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Obama, Israele, l’Iran

Cosa sta accadendo, esattamente, tra la comunità internazionale e l'Iran? E cosa sta accadendo, di riflesso, tra gli Stati Uniti e Israele?

di Anna Momigliano

Netanyahu IranLe potenze occidentali hanno raggiunto un accordo – un accordo preliminare, certo, ma pure sempre un accordo – con l’Iran a proposito del suo programma atomico. Israele ha protestato, dice che quell’accordo, se mai dovesse essere finalizzato, è una minaccia diretta alla sua sopravvivenza, nonché alla stabilità della regione. Obama ha tentato di tranquillizzare gli israeliani, e quella parte del pubblico americano che considera Israele importante, con una breve intervista, ma la tensione resta alta. Cosa sta accadendo, esattamente, tra la comunità internazionale e l’Iran? E cosa sta accadendo, di riflesso, tra gli Stati Uniti e Israele? Per fare un po’ di chiarezza, abbiamo tentato di spiegare la situazione punto per punto.

Cosa è successo a Losanna

Lo scorso 2 aprile l’Iran e sette potenze mondiali hanno raggiunto un accordo preliminare che, se confermato, permetterà a Teheran di portare avanti il suo programma nucleare, a patto che accetti alcune limitazioni che dovrebbero offrire garanzia circa la natura non bellica del programma. In cambio, sempre se l’accordo dovesse essere finalizzato, la comunità internazionale si impegna a porre fine alle sanzioni economiche imposte all’Iran proprio a causa del suo programma nucleare. Le sette potenze coinvolte nei negoziati con l’Iran, e che hanno raggiunto l’accordo preliminare a Losanna, Svizzera, sono: Stati Uniti, Unione europea, Russia, Cina e Francia, Germania e Regno Unito (oltre che come membri Ue queste tre nazioni europee che hanno partecipato anche “individualmente” ai negoziati). Un nuovo round negoziale è previsto a giugno: da lì potrebbe (forse) uscire un accordo definitivo.

La reazione di Netanyahu

Dopo il raggiungimento dell’accordo preliminare di Losanna il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha telefonato al presidente americano Barack Obama per protestare: «Un accordo [definitivo] basato su queste premesse minaccerebbe l’esistenza di Israele», ha detto, stando a quanto riferito dall’Ufficio stampa dello premier. In una conferenza stampa Netanyahu ha inoltre dichiarato l’opposizione del governo israeliano a un futuro accordo, definito «un grave pericolo per Israele, per tutta la regione e per il mondo» che «non fermerà la corsa iraniana alla bomba [atomica], ma spianerà la strada a questa corsa». Anche alcuni paesi arabi, e in particolare i sauditi, nemici storici dell’Iran, hanno dato qualche segnale di preoccupazione: temono pure loro che Teheran possa utilizzare un accordo per ottenere l’atomica. Il premier israeliano ha inoltre chiesto che, se proprio un accordo ci dovrà essere, includa il riconoscimento da parte di Teheran di Israele e del suo diritto ad esistere.

«Israele ha ogni diritto di essere preoccupato. Ma non esiste un’altra opzione»

La risposta di Obama

Il presidente americano ha risposto alle critiche di Netanyahu con un’intervista rilasciata al giornalista del New York Times Tom Friedman nel weekend del 4 e 5 aprile. Su 40 minuti di intervista sul dossier Iran, più di dieci sono dedicati alle preoccupazioni israeliane: «Israele ha ogni diritto di essere preoccupato: l’Iran è un regime che ha dichiarato il desiderio di distruggere Israele, che ha espresso gravissime idee antisemite, e in più è grande e popoloso. Israele dunque ha tutto il diritto di preoccuparsi che non ottenga la bomba nucleare», ha detto Obama. Ma ha anche aggiunto che «non esiste un’altra opzione per evitare che l’Iran costruisca un arsenale nucleare al di fuori dell’iniziativa diplomatica che abbiamo messo insieme». In altre parole «in un mondo ideale l’Iran non avrebbe alcuna infrastruttura nucleare», ma nei fatti l’unico modo per evitare la costruzione della bomba è monitorare l’infrastruttura nucleare che Teheran si ostina ad avere: le sanzioni non hanno fermato il programma, mentre un’azione militare rafforzerebbe gli estremisti. [Il video completo qui, le parti citate sono tra i minuti 4:40 e 13:30]. In un’altra intervista, questa volta alla radio NPR, Obama ha respinto la richiesta di Netanyahu di esigere da Teheran il riconoscimento di Israele: «Sarebbe come dire che non firmeremo un accordo se non cambia la natura stessa del regime iraniano».

