Attualità

Cosa succederà nel mondo nel 2015

La recessione in Russia e cosa significherà per Putin, nonché per la sua politica. L'embargo a Cuba, che deve ancora cadere. Le elezioni in Gran Bretagna, dove i piccoli partiti stanno crescendo. Cosa aspettarsi dal mondo nel 2015.

di Anna Momigliano

Mentre il 2014 sta per chiudersi è tempo di domandarsi cosa porterà il prossimo anno. Mentre, ovviamente, nessuno possiede la palla di cristallo né tanto meno la capacità di prevedere, come faceva notare Moses Naim su The Atlantic, quello che farà notizia nel 2015, non bisogna essere dei cartomanti per rendersi conto che alcuni paesi meriteranno la nostra attenzione: la Russia, che stando a diversi analisti rischia una recessione storica, che a sua volta potrebbe avere non poche conseguenze politiche; Cuba, che ha recentissimamente ripreso i rapporti diplomatici con gli Stati Uniti, ma che si trova ancora sotto embargo, e dove il regime comunista dovrà fare scelte importanti; e infine la Gran Bretagna, dove il 2015 sarà un anno elettorale e dove (almeno per il momento) sembrano in decisa ascesa i piccoli partiti, come l’Ukip e lo Scottish National Party.

Augurandovi un 2015 pieno di notizie belle ed entusiasmanti, ecco un po’ di cose – non particolarmente belle né entusiasmanti – che potreste trovare sui giornali dell’anno che verrà.

 

La recessione in Russia

Sarà un anno difficilissimo per la Russia, che si attende una recessione su vasta scala, che a sua volta potrebbe avere ripercussioni sulla sua politica interna ed internazionale. Fino a poco tempo fa dato in crescita, il Pil russo potrebbe contrasi di diversi punti percentuali – le cause principali sono da un lato il ribasso dei prezzi degli idrocarburi, sulle cui esportazioni si basa una discreta fetta delle esportazioni russe, e le sanzioni europee. L’agenzia Reuters ha interpellato undici analisti: stando alla media delle loro previsioni il Pil russo potrebbe contrarsi nel prossimo anno di 3,9 punti percentuali e l’inflazione salirà del 10 per cento. Secondo l’analisi più pessimista, quelle citate dalla Reuters, la contrazione del Pil potrebbe sfiorare addiruttura l’otto per cento. All’inizio dell’anno – ovvero prima dell’abbassamento dei prezzi del petrolio e delle sanzioni – le previsioni per l’economia russa erano moderatamente rosee: per il 2015 era prevista una crescita del due per cento. Lo stesso primo ministro Dimitry Medvedev, braccio destro di Putin, ha avvertito che il paese rischia una «profonda recessione».

Resta da chiedersi che effetto avrà la recessione sulla popolarità di Putin e sulla sua politica estera. Come fanno notare sul New York Times Neil Macfarquhar e Andrew Kramer, l’inquilino del Cremlino, che è di fatto al potere da quasi 15 anni (è stato presidente per due mandati tra il 2000 e il 2008, per poi divenire premier tra il 2008 e il 2012, anno in cui è tornato presidente), ha costruito il suo successo politico soprattutto grazie alla crescita economica: «Putin è diventato molto popolare rendendo i russi più ricchi ogni anno e impegnandosi a restaurare lo status della Russia come potenza. Ma adesso questa formula è messa a rischio». Come si comporterà, dunque, Putin in questo nuovo scenario, dove l’economia, e di conseguenza il potere, della Russia saranno messi in difficoltà? C’è chi pensa che queste condizioni potrebbero spingere il presidente ad “ammorbidire” la sua linea nei confronti dell’Europa e degli Usa, mentre altri sostengono che potrebbero sortire l’effetto opposto. «Alcuni analisti sostengono che Putin potrebbe sentirsi obbligato di smorzare le sue posizioni aggressive anti-Occidentali», sintetizza l’articolo del Nyt. «Ma altri temono che possa fare esattamente l’opposto, perché la necessità di distogliere l’attenzione [del pubblico russo] dai problemi economici potrebbe spingerlo a nuove imprese nazionalistiche all’estero, come l’annessione della Crimea.»

