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Eraserhead, 40 anni fa

Il primo lungometraggio di David Lynch ha appena compiuto 40 anni: è stato il film per eccellenza delle proiezioni d'essai e dei vhs.

di Studio

È 19 marzo del 1977 quando al Filmex, un festival cinematografico di Los Angeles, fa il suo esordio in pubblico il primo lungometraggio di un regista semi-sconosciuto. Si intitola Eraserhead e il regista che l’ha girato è un pittore originario del Montana con all’attivo un corto e un mediometraggio. Si chiama David Lynch e quarant’anni più tardi sarà considerato il più geniale regista vivente.

La trama di Eraserhead, sintetizzando, è tanto semplice quanto bizzarra: Henry Spencer, il protagonista, mette incinta una ragazza e la sposa. Il “bambino” che verrà partorito è una specie di mostro informe, un feto scarnificato. Dopo il parto, la ragazza lo lascia e torna dai genitori. Lui ha un incontro con una donna bellissima che vive in fondo al corridoio del suo palazzo. Dopo che il neonato si è ammalato, Henry disperato lo uccide per poi allontanarsi con una ballerina immaginaria che esce dal termosifone della sua stanza. La fine del film ha a che fare con l’enigmatico titolo, in quanto la testa di Henry viene triturata per produrre matite con gomme da cancellare.

Eraserhead è il film per eccellenza delle proiezioni d’essai e dei cineforum, e più tardi dei vhs che passavano di mano in mano. Sul suo significato criptico si sono (ci siamo) interrogati in molti. Secondo alcuni, il film rifletterebbe le paure e le angosce di David Lynch come neo-padre (all’epoca in cui iniziò a idearlo era appena nata la sua prima figlia Jennifer). Vengono chiamate in causa le influenze del surrealismo e dell’espressionismo astratto, così come quello del cinema tedesco, russo, giapponese, che però Lynch assicura di non aver mai visto. L’aggettivo che si spreca è “onirico”.

Interrogata sul suo significato, in un’intervista rilasciata al SoHo Weekly News del 20 ottobre 1977, la sua seconda moglie Mary Lynch disse a proposito del film: «Ne avevo visto uno spezzone di venti minuti, prima ed era bellissimo. Non avevo alcuna idea del film, e sono rimasta proprio colpita dalla sua bellezza. Poi l’ho visto per intero, e certe immagini erano davvero sconcertanti. Alcune, cioè, non riuscivo proprio a guardarle, al punto che a volte non vedevo proprio cosa succedeva sullo schermo, tanto mi turbavano. Ora che l’ho visto otto o dieci volte l’effetto di quelle scene si è attenuato, e le vedo più come parte integrante del film. Ogni tanto dico a David cosa significano secondo me e lui mi prende in giro».

Il regista, più volte intervistato sul punto, ha sempre conservato il suo tratto distintivo tra ermetismo e semplicità estrema. Ha detto per esempio: «Henry è uno un po’ confuso ed è come se stesse cadendo a pezzi. Prova a reggere, ma ha dei problemi». Oppure: «Il film deve pur avere un senso, certo, ma lo stabilisci tu. Quando vai a vedere un giallo e alla fine si risolve tutto, per me è una delusione bella e buona. In un giallo, a metà del film è tutto ancora in sospeso, e da lì puoi esplorare un’infinità di conclusioni. Ti si offrono tante possibilità. E per me è proprio una bella sensazione… In Eraserhead ci sono un sacco di scenari aperti, ed è tutto… è come se ci fossero delle regole che rispetti per mantenere quel senso di apertura che, secondo me, è davvero importante per il film. È più come una poesia qualcosa di più astratto, anche se c’è una trama. È come un’esperienza». Lynch ha anche dichiarato che per lui il film era molto legato ai suoi trascorsi a Philadelphia: «È ispirato alla mia esperienza a Philadelphia, all’averci vissuto».

Tuttavia Eraserhead fu girato a Los Angeles. Quando il regista si era già trasferito in California dalla Pennsylvania. Una grossa parte del film alla Greystone Mansion, una proprietà di Beverly Hills allora quartier generale dell’American Film Institute, dove Lynch viveva clandestinamente dopo essersi separato dalla prima moglie. Altre due curiosità: Lynch non ha mai voluto rivelare la tecnica con cui aveva realizzato, molto realisticamente, per quanto si trattasse di una creatura mostruosa, il bambino del film. Inoltre sul set lavorò Catherine Coulson, prima moglie di Jack Nance, l’attore protagonista, ma soprattutto la signora Ceppo di Twin Peaks, a cui proprio durante le riprese di Eraserhead, il regista si rivolse così: «Vedo un ceppo fra le tue braccia. Un giorno farò una serie e tu sarai la Signora Ceppo».

ERASERHEAD - American Poster 3

Per il Guardian, che ne ha scritto in questi giorni: «La famosa locandina di Nance negli anni è diventata una specie di bat segnale della sottocultura… comparendo ovunque su t-shirt, così come su migliaia di flyer per la pubblicizzazione di serate di qualunque tipo. Nonostante l’unica musica del film sia un frammento di Fats Waller e la famosa In Heaven (Lady in the Radiator Song), il film ha rappresentato una forma di bizzarra alienazione che sembra avere qualcosa a che fare con il punk. Probabilmente è una coincidenza che uscì proprio nel momento in cui apparvero Ramones e Talking Heads. E i Devo chiesero al regista il permesso di poter eseguire In Heaven dal vivo».

Penetrando lentamente con il passaparola, il film entrò nella programmazione dei cinema di diciassette città. E al Nuart Cinema di Los Angeles fu proiettato una sera a settimana per quattro anni. Cioè rimase quattro anni in cartellone.