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Andrea Bajani ha vinto il Premio Strega 2025 con L’anniversario Feltrinelli torna alla vittoria 20 anni dopo l'ultima volta.
La Bbc non ha voluto trasmettere un documentario sui crimini dell’Idf contro i medici di Gaza Documentario che la stessa Bbc aveva commissionato. Si intitola Gaza: Doctors Under Attack e alla fine è andato in onda su Channel 4, tra le polemiche.
Per vincere le elezioni adesso Marine Le Pen punta sull’aria condizionata per tutti Una proposta che ha acceso il dibattito politico, in uno dei Paesi, la Francia, meno climatizzati d'Europa.
Luca Guadagnino sta cercando delle comparse molto specifiche per il misterioso film che girerà quest’estate in Piemonte Se avete la carnagione molto chiara o siete amanti di videogiochi, potrebbe essere la grande occasione per esordire al cinema.
La Lidl ha fatto una giacca limited edition dedicata agli Oasis e l’ha chiamata Lidl By Lidl Prende ispirazione da una giacca cult indossata da Liam, quella di Berghaus, di cui è volto pubblicitario.
L’uomo Del Monte ha dichiarato bancarotta L’azienda ha grossi debiti perché i consumatori statunitensi hanno cominciato a cercare cibi più sani, facendo diminuire molto le vendite. 
La sentenza del processo Diddy è molto più complicata di come la si sta raccontando È vero che è stato assolto dalle accuse più gravi, che gli facevano rischiare l'ergastolo. Ma è vero anche che rischia fino a 20 anni di carcere.
Il Dalai Lama sta per compiere 90 anni e Cina e Tibet già litigano per il suo successore Lui ha detto che il suo successore non nascerà sicuramente in Cina, la Cina lo ha accusato di essere «un manipolatore».

La riscoperta di Wolfgang Hilbig, scrittore straniato del Novecento

Keller riporta in libreria l'autore, tedesco dell'est, dimenticato e marginale, eppure importantissimo.

03 Marzo 2021

Hölderlin di Sassonia, erede di Hoffmann, prosecutore della lezione di Joyce e Beckett, secondo molti Wolfgang Hilbig è il più grande poeta tedesco della fine del Novecento. Hilbig canta la rovina, le macerie, la frantumaglia con un linguaggio criptico, straniante, sinestetico, versificato, in un flusso interiore del vissuto. «Per scrivere ho sacrificato la mia biografia, la mia persona». Hilbig vive ai margini, si nutre di scorie come Rimbaud, Hrabal, Bukowski. Nato nel 1941 a Meuselwitz, a quaranta chilometri da Lipsia, nella povertà infame e operaia di una zona industriale che trasuda oppressione, dopo aver perso il padre in guerra, nel 1942, a Stalingrado, cresce con la madre e il nonno semianalfabeta, più avvezzo al russo e al polacco che al tedesco. Da bambino gioca tra le macerie, nelle baracche vuote di un campo di concentramento, e sviluppa le prime fantasie sessuali alla vista dei ganci dove appendevano gli ebrei. Quella complicità con il lager – un distaccamento di Buchenwald – gli incista un senso di colpa irremovibile. Lascia la scuola a quattordici anni, si barcamena tra molti lavori pesanti e nel frattempo da autodidatta s’impartisce una cultura sterminata e onnivora che travalica i modelli propugnati dal regime.

Alla fine degli anni Sessanta entra in un circolo di scrittori-operai, ovviamente caldeggiato dallo Stato per celebrare il socialismo reale con bozzetti innocui. Non c’è arte in quella pretesa artistica e Hilbig sfrutta l’occasione per fare pratica. Nel 1970 torna a Meuselwitz, nella casa dei nonni materni, e trova lavoro come fuochista. Nella testa gli rimbombano slogan come «Chi non lavora non pensa al futuro», lui che vuole diventare scrittore a tutti i costi. «Non ha nemmeno fatto la maturità […]. Noi le abbiamo dato lo stesso la possibilità di imparare un mestiere decente… e lei di nuovo l’ha buttato alle ortiche. La sua gratitudine nei confronti dello Stato e della società lascia assai a desiderare, per non dire che presenta tratti criminali. Vuole fare l’artista… e che cosa avrebbe da scrivere, lei… Uno scrittore che ha paura di gettare lo sguardo nella vita vera». Questa ramanzina deve essersela sorbita un bel po’ di volte.

