Attualità

La Terza Repubblica al mercato

Destra e sinistra in fila nel farmers market romano voluto da Alemanno, un tempo molto avversato, oggi imprescindibile, e come il parcheggio in doppia fila può superare la lotta di classe.

di Michele Masneri

Non si conoscono ancora le reazioni dei mercati al cambio di governo italiano, ma al mercato romano del Circo Massimo il paese reale parla poco di totoministri e corrobora invece larghe intese già in atto sul fronte alimentare. Luogo altamente simbolico, l’antico Mercato del pesce degli ebrei sorge nel cuore della città archeologica tra Palatino e San Teodoro, e San Giorgio al Velabro dove scoppiarono le bombe del luglio 1993, la famosa estate del nostro scontento che poi ha portato alla seconda Repubblica. Già sede dell’autoparco dei vigili urbani, anche, con depositi di segnaletiche verticali e cartelli; qui, vecchie diatribe in epoca alemanniana; lo stabile doveva essere destinato al museo Valentino, ma non venne concesso, e l’Ultimo Imperatore se ne andò molto sdegnato e decise di fare un museo virtuale, dopo aver venduto agli Emiri arabi; qui poi doveva aver luogo una fondazione Fendi, prima che il marchio passasse ai francesi e si prendesse poi esternalizzato le architetture fasciste estetiche dell’Eur.

Al mercato romano del Circo Massimo il paese reale parla poco di totoministri e corrobora invece larghe intese già in atto sul fronte alimentare.

Con molte polemiche e proteste stilistiche, e tratto muscolare da battaglia del grano, Alemanno vi impiantò invece un farmers market cioè mercatino di primizie di allevatori e produttori dell’agro romano; e mozzarelle porchette e puntarelle della Coldiretti neanche tanto biologiche ebbero la meglio sulle aspirazioni Vogue capitoline; forse fu anche provocazione, perché il luogo è simbolico, sorgendo non solo nel cuore della città imperiale ma proprio in faccia all’ex loft del Pd tra via di San Teodoro e via dei Cerchi: voluto da Walter Veltroni nel 2007, era un grande spazio di mille metri quadri che doveva ospitare senza barriere architettoniche il centrosinistra senza trattino, prima di approdare al Nazareno (vicino alla sede Mediaset, e all’omonimo liceo dove studiò Christian De Sica, per gli antropologi in cerca di coincidenze).

Prima poi nel loft sorgeva un grande outlet di Balloon, griffe di abbigliamento romano molto local poi decaduta la cui erede, Rosy Greco, ebbe un ruolo non secondario nella prima repubblica a trazione socialista (è lei la “discola” protagonista dell’autobiografia sentimentale di Claudio Martelli, Ricordati di vivere, Bompiani, 2013). Accanto, la basilica di Santa Anastasia, famosa perché aperta giorno e notte, con sperimentazioni di adorazione eucaristica 24/7, per richieste di grazia last minute. E cogliendo forse con preveggenza un genius loci alimentare più che sartoriale – a Sant’Anastasia durante il Giubileo del 2000 fu allestita una grande impastatrice per la preparazione di 700.000 ostie – Alemanno scontentò molto le immaginifiche sorelle Fendi, che non riuscirono mai a impossessarsi del Mercato; pur continuando negli anni a produrvi solo part-time spettacoli seminali e genitali studiati da Raffaele Curi con grandi dispendi di Village People, scenografie di Jean Nouvel e molte contaminazioni.

A vincere furono infatti i banchi di “Campagna Amica”, si chiama così, diventando fulcro di una romanità estesa, il sabato e la domenica, con convergenze parallele anche programmatiche e riconciliazioni nazionali a seconda dell’ora. Il sabato mattina, luogo soprattutto di signore Roma Nord con suv o Smart (seconda serie) e filippina, felici di risparmiare strada per non arrivare fino all’Ostiense di Eataly (con cui si fanno raffronti sui prezzi, e che spesso viene pronunciato Eat Eataly, non si sa per quale motivo); la domenica, le stesse signore con lo stesso suv o Smart ma con marito, che però si perde immediatamente in degustazioni di vino e formaggi di aziende dell’agro e loro rimangono sole in fila per i numeretti, sfogandosi con inutili domande a commesse rustiche, e frequentando soprattutto il banco delle piante all’ingresso dove si fanno spiegare come innaffiare e manutenere piante anche banalissime di cui però si è perso il know-how.