Il nucleare, le sanzioni, le minacce a Israele

Il programma nucleare iraniano esiste formalmente dal 1957, molto prima cioè dell’arrivo al potere degli ayatollah nel ’79. Ma la costruzione del primo centro ricerche risale agli anni Ottanta. Le potenze occidentali cominciano a esprimere preoccupazione sulla natura del programma alla fine degli anni Novanta: formalmente si tratterebbe di energia nucleare a scopo pacifico, ma si teme che l’Iran stia tentando di costruire una bomba atomica, in violazione del trattato di non-proliferazione. La situazione precipita sotto la presidenza di Ahmadinejad, nel 2006, quando il regime di Teheran annuncia di stare arricchendo l’uranio, e nel 2009, quando Teheran testa missili adatti al lancio di ordigni nucleari. Il fatto che nello stesso periodo il regime iraniano abbia anche fatto dichiarazioni molto aggressive – nel 2005, per esempio, Ahmadinejad ha parlato di “cancellare Israele dalle mappe” – ha contribuito alle preoccupazioni dell’Occidente. Da allora Nazioni Unite, Usa e Unione europee hanno imposto diverse sanzioni contro l’Iran, mentre al contempo si sono avviate negoziazioni per convincere Teheran ad accettare limitazioni al programma nucleare tali da provarne la natura pacifica.

Ok, ma cosa dice l’“accordo”?

Non c’è nessun accordo finalizzato (deal), ma solo un accordo preliminare (framework agreement). Che potrebbe (ripetiamo: potrebbe) portare alla firma di un accordo tra qualche mese. Detto questo, il framework agreement si basa sul seguente principio: da un lato l’Iran si impegna ad accettare restrizioni sul proprio programma nucleare, in cambio Usa e Ue si impegnano a ridurre le sanzioni. Le “restrizioni” al programma atomico di Teheran sono: 1) la riduzione del numero di centrifughe nucleari; 2) la riduzione delle scorte di uranio a basso arricchimento; e 3) l’apertura di «tutte le strutture nucleari» agli ispettori dell’agenzia atomica. Il numero di centrifughe dovrebbe essere ridotto da 19mila a seimila, di cui 5mila attive. Le scorte di uranio a basso arricchimento dovrebbero passare da 10 mila a 300 chilogrammi nel giro dei prossimi 15 anni. In entrambi i casi si tratta di misure che dovrebbero rendere più difficile la costruzione di un arsenale nucleare. La presenza di ispettori internazionali dovrebbe contribuire a verificare l’assenza di un programma atomico bellico.

Il punto di vista di Israele

In Israele la preoccupazione per un possibile futuro accordo sul nucleare iraniano è una questione trasversale, che non riguarda soltanto la destra e l’attuale primo ministro. Israele, in soldoni, è preoccupato da due ipotesi: primo, che l’Iran possa utilizzare l’accordo per proseguire, di nascosto e indisturbato, la sua corsa all’armamento atomico; anche al di là del dossier bomba atomica, poi, Israele teme che la fine delle sanzioni economiche e la vittoria diplomatica possano rafforzare il regime iraniano e la sua influenza in Medio Oriente. Oltre a essere una teocrazia che non riconosce lo Stato di Israele e che nel passato recente si è ufficialmente augurata la sua distruzione, l’Iran sostiene milizie che minacciano direttamente Israele: Hezbollah, il gruppo sciita libanese; la Jihad islamica, sciiti palestinesi; e Hamas (che non è un gruppo sciita, e che con Teheran ha un rapporto complesso, ma riceve pur sempre sostegno). Il timore, oltre all’atomica in sé, è che Teheran possa aumentare il sostegno politico e i fondi a gruppi come Hezbollah e Hamas, per esempio fornendo missili più potenti con cui bombardare Israele da Gaza e dal Libano. In più esiste anche una terza fonte di preoccupazione. E cioè che, se l’Iran dovesse ottenere la bomba atomica, questo possa spingere alcuni paesi arabi, che con l’Iran hanno un rapporto difficile, a dotarsi pure loro di testate nucleari.

