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La versione horror di Winnie the Pooh è un successo nonostante faccia schifo a tutti

Nato dalla volontà di cazzeggio dei suoi autori (e dal desiderio di prendere in giro Disney), il film potrebbe diventare uno dei maggiori successi cinematografici degli ultimi anni.

di Studio

Ci sono film di cui si dice che “fanno il giro”, capaci di rovesciare il loro iniziale status di ciofeche e di ascendere a quello di capolavori, perché ironici, perché radicali, perché distanti dai gusti del momento, perché anticipatori di quelli che verranno. E poi ci sono film che sono semplicemente delle ciofeche, che tali restano e che per ragioni che nessuno riesce davvero a capire né a spiegare diventano dei successi. A giudicare da come ne sta parlando la critica americana, è questo il caso di Winnie-the-Pooh: Blood and Honey, la reinterpretazione in chiave horror del più famoso degli animali antropomorfi immaginati dallo scrittore britannico Alan Alexander Milne. Il film non è ancora stato distribuito in Italia né è stata annunciata una data per l’arrivo nelle sale cinematografiche del nostro Paese (si sa solo che arriverà nel 2023), ma nel resto del mondo del sangue e del miele si sta già parlando – e tanto, anche – da circa un mese, da quando il film ha fatto il suo esordio (lo scorso 27 gennaio) nei cinema messicani. Solo in Messico, Winnie-the-Pooh: Blood and Honey ha incassato un milione di dollari. Può sembrare poco in assoluto, ma è una cifra impressionante se confrontata con il budget speso per la realizzazione del film: stando a quanto dichiarato da chi ha pensato che fosse una buona idea trasformare un orsetto amante delle coccole e del miele in un assassino cannibale a metà tra Leatherface e Jason, per girare il film sono stati spesi meno di centomila dollari. Lo scorso mercoledì il film è stato distribuito in 1500 cinema negli Stati Uniti, e poi sarà la volta della distribuzione in Canada, Europa, Regno Unito, Giappone, Australia, Nuova Zelanda e 1300 sale in America del Sud. Se le traiettorie d’incasso intuibili dalle prestazioni messicane del film dovessero rivelarsi veritiere, Winnie-the-Pooh: Blood and Honey diventerà – come già scritto su Variety – uno dei maggiori profitti cinematografici negli ultimi dieci anni di storia del cinema. E nessuno ha ancora capito né perché né come sia successo.

Sicuramente non lo sa il regista e sceneggiatore e produttore del film, Rhys Frake-Waterfield. Per lui, il film doveva essere esattamente quello che tutti pensavano sarebbe stato: cazzeggio. Non poteva essere altro, considerando che mentre scriveva la sceneggiatura la sua maggiore preoccupazione era rispondere a domande quali: «Come si fa a stringere un coltello con una zampa?» (domanda che ha portato a una approfondita riflessione che ha portato all’illuminante intuizione di creare un Winnie che potesse comodamente impugnare armi da taglio grazie a provvidenziali mani umane). “B-movie trash”, così riassumevano la sua idea tutti quelli ai quali l’aveva anche solo accennata. Persino i dirigenti di Jagged Edge, la casa di produzione britannica che alla fine al suo film ha dato la luce verde e per la quale Frake-Waterfield lavora, la pensava così. E nella storia di Jagged Edge ci sono titoli come: The Legend of Jack and Jill, Curse of Jack Frost, Tooth Fairy: Drill to Kill, The Curse of Humpty Dumpty e Easter Bunny Massacre: The Bloody Trail. Una casa di produzione specializzata nel trollare, insomma: prendere una proprietà intellettuale possibilmente molto cara all’infanzia e trasformarla nell’ennesimo divertimento ironico e distaccato per adulti annoiati. Una sorta di Troma specializzata in personaggi delle fiabe. Ma persino quelli di Jagged Edge pensavano che una versione horror di Winnie the Pooh non fosse necessaria. Anche solo per il fatto che a girare il film si correva il fortissimo rischio di far incazzare la più grande multinazionale dell’intrattenimento nella storia dell’umanità: Disney. È vero che la proprietà intellettuale di tutta l’opera di Milne è scaduta nel gennaio del 2022 e che per la legge americana tutti i suoi personaggi si trovano ora in quel limbo chiamato public domani: vale a dire, il primo che arriva se li piglia e ci fa quello che vuole. Ma questo non toglie il fatto che a vedere una delle sue più note e remunerative proprietà intellettuali pensate per i bambini trasformate in una pioggia di sangue, Disney di certo non sarebbe stata contenta. In più, la questione della trasposizione è assai delicata: si può usare liberamente tutto quello che Milne ha scritto nei suoi libri ma niente di quello che Disney ha messo nei suoi film. Per capirsi: se nel film di Frake-Waterfield Winnie l’assassino avesse indossato una maglietta rossa simile a quella di Winnie l’orsetto, gli avvocati di Disney si sarebbero subito messi al lavoro a una causa per violazione di copyright. Stessa cosa se Pimpi, il compagno di stragi di Winnie l’assassino, avesse indossato dei guanti che anche solo lontanamente ricordassero quelli del tenerissimo Pimpi disneyano.

