una macchina o si mette in affitto la propria, gestendo le relazioni con l’intermediario direttamente dal web, con assicurazioni, cauzione e tutto quanto. Ci sono richieste per WhipCar, ha dichiarato uno dei due fondatori a Kernel Magazine, da 25 paesi mondiali. E l’età media dei clienti è, manco a dirlo, 32 anni.