 

Le elezioni in Gran Bretagna

A maggio la Gran Bretagna andrà alle urne per eleggere i membri della House of Commons e, di conseguenza, il primo ministro. I candidati dei due principali partiti sono l’attuale premier David Cameron (Conservatore) e il leader laburista Ed Miliband (già ministro del governo di Gordon Brown). Per il momento, il dato interessante sembra la crescita dei partiti “minori”, e in particolare Snp, Ukip e Verdi, a discapito di Laburisti e Conservatori.

Il Guardian l’ha definito «un record negativo nel sostegno ai partiti principali»: Conservatori e Laburisti sono in calo costante rispetto alle forze minori. Stando agli ultimi sondaggi, che davano Miliband in leggerissmo vantaggio, conservatori e laburisti insieme otterrebbero circa il 60 per cento dei voti. Se alla definizione aggiungiamo anche i LibDem – attuali partner della coalizione di governo di Cameron che nelle elezioni precedenti, nel 2010, hanno ottenuto un risultato storico del 23% – allora i “partiti principali” otterrebbero circa il 70 per cento dei voti. Nel 2010 i partiti minori (ossia tutti gli altri esclusi Conservatori, Laburisti e LibDem) avevano ottenuto appena il 12 per cento dei voti.

Risultato? «la Gran Bretagna sta passando da essere un sistema che si basa su due, tre partiti all’ess’ere un sistema di sei partiti», sostiene il Guardian. Tre partiti, infatti, sono dati in ascesa: lo Scottish National Party, che potrebbe svolgere il ruolo diago della bilancia, l’UK Independence Party di Nigel Farage, e i Verdi. Insieme Snp, Ukip e Greens potrebbero ottenere il 25 per cento dei voti, sempre stando ai sondaggi citati dal Guardian. Nel 2010 avevano ottenuto appena il sei.

 

L’embargo a Cuba

La riapertura delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba, annunciata a metà dicembre, è stata una delle notizie più rilevanti del 2014. Resta da vedere, però, l’effetto che tale distensione avrà sull’economia e sulla politica cubana nel 2015. Il punto più importante, nel breve-medio termine, sembra l’embargo economico. Che, come spiega Shawn Donnan sul Financial Times, resta in vigore: «Per quanto gli piacerebbe farlo, Obama non ha il potere di revocare l’embargo: la decisione spetta al Congresso». Secondo un recente sondaggio del Washington Post e Abc circa il 68 per cento degli americani si dichiara favorevole a riprendere rapporti commerciali con Cuba, ma per il momento il Congresso, dove i Repubblicani hanno la maggioranza, non sembra intenzionato ad approvare una misura del genere.

Ammesso e non concesso dunque che l’embargo contro Cuba dovesse avere fine nel 2015, quali sarebbero le conseguenze per Cuba. Da un punto di vista economico, in pochi dubitano che ci sarebbe un importante miglioramento. In vigore dal 1960, si stima che nel 2013 l’embargo americano abbia arrecato una “perdita” di 117 miliardi di dollari all’economia cubana. Da un punto di vista politico, difficile fare previsioni. Le migliorate condizioni economiche potrebbero consolidare il regime? Oppure a fronte di un costante rapporto con gli Usa esso finirebbe per cadere, o se non altro evolversi in un sistema capitalista? Secondo alcuni, in realtà, né l’una né l’altra cosa. Se conseguenze politiche ci saranno, è probabile che si tratterà di un cambiamento graduale, scrive su Politico Michael Shifter, docente di studi latinoamericani alla Georgetown: «Diversi esponenti della società civile cubana sottolineano che Cuba avrà una transizione particolare, coi suoi tempi, e con caratteristiche uniche. Sottolineano che un profondo senso di nazionalismo, sommato alla vicinanza agli Usa e alla profonda asimmetria tra i due paesi continueranno a svolgere un ruolo importante. Prevedono un processo graduale, senza grandi tensioni, e il cui successo dipenderà in larga misura dal miglioramento dell’economia».

 

E l’Isis? E l’atomica iraniana? E le elezioni in Israele?

Al Medio Oriente avevamo già dedicato un approfondimento. Potete leggerlo qui.