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È stato scoperto il virus più antico del mondo

Fino a pochi giorni fa, nessuno era mai riuscito ad studiare sequenze di virus più vecchie di qualche centinaio d’anni. Recenti studi hanno invece scoperto frammenti di DNA in un reperto risalente a circa 7000 anni fa, più precisamente nei denti di un uomo ritrovato durante alcuni scavi in Germania. Lo ha riportato l’Atlantic: le moderne tecnologie sono state in grado di riconoscere il virus HBV come responsabile del decesso dell’individuo. Lo sviluppo delle analisi potrebbe portare avanzamenti sostanziali nella mappatura delle epidemie preistoriche.

A riconoscere il virus sono stati due gruppi di ricerca distinti, pervenuti contemporaneamente alla stessa conclusione. Il primo gruppo, guidato da by Ben Krause-Kyora e Johannes Krause in Germania, ha condotto le proprie ricerche sull’uomo di 7,000 anni e su altri reperti più recenti, rispettivamente di 5,000 e di 1,000 anni fa. Una seconda ricerca è stata invece condotta a Copenhagen dal professor Eske Willweslev, sui resti di 12 individui risalenti all’Età del Bronzo. Entrambe le ricerche hanno attestato frammenti del DNA in questione: dopo aver infettato il fegato ed essere entrato in circolazione, il virus si è preservato nelle ossa e nei denti dei soggetti per millenni.

Oggi la scoperta è spunto di comparazione tra forme diverse dello stesso virus. La forma preistorica dell’epatite B si è infatti estinta negli esseri umani, ma è ancora presente in alcune colonie di gorilla in Africa. Gli studiosi si stanno ora chiedendo l’origine della malattia: sono stati gli uomini preistorici a trasmetterla agli animali, o viceversa? Inoltre, resta ancora oscuro come il virus – le cui forme odierne presentano una struttura molto diversa – si sia potuto evolvere e diffondere tra le diverse popolazioni del mondo. Oggi l’epatite virale è ampiamente prevenuta ma affligge ancora in piccola percentuale alcune parti dell’Africa dell’Asia. Futuri studi sull’agente patogeno e su altre sequenze di DNA virale (adenovirus, poxvirus) conservate nei resti archeologici potrebbero tracciare previsioni sull’evoluzione della malattia, nonché mappare lo spostamento delle popolazioni eurasiatiche nel corso del tempo.