Attualità

Cosa sta succedendo in Tunisia

Non era forse uno dei paesi più tranquilli della zona? Perché degli uomini armati hanno preso di mira un museo pieno di occidentali? E quanto c'entra l'Isis? Un po' di cose da sapere all'indomani dell'attentato al museo.

di Anna Momigliano

Cosa sta succedendo in Tunisia? Non era forse uno dei paesi più tranquilli della zona? Perché degli uomini armati hanno preso di mira un museo pieno di occidentali? E quanto c’entra l’Isis? All’indomani del sequestro al Bardo National Museum di Tunisi, abbiamo messo insieme un po’ di cose da sapere su quello che sta succedendo da quelle parti.

Cosa è successo

Mercoledì 18 marzo due uomini armati, vestiti con uniformi militari, hanno preso d’assalto a colpi di kalashnikov e di bombe a mano un celebre museo di Tunisi, il Bardo National Museum, assai frequentato dai turisti. Per tre ore hanno preso in ostaggio i visitatori del museo. Poi le forze tunisine hanno effettuato un blitz, liberando gli ostaggi e uccidendo i due sequestratori. Il bilancio è di 25 vittime, di cui 18 turisti stranieri, inclusi italiani.

Chi è stato

Le autorità tunisine hanno identificato i due autori del sequestro come Yassine Laabidi e Hatem Khachnaoui. Hanno anche dichiarato che i due sarebbero affiliati a una «cellula» terroristica, senza però specificare quale né se la «cellula» farebbe capo a un gruppo più grande. Hanno anche aggiunto che uno dei due, Laabidi, era già «noto ai servizi segreti». Inoltre nove persone sono state arrestate con l’accusa di avere collaborato all’attacco al museo: di questi, stando a quanto dichiarato dal presidente algerino, cinque sarebbero stati direttamente coinvolti nel sequestro, mentre altri avrebbero fornito altro genere di sostegno. Sui media italiani era inizialmente circolata la notizia che gli autori della strage fossero affiliati all’Isis, che nella serata di gioved’ ha poi rivendicato l’attentato.

Perché prendersela coi turisti

Alcuni gruppi terroristici attivi in Medio Oriente prendono di mira i turisti stranieri con il duplice intento di colpire l’economia, e dunque il governo, locale e incutere timore in Occidente – è particolarmente noto il caso del massacro di Luxor, in Egitto, effettuato dalla Gama’a al-Islamiyya negli anni Novanta. Non sembra però questo il caso dell’attacco contro il museo di Tunisi. Pare infatti che l’obiettivo originale dei terroristi fosse il Parlamento, dove tra l’altro si stava discutendo una legge anti-terrorismo, ma che vista la massiccia sicurezza i due abbiano deciso di ripiegare sul museo: i due edifici sono infatti molto vicini. Dunque, più che un’azione contro il turismo e/o gli occidentali, l’azione avrebbe dovuto essere un attacco alla democrazia tunisina. Proprio mentre il paese nord-africano rappresenta un raro caso di democrazia araba che sta reggendo dopo le rivoluzioni dei primi anni Dieci.

Il paese-modello della Primavera Araba

La Primavera Araba è nata proprio in Tunisia, quando il suicidio di Mohamed Bouazizi, un giovane venditore ambulante vessato dalle autorità corrotte, ha scatenato le proteste che avrebbero portato nel gennaio 2011 alla deposizione di Zine El Abidine Ben Ali, il presidente-dittatore giunto al potere con un colpo di Stato negli anni Ottanta. Ma, soprattutto, la Tunisia rappresenta un raro caso di sistema democratico del mondo arabo che, a distanza di anni, sta ancora reggendo. Dopo la caduta di Ben Ali, elezioni democratiche hanno portato al governo Ennahda, il partito islamista originariamente ispirato ai Fratelli Musulmani egiziani. A differenza dei Fratelli Musulmani – pure loro eletti, in Egitto, nelle prime elezioni democratiche dopo la caduta di un dittatore, Hosni Mubarak – dopo la vittoria Ennahda non si è comportata da forza autoritaria. Risultato? In Egitto i militari hanno organizzato un golpe contro i Fratelli Musulmani, indetto elezioni dubbie (cioè con l’opposizione messa fuori legge) e ora il Paese è praticamente ritornato nell’era Mubarak. In Tunisia invece ci sono state nuove elezioni nel 2014: questa volta hanno vinto i laici. L’attuale presidente, Beji Caid Essebsi, è un laico convinto. In breve: la storia recente tunisina sembra dimostrare che laici e islamici possono alternarsi e convivere in una democrazia araba senza ricorrere a colpi di Stato o violenze.

Il terrorismo in Tunisia

Questo non significa affatto però che in Tunisia sia tutto rose e fiori, come del resto i fatti di questi giorni dimostrano. L’Isis – che, ripetiamo, potrebbe non essere coinvolto nell’attentato del museo, anche se la questione è più complicata di quanto non si potrebbe pensare – riscuote un successo particolare tra i giovani tunisini: secondo alcune stime la Tunisia è il paese più rappresentato nei ranghi dei jihadisti stranieri attualmente impegnati in Siria e Iraq. Inoltre è attivo sul territorio tunisino un gruppo terrorista noto come Ansar al-Sharia, nato con la caduta del regime nel 2011 grazie alla liberazione di alcuni islamici radicali che erano detenuti da Ben Ali. Inoltre c’è anche una “rappresentanza” locale di al-Qaeda, Al-Qaeda nel Maghreb islamico, attiva lungo il confine tra Algeria e Tunisia.

Il problema di dire “è stato l’Isis”

Anche se dovesse arrivare una rivendicazione dal Califfato (che è effettivamente poi arrivata), stabilire il coinvolgimento diretto dell’Isis nell’attacco del museo è, come si accennava sopra, più complicato di quanto non si potrebbe pensare. Mentre nel territorio che controlla in Siria e Iraq l’Isis appare come una organizzazione piuttosto ben definita – uno Stato, appunto, come si intuisce dal fatto che si fanno chiamare Stato islamico – lo stesso non si può dire degli altri luoghi. In paesi dove sono presenti gruppi jihadisti, magari anche ideologicamente lontani dall’Isis, può capitare che alcuni di questi gruppi giurino fedeltà al califfo dello Stato islamico, al-Baghdadi, per rafforzare la loro immagine. Questo fa di loro parte dell’Isis in astratto… ma non vuol dire che l’Isis sia “arrivato” nei paesi dove essi operano, né che loro siano in contatto con il Califfato. È quello che sta succedendo nella penisola egiziana del Sinai, per fare un esempio. Mentre in Tunisia Ansar al-Sharia ha già giurato fedeltà al califfo nel 2014. Un’altra ipotesi è che dei lupi solitari, o delle cellule isolate agiscano di propria iniziativa… salvo poi dire che si erano ispirati all’Isis. In questi casi può anche capitare che l’Isis “riconosca” come sue le loro azioni. Tuttavia non si può escludere però che alcuni combattenti dell’Isis, tornati ai rispettivi paesi originari, possano effettuare attacchi anche con l’approvazione diretta del Califfato.

 

Questo articolo è stato parzialmente modificato in seguito alla rivendicazione dell’attentato da parte dello Stato Islamico

 

Nell’immagine in evidenza: Bab Suika a Tunisi in una foto del 1890, via Wikipedia/Library of Congress.