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La versione di Grindr

L'app che ha messo in pensione i locali gay viene venduta ai cinesi, tra ispirazioni del Mossad e pettorali visti come blazer sui jeans.

di Michele Masneri

Una festa in un gay bar di Tel Aviv, novembre 2006 (Uriel Sinai/Getty Images)

Non porrà problemi di sicurezze nazionali né sarà sottoposta a scrutini di apposite commissioni federali la cessione della californiana Grindr – primaria azienda per il gaio acchiappo online – ai cinesi. Eppure forse dovrebbe, come quando passano a potenze straniere telefonie o fabbriche di missili, in questo caso tonnellate di big data anche sensibilissimi e non solo americani. L’annuncio è della scorsa settimana, il 60% della compagnia andrà a Beijing Kunlun Tech per una cifra non enorme – 93 milioni di dollari per il 60% – dando così una valutazione dell’intera compagnia a 155 milioni. Del resto la società fondata nel 2009 da Joel Simkhai era una media impresa tipo distretto del Nordest: una quarantina di dipendenti, un fatturato intorno ai quaranta milioni annui, non si sa se in attivo o in passivo perché non quotata. Il fondatore infatti ha sempre manifestato di non voler diventare un colosso di Borsa, di voler rimanere a conduzione familiare. «Non saremo mai una corporation da 15 miliardi di dollari, vogliamo rimanere una piccola impresa gestita bene», aveva detto due anni fa in un’intervista. Le origini del gruppo sono da Barney Panofsky presso la Cgia di Mestre: da Tel Aviv arrivano i Simkhai, coppia di tagliatori di diamanti immigrati da Israele, che nella periferia di New York depositano tre figli. Joel mette su la sua società nel 2009 quando ancora le start-up non osavano dire il loro nome. «Per trovare ragazzi gay intorno a me», è la risposta classica quando gli chiedono come gli venne in mente di creare, dopo una laurea in relazioni internazionali, l’app che rivoluzionerà l’acchiappo. Anche gli altri due fratelli sono gay, uno fa lo stilista, l’altro ha un salone di bellezza, e pare che mamma Simkhai al terzo coming out sia tracollata.

L’idea di Grindr arriva nel 2008 quando Apple annuncia l’iPhone 2 con il Gps incorporato, Simkhai conosce il suo Steve Wozniak, si chiama Morten Bek Ditlevsen, ed è un programmatore danese (etero). Insieme investono 5.000 dollari e cambiano per sempre il mondo, non solo gay. Oggi Grindr funziona in 196 Paesi, il tempo medio di permanenza è di 54 minuti al giorno (dichiarati) contro i 42 di Facebook, ogni giorno vengono scambiati 38 milioni di messaggi e 8 milioni di foto in questa che fino ad oggi voleva rimanere una piccola-media impresa dell’acchiappo, mai un dollaro investito in pubblicità, lontanissima dai 3 miliardi di capitale che Match, la holding che controlla i concorrenti di Tinder, ha rastrellato a Wall Street due mesi fa.

Adesso Grindr coi cinesi si ingrandirà, tipo Grom con Unilever, perdendo forse sentori artigianali, e dunque sarà già tempo per rimembranze: ha mandato in pensione i locali gay, che sopravvivono solo se dotati di wi-fi (eppure la lobby degli esercenti forse più avanzata di quella dei tassisti non ne ha mai organizzato boicottaggi); nei pochi rimasti normalmente al bancone ognuno rimira il suo schermo in cerca del vicino, che ugualmente comparirà a metri 6 (il minimo di distanza segnalato dal Gps). La localizzazione – con tanti difetti ormai tipici, che forse si rimpiangeranno – mostra i contatti più prossimi in alto sullo schermo dello smartphone, con vicinanze molto relative: accesa a Malindi, ti dà i più vicini e molto entusiasti amici in Mauritania e Ciad, e da Mombasa, tre ore di macchina, son tutti felici di accorrere («siam vicinissimi»), mentre nelle grandi città con altre densità cinquecento metri è «troppo lontano, e non passano i mezzi».

