Attualità

Cuore di Tenebra

Viaggio sul fiume Mekong. Nel "Triangolo d'Oro" (anzi, dell'oppio) tra Laos, Thailandia e Birmania

di Massimo Morello

«Vieni pe’ oppio?» dice l’autista in un inglese che mentalmente traduco nell’italiano dei vu’cumprà.
«Hai oppio da vendere?» chiedo, fingendo interesse.
«Buono cento dolla» risponde serissimo, convinto che conosca l’unità di misura. Deve credermi un potenziale acquirente: ho noleggiato il suo pick-up, che usa come bus tra i villaggi lao delle foreste a nord-est del Mekong, pagandolo l’equivalente di sessanta passeggeri (poco più di venti dollari).

In quell’area il Mekong segna il confine tra Laos e Thailandia a ovest e Birmania a nord, chiudendo in un’ansa il cosiddetto Triangolo d’Oro. Un territorio di circa un milione di chilometri quadrati di suolo alcalino. Ideale per la coltivazione del papavero da oppio.
Sembra che quella definizione, “Triangolo d’Oro”, sia stata coniata il 12 luglio 1971 da Marshall Green, assistente segretario di Stato che intendeva così rappresentare un’area geografica, ma soprattutto sottolineare che per il governo USA soltanto tre stati erano coinvolti nel traffico d’oppio: la Thailandia, il Laos e la Birmania. La Cina no: il 15 luglio il presidente Nixon annunciò il suo storico viaggio a Pechino per incontrare il presidente Mao.
Oggi il Triangolo d’Oro è un toponimo turistico che attrae viaggiatori in cerca di evocazioni avventurose. C’è addirittura un “Golden Triangle Park”, con il museo dalle architetture postmoderne della “Hall of Opium”.

Ma ogni tanto capita qualcosa che rimette a nudo quel cuore di tenebra. E non nella sua dimensione letteraria. Il 13 ottobre scorso, ad esempio, la polizia di frontiera thai ha scoperto sul fiume due barche cinesi con a bordo due uomini uccisi, ammanettati e bendati e un carico di circa un milione di pillole di metanfetamine. Il giorno dopo sono stati ripescati altri undici cadaveri. Secondo le autorità e molti osservatori l’episodio è un “sintomo” del riaccendersi dei conflitti per il controllo del traffico di droga che coinvolge poliziotti thai corrotti, signori della droga birmani e i cosiddetti “signori dell’anello”, ossia i cinesi stabiliti nei paesi del sud-est asiatico che gestiscono ogni genere di attività illegale o para-legale. Secondo un giornale locale l’incidente dimostra che il Triangolo d’oro è ancora “volatile”.

Negli ultimi vent’anni, infatti, il Triangolo d’oro si è evoluto, trasformandosi in un grafo, una figura di punti interconnessi, estesa su tutta la “Greater Mekong Subregion”, che comprende la provincia cinese dello Yunnan, Birmania, Thailandia, Laos, Cambogia e Vietnam. E se nel 2007 il vice direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite per la droga e il crimine (Unodc: Un Office on Drugs and Crime) dichiarava che il traffico d’oppio nel Triangolo d’oro era praticamente eradicato, nel 2011 quella stessa zona si piazza al secondo posto dopo l’Afghanistan. Oltre alle tonnellate di oppio ed eroina prodotte annualmente, ogni settimana dal Triangolo d’oro provengono milioni di pillole di metanfetamine, droghe sintetiche diffuse in tutto il sud-est asiatico e utilizzate dalle fasce più povere per affrontare condizioni di vita e lavoro altrimenti intollerabili.
Per una di quelle strane ironie storiche che si rivelano spesso una manifestazione dei cicli storici, tutta questa vicenda sembra collegarsi a quel punto mancante che avrebbe trasformato il triangolo in un quadrilatero: la Cina.

L’origine del caos e dell’anarchia che regna nel Triangolo d’oro va fatta risalire agli anni ‘50, quando si rifugiarono in quest’area le milizie sconfitte del Generalissimo Chiang Kai-shek. Un esercito segreto che sarebbe poi stato finanziato dalla Cia negli anni della guerra in Vietnam e guidato da Anthony Poshepny, conosciuto come Tony Poe, che da qui conduceva una sua personale guerriglia. Sembra che il personaggio del colonnello Kurtz di Apocalypse Now sia stato concepito a sua immagine. Successivamente il traffico è stato alimentato dai signori della guerra delle etnie birmane Shan e Wa, che in questo modo finanziavano l’opposizione al regime centrale birmano, appoggiato dalla Cina.

Ora, dopo “l’incidente” sul Mekong, il governo di Pechino ha annunciato l’intenzione di pattugliare il Mekong anche in acque thai, lao e birmane con oltre 1000 soldati. L’intenzione è di proteggere battelli ed equipaggi cinesi, ma alcuni analisti sospettano che sia una manovra per ribadire la propria supremazia nell’area.
Comunque la si pensi, sono proprio storie così che hanno trasformato lo scenario del Mekong – tanto per citare l’introduzione a “La follia di Almayer”, il primo romanzo di Conrad – in una “metafora delle azioni che vi accadono”.