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«Se siamo quello che mangiamo, il food porn forse può essere un modo di conoscerci meglio»

di Nicola Bozzi

Qualche anno fa ero a una conferenza a Barcellona sul tema “porno nouvelle vague”. A un certo punto un archeologo portoghese si alza e ci comunica che il suo lavoro è molto simile alla pornografia, perché anche lì si tratta di esporre ogni minimo dettaglio di un oggetto, di possederne le fattezze con occhio rapace e relativa eccitazione feticistica. Da quel momento in poi, ogni volta che sento parlare di un nuovo tipo di “porn” (“war porn”, il più recente “riot porn”), mi viene in mente lui.

Non so se avete visto quella puntata di South Park in cui Randy si concede solitarie sedute notturne all’insaputa della moglie, tutto preso a sudare sui programmi del Food Network. Quell’episodio potrebbe essere la definizione di “food porn”, ma se vogliamo focalizzarci un po’ meglio, sempre con una certa pigrizia però (dopotutto stiamo parlando di food porn), possiamo approfondire il tema su Wikipedia. A quanto pare il termine è stato coniato dalla critica femminista Rosalind Coward, già a metà anni ’80, per identificare un tipo di fotografia culinaria che esalta la funzione della cucina come atto di sottomissione, stimolando l’acquolina ma mistificando il processo di produzione.

Sicuramente le immagini unte e scintillanti di peperoni arrostiti, carne sbrodolante e cioccolati (plurale intenzionale) traboccanti creano un’eccitazione tutta aptica, visiva e tattile assieme. Per chi si sente più voyeur – e non è quindi interessato ad apprendere le più avanzate tecniche di affettamento, cottura e condimento – ci si può accontentare di interminabili photogallery fine a se stesse, come su foodporndaily.com. Ma, per quanto riguarda la mistificazione, la Coward aveva scritto troppo presto. Con internet e network via cavo, alcune delle fonti di food porn più importanti (a partire dal sopracitato Food Network) sono proprio i programmi di cucina, per non parlare dei blog di ricette sparsi su tutto il web. Il cibo non solo si guarda, ma si impara, si ripete e si pratica come una fantasia fatta realtà.

Il food porn assume svariate forme, come il porno standard. C’è quello professionale, dove chef più o meno famosi spignattano con disinvoltura e costruiscono castelli ad alto contenuto glicolico-proteico – un paio di esempi sono la britannica e voluttuosa Nigella Lawson o la borderline-ridicola Paula Deen. C’è quello amatoriale, che trova spazio negli album fotografici dei vostri amici su Facebook, i quali uploadano orgogliosi i propri pixellati manicaretti – di solito guarniti da didascalie le più lunghe possibile. E poi c’è quello estremo, quello che trovi sui blog che ti vergogni a leggere il nome – robe tipo Porktopia, che potremmo definire l’equivalente culinario del tristemente famoso 2girls1cup.

Senz’altro ci sono vari livelli di ironia nel food porn. A partire dal nome: è evidente che c’è dell’esibizionismo in chi cucina, e una certa pigrizia in chi guarda. A volte nell’ironia si nasconde una critica sociale, come nel caso di This Is Why You’re Fat – un sito dove le più audaci e ipercaloriche costruzioni gastronomiche vengono condivise e additate pubblicamente. In altri casi, invece, si tratta più di un nichilismo all’americana, tra Jackass e frat boy. E’ il caso della serie di video virali Epic Meal Time, concepito appunto come la versione da macelleria dello show di Steve-O e compari.

Quest’ultimo parto della generazione YouTube rappresenta il punto di incontro tra l’incontrollabile perversione delle anonime folle internettiane e la professionalità sistematica dei network, un genocidio suino periodico che sa di penitenza intestinale. Di volta in volta il conduttore Harley Morenstein e i suoi amici preparano e banchettano con un nuovo Frankenstein, un’assemblaggio tematico più o meno commestibile di fast food, carnazza di varia provenienza, e alcool – giusto per aggiungere quel ché di ignoranza che mancava. Un po’ tipo Cake Boss, il reality sulla pasticceria italoamericana, solo con il bacon al posto del fondant.

Se già altrove sgranavamo gli occhi davanti al Turbaconucken (un pollo dentro un’anatra dentro un tacchino) Morenstein e soci ci presentano a bird in a bird in a bird in a bird in a bird in a pig, che sarebbero una quaglia, una gallina, un pollo, un’anatra e un tacchino farciti a matrioska e infilati dentro un maiale. Qualche link più in là troviamo anche lo stupro definitivo del nostro orgoglio nazionale, una pizza gigante condita con i peggiori elementi da fast food, oppure una versione anche più abominevole dove la pizza è fatta di biscotto farcito di cioccolato e coperta di bacon caramellato, ciliegie e caramelle gommose. Che loro poi si mangiano di gusto.

L’orgoglio calorico di EMT è stato salutato da una celebrità online quasi istantanea, comparsate da Leno e live show al ComicCon. Ovviamente lo show ha anche generato prevedibili controversie, considerato che il prodotto di ogni puntata sarebbe sufficiente per (nell’ordine) sfamare, far venire il diabete e uccidere di attacco di cuore un intero villaggio africano.

Tra le svariate parodie sorte su YouTube, non poteva mancare la versione vegana, Vegan Meal Time, in cui un nerd con in braccio un coniglio ci guida attraverso la preparazione di un Tofurkey (tacchino a base di tofu), un mix vegetale ultrapiccante a forma di vulcano in eruzione, e una pita gigante piena di falafel e verdure in forma di maiale.

Viene facile identificare nel food porn la convergenza dell’ossessione estetica della nostra società con gli eccessi del consumismo, ma bisogna fare attenzione. Anche solo comparando gli esempi fatti sopra, il fenomeno sembra non solo esemplificare certi appetiti, ma anche denunciarne l’abuso e informare sulle potenziali soluzioni. Come abbiamo visto, molto food porn è semplicemente un invito a mangiare bene, se non addirittura vegano. Ce n’è, letteralmente, per tutti i gusti: i compulsivi, i fan del cibo etnico, quelli sempre a dieta, gli esploratori delle frontiere del cattivo gusto.

Alla fine, se siamo quello che mangiamo, come ci dicono in tanti, il food porn forse può essere un modo di conoscerci meglio.