Questa funzione da 007 rendeva interessante aprirlo in luoghi inconsueti: alla Leopolda, all’Expo, a una fiera delle armi a San Francisco; con risultati sempre sociologicamente sorprendenti. Talvolta, rischiando sovraccarichi, in certi distretti (il Marais, la settimana della moda, e si narra di un leggendario crash nel 2012 durante le olimpiadi londinesi; però anche al Pitti in questi giorni pare che la situazione sia critica). Con equivoci e agnizioni: localizzando professori del liceo, cugini, vicini di casa, sentinelle in piedi. Utilizzi e funzioni da spionaggio che qualcuno attribuisce al genio ebraico tendenza Mossad: stellinando i contatti preferiti, essi rimangono tracciabili ovunque e per sempre sul globo, con scarto di metri sei; favorendo stalking e appostamenti, ma anche ponendo seri problemi di sicurezza in regimi poco friendly (in Egitto la polizia è stata accusata di usare Grindr per stanare gli omosessuali. E il sistema è notoriamente poco sicuro, si spera che i cinesi facciano qualcosa contro nuovi terroristi certamente refoulés che si immaginano potenziali “discretissimi” e senza foto-profilo man mano che si scende di reddito, titolo di studio e latitudine).

Grindr Dating
Una festa in un gay bar di Tel Aviv, novembre 2006 (Uriel Sinai/Getty Images)

Tanti usi impropri, anche, di uno strumento “neutro”, come dicono i fabbricanti di pistole della Val Trompia? Il trillo imprevisto e tipico dei messaggi ha contribuito a rompere più relazioni del Viagra; incontri non voluti della peggiore sindrome “prendila così” (incontrando smutandati i propri cari, magari “in pausa di riflessione”, mentre si evitavano accuratamente “tutti i posti che frequento e che conosci anche tu”). Utilizzi anche urbanistici e antropologici: per capire il livello di gentrification di strade e quartieri; talvolta per trovare e acquistare sostanze, chieder consigli, capire genius loci della città, così a Milano molte offerte di meretricio “in” Arco della Pace, mentre a Roma tanti calabrese hot cerca lavoro; e sono a lavoro.

Mutamenti sociologici segnalati da acronimi sempre nuovi: dai più recenti “on prep”, che non è l’uso nostalgico-hipster di creme da barba bensì la terapia preventiva che stronca l’Aids in uso nei Paesi civili e da noi sconosciuta causa forse cattolici Dem; al classico nsa (no strings attached), il fatale pnp (party and play), il fwb cioè friends with benefits o trombamicizia; e poi frecce e freccette e ortaggi e stelline e goccine a indicare posizioni e preferenze e attitudini; con tolleranze sull’età e sui fisici come nelle prove su strada di Quattroruote, tra valori reali e “dichiarati” (e grafiche ormai consolidate e “classiche” già riprese e rivisitate nei quadri dell’illustratore Adam Seymour).

E controsensi, cortocircuiti: nick tipo “neoromantico” e “no sex” con sfondi di palmizi e animaletti e Biennali e archistar e poi subito invii di fotografie e foto e pratiche delle più estreme con orifizi e interstizi. Perché la forza e la furbata di Grindr è stata anche l’adattarsi all’etica puritana Apple, dunque le zozzerie sì ma in privato, dunque ecco la maggior parte della forza lavoro Grindr (dodici persone su quaranta) impegnata nella sede di Los Angeles nell’approvazione delle foto-profilo, che tollerano al massimo il costume da bagno, quasi mai la mutanda, il genitale venendo immediatamente bocciato (in pubblico) da questa commissione di bioetica tutta interna. Dunque il trionfo del pettorale, consentito e considerato come il blazer sul jeans, capetto da esibire in ogni occasione, fa fino e non impegna. Ecco dunque Gps e satelliti in orbita a geolocalizzare senza sosta pettorali globali, oliato e glabri oppure raramente irsuti, quasi sempre senza testa, che arriverà solo dopo, in privato, on demand, con altri pezzi, in una specie di format statuario tipo “Portable classic” già accusato d’essere mercificatorio per il corpo maschile.

Però Joel Simkhai non ha mai fatto finta che si trattasse d’altro: «Grindr è un’esperienza transattiva», ha detto al quotidiano israeliano Haaretz. Orgoglioso delle sue origini come ogni piccolo imprenditore, ha detto che acchiappare su Grindr «è come il mercato dei diamanti, un tempo andavi alla Borsa e mostravi la tua mercanzia, portavi fuori i clienti a cena con la famiglia, adesso si fa tutto online». Se Philip Roth fosse più furbo dovrebbe subito farci un romanzo sulla famiglia Simkhai, dai diamanti a Grindr, e vincere finalmente il Nobel a mani basse con una storia di formazione queer tra stilisti e diamanti e Silicon Valley, sbaragliando tutte le scrittrici femmine anche di Paesi molto sofferenti.