Attualità

Autonomia dell’arte

La crisi colpisce anche l'arte nordeuropea, che tenta di rinascere. Imitando gli Usa

di Nicola Bozzi

Specchio del potere, area critica privilegiata, canale espressivo rivoluzionario. Se l’arte sia o meno qualcosa di autonomo rispetto alla società è sempre stato motivo di discussione, ma se scrivere fitte pagine sulla critica di Greenberg o l’estetica di Hegel è cosa diffusa, in Olanda la questione è particolarmente cruciale.

Il 10 giugno il Segretario alla Cultura Halbe Zijlstra ha annunciato dei tagli che comporteranno la gambizzazione di una lunga lista di residenze, riviste e fondazioni, che oggi fanno dei Paesi Bassi un’area particolarmente fertile per il dibattito su tendenze globali come l’intersezione dell’arte con architettura e mediattivismo. Senza più fondi governativi, a scomparire totalmente sarebbero anche esempi all’avanguardia come il museo NIMk di Amsterdam e l’eccellente rivista OPEN, uscita da poco con un numero “di emergenza” (purtroppo solo in olandese). Gli effetti si sentono già, con eventi promettenti e ricchi di VIP del calibro di The Third Sculpture (il quale sfoggiava nomi tipo Hans Ulrich Obrist, Lars Bang Larsen e Rem Koolhaas) che da ricchi simposi con mostre annesse si sgonfiano per trasformarsi (forse) in pubblicazioni.

La reazione del mondo dell’arte locale è stata forte fin dall’annuncio di giugno, e la protesta si è evoluta in incontri, annunci artistici sul New York Times («Do not enter the Netherlands, cultural meltdown in progress»), infografica approssimativa ma efficace, e manifestazioni varie, tra cui persino una marcia da Rotterdam all’Aia. Il fatto che il provvedimento abbia convinto una folla di addetti ai lavori a farsi una scarpinata del genere, non senza momenti di tensione con le forze dell’ordine, rende abbastanza l’idea dell’umore generale.

Politiche conservatrici e crisi economica stanno facendo stringere la cinghia a molti in giro per il mondo: il Regno Unito in particolare sembra volersi avvicinare al modello USA, dove l’arte contemporanea deve notoriamente affidarsi a virtuosismi privati, e prevedibilmente anche i paesi finanziariamente più in difficoltà (Spagna, Portogallo, Grecia – che ha dovuto chiedere soldi all’Unione Europea) anche solo per restaurare i propri siti archeologici – e anche noi, dove i teatri sono tra le istituzioni più colpite) si stanno adeguando allo standard. Nonostante questo, però, non tutti in Europa sembrano pensare che l’austerità sia la soluzione. La convinzione che la cultura sia un valore degno di investimenti anche in tempi duri sopravvive, ad esempio in Germania (dove nel 2010 i fondi per la cultura sono aumentati), Finlandia, Francia, e Slovacchia, mentre in Lussemburgo alcuni progetti verranno addirittura lanciati in anticipo per rispondere positivamente alla crisi.

Intanto, media di ogni tipo stanno seguendo la cosa da vicino: non solo le pubblicazioni specifiche (l’ultimo numero della rivista dell’agenzia di informazione di riferimento per l’arte contemporanea, e-flux, è specificamente dedicato alle economie alternative), ma anche altre più generaliste (il Guardian ha un blog apposta per documentare e discutere i tagli nel Regno Unito).

Ad Amsterdam, dove si è lontani dalla crisi dei cosiddetti PIGS, la perdita sembra però tanto maggiore quanto vitali erano i fondi pubblici: in tanti paesi una situazione come quella olandese sarebbe stata una manna. A parte i tagli, comunque, a dispetto del liberalismo c’è ancora un forte senso del welfare e, proprio per questo, il modo in cui il settore reagirà localmente potrebbe rivelarsi interessante per tutti.

Da qualche tempo l’Autonomy Project, un network di ricerca internazionale che ha nel Vanabbe Museum di Eindhoven un attore principale, si sta occupando del concetto di autonomia attraverso workshop, social network e riviste. Community art, monete alternative, internet come sfera pubblica non statale: dal discorso critico si spera di arrivare a soluzioni pratiche. Anche l’organizzazione Amsterdams Fonds voor de Kunst sta seguendo l’esempio di iniziative americane più famose e ha lanciato un sito di crowd-funding per progetti artistici che apre direttamente al pubblico la possibilità di finanziare individualmente i progetti che più ispirano tramite donazioni. Non è molto per ora, ma staremo a vedere. Chissà se l’Olanda finirà semplicemente con il rivolgersi ai privati, come gli altri Paesi (nonostante la recessione valga un po’ per tutti e alcune previsioni diano anche questo tipo di risorse in calo fino al 2012), oppure se in virtù della propria fiducia nell’arte come collante sociale sarà in grado di trovare soluzioni nuove.