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Anche il Vaticano ha recensito entusiasticamente il nuovo album di Rosalía José Tolentino de Mendonça, prefetto per il Dicastero per la Cultura e l’educazione del Vaticano, ha definito Lux «una risposta a un bisogno profondo nella cultura contemporanea».
La nuova funzione di geolocalizzazione di X si sta rivelando un serio problema per i politici Non è facile spiegare come mai i più entusiasti sostenitori di Donald Trump postino dall'India o dalla Nigeria, per esempio.
Gli Oasis hanno detto che adesso che il reunion tour è finito si prenderanno una pausa di riflessione Ovviamente, sono già partite le indiscrezioni: si separano di nuovo? Faranno un nuovo tour? Stanno lavorando a un nuovo album?
Il Grande Museo Egizio di Giza ha appena aperto ma ha già un grave problema di overtourism A nulla è servito il limite di 20 mila biglietti disponibili al giorno: i turisti sono già troppi e il Museo adesso deve trovare una soluzione.
È morto Jimmy Cliff, l’uomo che ha fatto scoprire il reggae al mondo Aveva 81 anni e senza di lui non sarebbe esistito il reggae per come lo conosciamo oggi. Anche Bob Marley deve a lui il suo successo.
Gli elettori di Ompundja, Namibia, sono così contenti del consigliere regionale Adolf Hitler Uunona che lo rieleggeranno Si vota il 26 novembre e il politico dallo sfortunato nome è praticamente certo di essere rieletto nel consiglio regionale dell'Oshana.
Edoardo e Angelo Zegna: la quarta generazione della famiglia Zegna diventa Co-Ceo del brand Ermenegildo Zegna, nipote del fondatore del marchio, si sofferma sull'importanza come leader del guardare avanti impegnandosi a formare la prossima generazione di leadership
Dopo la vittoria del Booker, le vendite di Nella carne di David Szalay sono aumentate del 1400 per cento  Nel gergo dell'industria letteraria si parla ormai di Booker bounce, una sorta di garanzia di successo commerciale per chi vince il premio.

Individualismo umano all’italiana

Meno burocrazia, meno macchine, più umanità. Il libro More human di Steve Hilton può aprirci gli occhi e farci rivalutare l'essere italiani.

24 Giugno 2015

17906483355_097f4ac11b_oSteve Hilton è uno di quei super-guru che solo il mondo anglosassone è capace di produrre in una forma così compiuta. Già dalle foto si capisce che è più avanti di tutti, con quell’espressione da asceta miliardario conferita da una prolungata esposizione alle vibrazioni cosmiche della Silicon Valley. Infatti lavora alla d.school, l’istituto di design di Stanford, dopo essere stato l’architetto della “Big Society” di David Cameron e di molte delle idee più interessanti che sono uscite da Downing Street nella prima fase del governo. Il suo nuovo libro, More human, è uscito la settimana dopo la rielezione del primo ministro inglese.

Chi scrive lo aspettava con una certa impazienza e si è ritrovato a leggerlo qualche ora dopo la pubblicazione. Comincia con la cronaca del seguente episodio. Una donna si trova a bordo di un volo Jet Blue in compagnia della figlia di tre anni e mezzo. L’aereo è fermo sulla pista a causa di un contrattempo qualsiasi e il capitano annuncia che l’attesa sarà lunga. La bambina manifesta il bisogno di andare in bagno. La mamma chiede l’autorizzazione agli assistenti di volo per accompagnarla, ma quelli gliela negano. Quando la bambina, finalmente, se la fa addosso, la mamma si alza per procurarsi qualcosa per asciugarla, ma anche in quel caso viene respinta dalle ferocissime hostess: il segnale delle cinture allacciate è ancora acceso benché l’aereo sia fermo da oltre mezz’ora. La storia si conclude con il capitano che annuncia ai passeggeri che dovrà tornare al gate per scaricare due passeggere indisciplinate.

Hilton fa di questa storia la pietra angolare del proprio ragionamento. Abbiamo creato strutture sempre più efficienti e avanzate, scrive, ma ci siamo persi per strada i più elementari requisiti di umanità, fino al punto da scordarci che l’uomo dovrebbe essere la misura di tutte le cose (come il guru sta faticosamente imparando alla scuola di design di Stanford). A questo punto penso che il lettore italiano mi capirà se confesso di aver chiuso il libro. Da noi una scena come quella dell’aereo sarebbe inconcepibile. Se mai qualche hostess avesse avuto l’ardire di intralciare una signora nello svolgimento dei suoi sacri compiti materni, come minimo si sarebbe prodotta una rivolta dei passeggeri in stile Baltimora. Qualcuno sostiene che sia un segno di sottosviluppo.

81y4pCpJ1UL._SL1500_Alla fredda razionalità della grande organizzazione che non guarda in faccia a nessuno non ci siamo arrivati perché siamo in ritardo, come le tribù aborigene che si fondano ancora sull’economia del baratto (e giù dati sulla percentuale di laureati rispetto alla popolazione globale, statistiche sul consumo televisivo e via di questo passo). Altri difendono la tesi contraria. Noi siamo già oltre, perché millenni di storia ci hanno insegnato il valore dell’umanità, una forma di individualismo assai più radicata e civile di quella praticata da popoli nordici appena usciti dalle tenebre della barbarie. Chi scrive prova più simpatia per la seconda ipotesi rispetto alla prima, ma il punto non è questo. Ciò che importa è prendere atto di una cosa. Sempre più spesso le prescrizioni dei guru appollaiati sulla frontiera dell’innovazione tendono a coincidere con i nostri caratteri ancestrali.

Come scrivono Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, entrambi docenti del Mit, al termine del loro splendido libro La nuova rivoluzione delle macchine (Feltrinelli): è del tutto impossibile prevedere quali forme assumerà in futuro l’intelligenza artificiale e fino a che punto i robot saranno in grado di sostituirsi agli umani. Fino a qualche tempo fa si pensava che le loro capacità dovessero restare limitate ai compiti più ripetitivi, ma ormai è evidente che non sarà così e che anche le professioni a più alto valore aggiunto rischiano di essere spazzate via. L’unica cosa certa, scrivono i due, è che le macchine non saranno mai in grado di produrre emozioni e calore umano. Non ci voleva il Mit, direte voi. Eppure, in un certo senso, ci voleva. Perché l’Italia ha il Dna giusto per prosperare nella nuova era. Però non basta. Bisogna che qualcuno se ne accorga e ci costruisca sopra un progetto credibile per il futuro.

Articolo tratto dal n°24 di Studio, in edicola e su iPad
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