Luogo soprattutto di signore Roma Nord con suv o Smart (seconda serie) e filippina, felici di risparmiare strada per non arrivare fino all’Ostiense di Eataly.

La domenica, invece, soprattutto dopo la lettura dei giornali e i caffè, il mercato si riempie di ceto medio riflessivo con molte Fiat e soprattutto Panda, Repubblica e Domenicale sotto il braccio, e fori romani a portata di sguardo, accanto anche l’ambasciata del Belgio con memorie di favolosi ricevimenti per la regina Paola, mean girl romana d’epoca. In una domenica di febbraio, intorno all’ora di pranzo, ritrovo abbastanza hipster, anche, con molti occhiali giusti e molte famiglie con passeggini MacLaren e cani educati che però non possono entrare; anche una recrudescenza di barboncini, non proprio come Dudù, ma striati, con aria da canile o comunque politicamente corretta, e famiglie tradizionali con papà brizzolati in tweed e Barbour e Clark; e famiglie arcobaleno dall’aria anche più contenta, con bambini in maschera da carnevale ma sobri (solo una mascherina, niente fatine e arlecchini), molte presentazioni, all’ingresso; “conosci Piergiorgio?”. Imma Battaglia esce con grandi ciuffi di insalata dalle borse della spesa o shopper o in romanesco buste; di tela, qui molto studiate e identitarie, distinguono i vari gruppi sociali: di Eataly, di Whole Foods (ma di Kensington), del Partito Socialista Europeo (molto elegante, lettering rosso su fondo beige), addirittura una del programma studentesco aspirazionale Fulbright (di studenti-turisti bene di passaggio, che si fanno anche le foto in fila per le carni della Tenuta dell’Argento, l’olio della Sabina, la misticanza).

Fuori, il popolo della terza repubblica si fonde soprattutto parcheggiando all’unisono in doppia e tripla fila senza inutili lotte di classe ma invece approfittando delle ultime settimane di sosta selvaggia prima che parta il nuovo piano-traffico del sindaco Marino, forse rimpiangendo già il predecessore, in aria di riabilitazione. Panda lettiane e Smart (prima serie) renziane (l’ex premier Enrico Letta veniva fino a qualche mese fa a fare la spesa coi bambini, a piedi, da Testaccio) in questa temperie anti-casta che a Roma si configura soprattutto nell’Auto Scrausa per Salire al Quirinale (il Fiat Ulysse sempre di Letta, la Focus di papa Francesco). Dentro, grandi degustazioni di ricottine, sottoli, arrosticini, e poi la più gran fila, per il self service con banchetti all’aperto, con menu da troika e austerity: pasta alla puttanesca, o in alternativa riso alla contadina, spezzatino alla cacciatora, pane, acqua e vino, totale 5 euro. Si mangia fuori sulle panche, in un cortile, si intravedono anche monumenti un po’ anneriti e mai aggiustati forse dalle bombe del ’93. E c’è pure il sole. Il ceto medio riflessivo e anche il popolo di destra post berlusconiano si mettono in fila diligentemente, come a una grande primaria generale di qualche partito post; qualcuno chiede se davvero Baricco sarà ministro. Nessuno vorrebbe mai seriamente tornare al museo Valentino. Pochi vanno a chiedere la grazia a Santa Anastasia; qualcuno indica il loft, ma ora c’è uno studio d’avvocati, ed è chiuso. Qualcuno ricorda la massima di Paolo VI, “sono più le cose che ci uniscono di quelle che ci dividono”. Tutti si calcola quanto si è risparmiato rispetto a un brunch normale, anche meno buono.