Attualità

Tutta la verità di Cannavacciuolo

L'esordio trionfale a Masterchef, un libro di ricette per Einaudi, la nuova stagione di Cucine da incubo: perché lo chef campano piace.

di Mattia Carzaniga

Il libro di Massimo Bottura si intitola Vieni in Italia con me, ed è subito guru intellettuale. Il libro (uno dei) di Carlo Cracco si chiama In principio era l’anguria salata, ed è subito fighetto milanese. Il libro (sempre uno dei) di Davide Oldani è semplicemente Pop. Il libro di Antonino Cannavacciuolo, appena uscito per Einaudi Stile Libero, è Il piatto forte è l’emozione. E siamo da tutt’altra parte, si capisce. Laddove i colleghi ci mettevano la testa e la piacioneria, Tony da Napoli ci mette la pummarola. Dopo anni di chef telegenici, intelligenti, spassosi, seducenti, tromboni, isterici, piastrati, palestrati, arriva dal Mezzogiorno il cuoco-cuoco, che non deve chiedere mai perché a cosa serve chiedere? In cucina si deve cucinare. Lo ha dimostrato nell’ultima edizione di MasterChef, e infatti la vulgata popolare (o forse Sky-indotta, chissà) oggi vuole che «è il più simpatico, è la vera novità, è quello che non sa parlare ma ci mette il cuore». L’emozione, il calore, l’Italia che riscopre di essere italiana ma sempre guardando al grande divo, non al chilometro zero dell’aziendina Slow Food.

91UQ90qgyVLIl cuore (e tutto il resto) perché Napoli, perché il Sud, perché sì. «Parlando di pesce il mio pensiero va subito a quando ero ragazzino e, seguendo mio padre, cominciavo a interessarmi al mestiere. Al mercato di Vico Equense, come in tutti i posti di mare, trovare pesce fresco e di qualità era molto facile, mentre assai più complesso era reperirlo nelle città dell’interno», e via raccontando negli inserti (pochi) del libro dedicati all’autobiografia, ma pur sempre a sfondo culinario. Il resto sono ricette molto classiche e – almeno questa è l’illusione – non così difficilmente replicabili, perché a questo servono i libri di cucina. Ci sono anche le note di impiattamento, come si dice e si conviene oggi, lui nell’introduzione dice di tenerci assai ma anche queste sono tecniche ed essenziali, senza pippe da instagramer. Per esempio: «Posizionare parte della cagliata su una fondina e mettervi sopra i cappellacci. Irrorare con la salsa di acciughe. Decorare eventualmente con un’acciuga, germogli e fiori», lasciando quel fiori – oggi indispensabili al #foodporn e al #feelgood – come caduti lì per caso, senza importanza.

Senza importanza sono appunto anche le note private, a meno che non sia il padre che gli fa scoprire il capitone. Gli unici scampoli concessi (ma in fondo a chi importa, sottintende lui) li confessa in una recente intervista a Vanity Fair, rispondendo a una domanda sulla moglie-socia Cinzia: «Io sono geloso quanto basta, ma mi fido ciecamente: è la mia migliore amica, la mia partner – la persona assieme alla quale ho piantato un seme che è diventato una pianta – la mamma dei miei figli, una donna stupenda. Detto tutto questo, se lascio mia moglie vado a fare il pescatore». Cambia argomento, devia, è ora di mettere su il soffritto, arrivederci.

La nazionalpopolarizzazione (o polarizzazione, a voler fare i sociologi dei media che non siamo) della cucina oggigiorno è un dato televisivamente inconfutabile. Di recente ho chiacchierato (e soprattutto mangiato) con due noti fratelli chef star, i quali mi hanno detto: «Noi preferiamo stare in cucina, uno chef quello deve fare, non può mai mollare il campo. Ma questo boom mediatico è un’occasione per tutti noi che facciamo questo mestiere, qualunque sia il percorso dei singoli. Si nota un’enorme differenza nella percezione degli altri: il nostro non è più solo un lavoro dietro le quinte, siamo diventati fighi. Poi sta a ciascuno scegliere se e come e quanto vendersi». Potrebbe dirlo anche Cannavacciuolo, che invece il richiamo delle telecamere non l’ha disdegnato.

Dopo MasterChef riparte ora Cucine da incubo, «sul Nove del digitale terrestre» e cioè quel che resta di Deejay Tv, in cui imita il temutissimo Gordon Ramsay e va a sistemare le cose che non funzionano, i forni sporchi, i frigoriferi che perdono, le magagne del servizio, la linea (è gergo tecnico, ma chi ormai non parla così) che si impantana, la muffa dentro i tupperware. Del resto, ha fama di uno che urla ai suoi sous-chef: «In una brigata di cucina devi alzare la voce, far capire chi comanda, strigliare. Ma non è cattiveria, lo faccio per il loro bene: tutti parlano delle famose pacche che do. Occhio, non le do a tutti, sono un segno di attenzione, di simpatia» (sempre da Vanity Fair).

La nazionalpopolarizzazione per Antonino vuol dire anche comparsata al Festival di Sanremo di Carlo Conti, le battute come sono piccola come sei grande con Luciana Littizzetto da Fabio Fazio, il plauso del pubblico social sempre in cerca di trending topic nuovi, chi l’avrebbe mai detto che sarebbero stati anche appannaggio di quelli che fino a ieri dovevano solo dimostrare di saper fare un buon ragù.

img_0012Cavalcare l’onda mediatica e nazionalpopolare significa anche sfruttarne le potenzialità a cascata sul versante imprenditoriale. E dunque, fatto salvo che la priorità resta Villa Crespi sul Lago d’Orta (due stelle Michelin), da qualche mese ecco che il ben poco fighetto Cannavacciuolo ha ceduto al famigerato trend, anzi il più fighetto che c’è: il bistrot. Ha aperto il primo pochi mesi fa a Novara, si dice come test prima della conquista di altre città, e la formula sembra funzionare bene. «Si mangia bene anche se non così tanto, si spende poco anche se non così tanto, ci tornerei anche se non così tanto», fanno sapere amici che ci sono stati e che si dicono in ogni caso soddisfatti. Perché la firma, oggi, è requisito necessario ancor più di un pasto memorabile o della presenza del cuoco stesso ai fornelli. E Cannavacciuolo continua a scegliere di apporla sotto un ristorante che porta il suo nome; Barbieri, per dire, ha recentemente sottoscritto i menu dei nuovi ristoranti Costa Crociere, in cerca di restyling dopo i disastri schettini.

«Non abbattetevi per gli insuccessi. In ogni campo della vita gli errori fanno parte del processo di crescita. Io lo dico sempre anche ai miei collaboratori: perché una nuova ricetta riesca davvero, bisogna farla almeno tre volte. Scegliete attentamente gli ingredienti, siate scrupolosi in ogni passo della preparazione, senza accontentarvi e senza tentare scorciatoie. Fate in modo che la ricetta diventi vostra. E ricordate che una cosa non deve mai mancare nei vostri piatti: l’emozione. Se cucinando vi siete emozionati, i vostri ospiti se ne accorgeranno». Così scrive Antonino nel suo libro. Insomma l’insegnamento è: metteteci il cuore, tanto moriremo con la camicia sporca di sugo, senza aver prima impiattato.