Attualità

Oh, meraviglia

Cosa rende un contenuto "virale"? Le emozioni positive, come la meraviglia. Ecco perché gli articoli di scienze sono i più condivisi (le buone notizie pure).

di Anna Momigliano

No, non si tratta soltanto di gattini. Anche se la “cuteness” fa senz’altro parte della ricetta. Agli esseri umani piace condividere ciò che genera emozioni intense. Questa, almeno, è la conclusione a cui è giunto Jonah Berger, uno psicologo sociale della University of Pennsylvania che ha condotto un recente studio sulla viralità online.

Insomma, che cosa rende un contenuto – che si tratti di un articolo, un post, o una foto – virale? Cosa ci spinge a condividerlo sui social netowrk, a mandare una email a colleghi e parenti? Da dove nasce il nostro bisogno di puntare il dito su una cosa, ma non un’altra, e dire ai nostri amici: “guarda qui”?

La domanda, peraltro, non è soltanto accademica, visto che la condivisione tra utenti sta diventando una componente chiave dell’economia dei media che hanno una presenza online: molte pubblicazioni ormai devono una fetta importante dei loro clic all’utilizzo dei social media. Un caso noto è quello del sito di The Atlantic, che ha dichiarato che il 40% del suo traffico proviene da Twitter, Facebook e affini. Poi c’è Buzzfeed, la cui ragion d’essere sta proprio nel creare contenuti virali, pensati apposta per invogliare il fruitore a condividerli con follower e “amici”. A proposito: io guardo tre o quattro contenuti di Buzzfeed al giorno, e da più di un anno, però mentre scrivo questo articolo mi rendo conto di non avere mai visitato prima d’ora l’homepage buzzfeed.com – giusto per rendere l’idea di quanto alcuni contenuti corrano prevalentemente sui social. Resta da chiedersi quali contenuti.

Partendo da questo punto il prof Berger, insieme alla collega Katherine Milkman, ha monitorato per sei mesi la lista degli articoli del New York Times più condivisi via email, che si può tranquillamente trovare sulla homepage del quotidiano. Il risultato più evidente? Gli articoli che parlano di scienza tendono ad essere condivisi assai più degli altri. I lettori, inoltre, tendono a condividere maggiormente gli articoli definibili “divertenti” o “eccitanti”. Tra gli articoli che ispirano emozioni negative, sono condivisi più frequentemente quelli che provocano ansia o rabbia, rispetto a quelli che rendono il lettore semplicemente “triste”.

La scienza «provoca un sentimento di meraviglia che fa si che i lettori desiderino condividere questa emozione positiva con gli altri».

La viralità delle notizie scientifiche, in particolare, merita qualche parola in più. Stando a quanto riporta lo stesso New York Times, Berger ha scoperto che la scienza «provoca un sentimento di meraviglia che fa si che i lettori desiderino condividere questa emozione positiva con gli altri». Dove meraviglia, però, è una traduzione nostra che rende soltanto parzialmente il termine utilizzato nell’originale inglese: awe. Che non ha un corrispettivo esatto nella lingua italiana, ma è stato felicemente descritto da Anna Meldolesi su La Lettura del Corriere della Sera: «Oltre la soglia della meraviglia c’è lo sbigottimento che lascia senza parole. Oltre lo sbigottimento c’è una sensazione enigmatica, sospesa fra il timore reverenziale e l’estasi. Se qualche volta vi siete sentiti minuscoli di fronte alla vastità del mondo o ai misteri della vita, allora avete provato questa emozione. Gli anglosassoni la chiamano awe».

Per quanto sconcertante, questo “sbigottimento estatico” è una sensazione positiva. Che ci fa sentire vivi. Parte di un mondo formidabile, forse minaccioso, ma pur sempre da esplorare.

E questo ci porta a un secondo punto: le emozioni positive, e di conseguenza le buone notizie, piacciono a Internet. «La storia di due sconosciuti che si innamorano a New York tende a essere più condivisa via email, rispetto a quella della morte di un famoso guardiano dello zoo», dice Berger. La regola dell’If it bleeds it leads (insomma, il sangue tira) vale per la televisione molto più che per il web.

Quando invece condividi una storia con i tuoi amici o compagni, ti preoccupi molto di come reagirebbero. Non vorresti farci la figura di quello che dà solo brutte notizie.

Altri hanno svolto degli studi di natura più prettamente neurologica. Alla ricerca di un “indicatore di buzz”, per esempio, Emily Falk della University of Michigan ha monitorato i cervelli di un gruppo di volontari mentre questi ascoltavano alcune “notizie”, che poi potevano scegliere se condividere o meno. Falk ha scoperto che le “notizie” di cui poi i volontari tendevano a parlare con maggiore entusiasmo erano prevalentemente accompagnate da una stimolazione delle aree del cervello associate alla cognizione sociale. Questo, in pratica, significherebbe che noi tendiamo a condividere le notizie che riteniamo interessanti per gli altri. «Uno si aspetterebbe che la gente tenda a diffondere con maggiore entusiasmo le idee che trovano eccitanti», dice la prof Falk al New York Times. «Ma la nostra ricerca fa pensare che pensare ai gusti degli altri possa essere ancora più importante».

Se è vero che, quando condividiamo qualcosa, pensiamo prima di tutti alla reazione che potrebbe provocare negli altri, questo aiuta anche a spiegare perché si tende a diffondere più volentieri contenuti che suscitano emozioni positive. «La regola dell’If Bleeds funziona con i mass media perché vogliono soltanto avere la tua attenzione, non gli importa come ti fanno sentire», spiega Berger. «Quando invece condividi una storia con i tuoi amici o compagni, ti preoccupi molto di come reagirebbero. Non vorresti farci la figura di quello che dà solo brutte notizie».