Nel 1979 ottiene un primo risultato: Fischer pubblica Abwesenheit (Assenza), una raccolta di poesie scritte tra il 1965 e il 1977. Il silenzio che ne scaturisce è angosciante. «Hilbig dà fastidio perché ha talento», mi conferma il professor Fabrizio Cambi. «La stella polare era il rispecchiamento di Lukács». Hilbig teme di finire nelle purghe della “rieducazione” o in un campo di lavoro. Si sente fuori posto, oppresso, affetto dalla «malattia della parola». «Dentro di me […] i vocaboli si dibattevano imprigionati in reti nebulose», scrive in Le femmine, il primo dei due lunghi racconti di questo libro indispensabile e inedito in Italia con cui Keller inizia la pubblicazione delle maggiori opere dello scrittore.

Nel 1985 si trasferisce nell’Ovest grazie a un permesso temporaneo. Le gratificazioni sono poche e isolate e Hilbig è quasi sempre senza un soldo e fradicio di alcol. Rimane per tutta la vita un individualista con categorie tutte sue. «Non riuscivo più in alcun modo a mettere su carta un testo per così dire normale, una descrizione semplice e spensierata, senza che si intromettessero singolari, stravaganti recriminazioni che cercavano di compensare una qualche ripugnante vigliaccheria del mio animo». Muore nel 2007 alcolizzato, a Berlino, a soli sessantasei anni, quando cominciavano a fioccare premi e riconoscimenti.

Hilbig non svela mai il bersaglio della sua narrazione; non c’è scure politica nel suo tormento. Ci racconta in fondo sempre la stessa storia, quella di uno scrittore solo, fallito, braccato da forze invisibili, spiato kafkianamente da persone incappucciate che lo sferzano con «capi d’accusa inintelligibili». La Stasi, terrore silenzioso sempre in ascolto, cappa di serpenti che si infilano nelle vite di tutti; perfino dentro le penne, seccando l’inchiostro della libertà. C’è automartirio in Hilbig, la sua sofferenza diventa una rappresentazione oscura e la profondità del suo torrente di parole sublima il dolore; filtra luce dalla sua ossessione per le passeggiate nella natura – lo scrittore spaesato in mezzo alle rovine, con «le ombre si appostavano, intanate nelle crepe dei muri, ad aspettare il momento dell’agguato, ingigantendosi».

La rimozione del passato, il peso della memoria collettiva, il paesaggio stuprato dalle industrie sono al centro del secondo racconto, Vecchio scorticatoio. Anche qui la deturpazione è vissuta come un dato di fatto; la speranza risiede nella vite ipnotica del linguaggio che salda il lettore allo scrittore e lo costringe alla medesima discesa nell’inferno. È la storia di un bambino che cresce all’ombra di una fabbrica che nasconde qualcosa di abominevole. Diventato grande, avendo fallito in tutto, torna alla fabbrica, cerca di farsi assumere, anche se tutt’intorno c’è puzza di cenere e grasso. Nel vecchio scorticatoio Germania II si cuociono carcasse di animali per farne sapone, Germania II che con i suoi liquami fetidi altera perfino «il mantello poroso del pianeta», «Germania II la sede dell’esperienza della carne e del sangue, […] dell’essenza di essere e tempo».

Lo scorticatoio rappresenta l’affronto dell’uomo verso l’umanità e la natura – ingloba l’orrore nazista, il buio del regime comunista, la tentazione capitalista. I lavoratori maneggiano le carcasse ma sentiamo scricchiolare gli scheletri della Germania intera che non ha affrontato il suo passato. Si assiste all’implosione della fabbrica, al suo collasso in una miniera di carbone mai diventata operativa. Collassano le metafore, collassa la lingua stessa nei fossili di uno stordimento etimologico e semantico sorprendente. Pochi scrittori (e pochi traduttori – il plauso per Roberta Gado e Riccardo Cravero è d’obbligo) hanno raggiunto una tale sublime perizia. Lo scorticatoio seppellisce e disseppellisce, polverizza il soggetto; la scrittura diventa il centro di tutto, riesuma i significati, plasma parole e frasi in un turbine joyciano: vecchio scorticatoio, vecchio scardinatoio, vecchio sragionatoio, vecchio scancellatoio, vecchio oscurantoio, vecchio svanificatoio, vecchio spanditoio, vecchio liquidatoio, vecchio sfiatatoio, sciabolatoio, scarnicatoio, corticatoio, orticatoio, orticaio, vecchiaio.

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