Ed è stata proprio la possibilità di prendere per il culo Disney una delle ragioni che hanno spinto Frake-Waterfield e il suo socio in affari cinematografici Scott Jeffries – 114 film prodotti in carriera, autoribattezzatosi “il Terminator della produzione” – a spendere capitali propri pur di produrre il film. Capitali non ingentissimi, visto che sono bastati a finanziare soltanto dieci giorni di riprese presso la foresta di Ashdown, nell’East Sussex, con attori quasi tutti non professionisti (gli attori che di solito collaboravano con Jagged Edge si sono tutti rifiutati di prendere parte alle riprese perché consideravano il film «una stronzata che alla fine non sarà nemmeno distribuita», ha raccontato Frake-Waterfield) e con scenografie prese in prestito dalle fattorie vicino ai luoghi delle riprese. Ricordando i giorni sul set, Frake-Waterfield dice di aver trascorso quasi tutto il suo tempo ridendo. «Ma che sto facendo? È ridicolo», ammette di essersi detto più e più volte.

E come tutte le cose ridicole dei nostri tempi, il successo di Winnie-the-Pooh: Blood and Honey lo hanno deciso in buona parte i social. Twitter, in particolare. Alla fine di quei dieci giorni di avventurose e improvvisate riprese, alla stampa arrivano le prime immagini ufficiali del film. Sui social comincia a girare tantissimo l’immagine dei Winnie e Pimpi assassini che osservano minacciosi una ragazza che, ignara del pericolo appena uscito dal Bosco dei Cento Acri, si rilassa in piscina. L’immagine diventa virale. Un dirigente di Fathom Events, una società di distribuzione specializzata in spettacoli di danza, opere teatrali, spettacoli di Broadway, anime, vecchi film ormai diventati classici e franchise basati sulle Sacre Scritture, si accorge di quanto le persone sembrano ossessionate da questo film e decide di acquistarne i diritti per la distribuzione. «Questa roba è esplosa sui social e noi ce ne siamo accorti. Questa è l’unica ragione per la quale ci siamo interessati al film. Ovunque sui social si parlava di Winnie-the-Pooh: alcuni ne parlavano bene, altri male. Ma per me andava tutto bene perché significava che tutta quella gente sarebbe andata al cinema a vederlo, il film», ha raccontato Ray Nutt, chief executive di Fathom. Aveva ragione lui.

Il successo di Winnie-the-Pooh: Blood and Honey è dato per scontato da praticamente tutti gli addetti ai lavori, ormai. Il film deve ancora essere distribuito in moltissimi Paesi, ma Jeffries e Frake-Wakefield si sono già messi al lavoro sul sequel, questa volta finanziato con soldi di altri. E ovviamente, il passo successivo è l’universo condiviso. Le vulcaniche menti dietro a Winnie-the-Pooh: Blood and Honey hanno già prodotto pitch come Peter Pan’s Neverland Nightmare, rielaborazione delle avventure sull’Isola che non c’è, in cui la co-protagonista sarà «una Campanellino obesa che è anche una tossicodipendente in rehab» e Bambi: The Reckoning, la cui sinossi dice che il Bambi degli adulti sarà «una spietata macchina assassina che si aggira per la foresta». Non avrebbe mai pensato di dirlo nemmeno lui, ma alla fine l’ultima risata è di Frake-Wakefield. Che ancora adesso si ricorda le risate di quelli ai quali raccontò per la prima volta l’idea che sarebbe diventata Winnie-the-Pooh: Blood and Honey. «Pensavano che sarebbe stato un fallimento e che stessi sprecando i miei soldi e bla bla bla. È bello vedere come ora siamo noi quelli che vengono contattati dagli investitori».