Il punto di vista di Obama

Obama pare genuinamente convinto che l’accordo allontani la prospettiva di una bomba atomica iraniana anziché avvicinarla. Tuttavia, probabilmente, non è questa la sola motivazione del presidente Usa. La Casa Bianca, infatti, sembra intenzionata a normalizzare, o se non altro distendere, le relazioni con l’Iran e l’accordo preliminare va letto in questo senso. Che piaccia o no, l’Iran è una delle principali potenze regionali del Medio Oriente. E, a torto o a ragione, gli Usa sono convinti che il modo migliore per contenere le guerre civili e le varie tensioni che in questi anni stanno scuotendo il Medio Oriente sia includere l’Iran.

Le nazioni arabe si sentono minacciate dall’atomica iraniana quasi quanto Israele.

Il contesto mediorientale

Attualmente almeno tre grandi paesi arabi sono, di fatto, in uno stato di guerra civile: la Siria, lo Yemen e l’Iraq (più precisamente: una parte dell’Iraq). In più sta emergendo come forza, molto aggressiva per tutta la regione e pericolosa anche per i paesi occidentali, lo Stato Islamico, il “Califfato” tra Siria e Iraq controllato da un’organizzazione terroristica, l’Isis. Il fattore Isis ha spinto le nazioni occidentali ad ammorbidire la loro posizione contro il regime di Assad, stretto alleato di Teheran e nemico dell’Isis. Inoltre uno dei fattori – ma non, ovviamente, l’unico – nel gran caos che si è creato in Siria, Iraq e Yemen è lo scontro tra sunniti e sciiti, le due principali correnti dell’Islam. In questo scontro tra sunniti e sciiti, le due grandi potenze coinvolte sono Arabia saudita da un lato e Iran dall’altro. In questo contesto, per come la vedono gli americani, normalizzare le relazioni con l’Iran avrebbe una doppia valenza: da un lato in funzione anti-Isis; dall’altro perché portare Iran e Arabia saudita allo stesso tavolo pare il modo migliore per risolvere le tensioni tra sunniti e sciiti. Dunque le aperture di Obama al nucleare iraniano vanno messe in questo contesto: gli Usa vogliono dare qualcosa a Teheran in modo che gli iraniani collaborino sia contro l’Isis sia nella soluzione ai conflitti sciiti-sunniti. Il piano di Obama potrebbe sortire però… precisamente l’effetto opposto di quello sperato, almeno sul fronte dello scontro tra sciiti e sunniti. Le nazioni arabe si sentono minacciate dall’atomica iraniana quasi quanto Israele. Dunque potrebbero reagire alzando i toni e correndo pure esse a un armamento atomico. Il rischio insomma è che aumenti, anziché placare, le tensioni tra Iran e i Paesi sunniti.

Il contesto politico americano

Tutto questo sta accadendo in un momento delicato per Washington. Perché 1) si avvicinano le presidenziali del 2016; 2) il rapporto tra Casa Bianca e governo israeliano è particolarmente teso; e 3) a complicare le cose c’è il fatto che il dossier con Israele (o, meglio, il rapporto con il governo Netanyahu) sta diventando sempre più una partisan issue, che divide Democratici e Repubblicani. È chiaro che, giusto o sbagliato, sensato o meno, l’accordo preliminare con l’Iran rappresenti un allontanamento degli Usa da Israele. Non che questa fosse l’intenzione originale, certo, ma resta il fatto che Israele ha vissuto la vicenda come uno smacco, che si senta abbandonata. I rapporti tra amministrazione Obama e il governo Netanyahu erano già tesissimi per tutte altre questioni: le costruzioni di colonie nella West Bank, e le affermazioni di Netanyahu durante l’ultima campagna elettorale a proposito degli arabi israeliani, per fare due esempi. Contemporaneamente, però, il governo Netanyahu gode di ampio sostegno da parte dei Repubblicani, che controllano il Congresso. Non a caso il premier israeliano sta spingendo affinché l’accordo passi dal Congresso, dove le ragioni di Israele hanno migliori possibilità di essere ascoltate, e alcuni esponenti Gop sembrano decisi a sostenerlo. In tutto questo, lo stesso Obama dovrà muoversi con cautela, perché le elezioni sono alle porte e Israele resta un argomento che infiamma gli animi.

Nell’immagine in evidenza: il premier Netanyahu, nella conferenza stampa in cui ha definito l’accordo «una minaccia per Israele e per tutta la regione» (Kobi Gideon /GPO via Getty Images)