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15:54 mercoledì 5 novembre 2025
La nuova serie di Ryan Murphy con Kim Kardashian che fa l’avvocata è stata demolita da tutta la critica All’s Fair centra lo 0 per cento su Rotten Tomatoes, in tutte le recensioni si usano parole come terribile e catastrofe.
Un giornalista italiano è stato licenziato per una domanda su Israele fatta alla Commissione europea Gabriele Nunziati ha chiesto se Israele dovesse pagare la ricostruzione di Gaza come la Russia quella dell'Ucraina. L'agenzia Nova lo ha licenziato.
Lo Studio Ghibli ha intimato a OpenAI di smetterla di usare i suoi film per addestrare Sora 2 a crearne delle brutte copie Assieme ad altre aziende dell'intrattenimento giapponese, lo Studio ha inviato una lettera a OpenAI in cui accusa quest'ultima di violare il diritto d'autore.
Nel suo discorso dopo la vittoria alle elezioni, il neosindaco di New York Zohran Mamdani ha sfidato Donald Trump Nelle prime dichiarazioni pubbliche e social, il neosindaco ha anche ribadito la promessa di ridisegnare NY a misura di migranti e lavoratori.
Ogni volta che va a New York, Karl Ove Knausgård ha un carissimo amico che gli fa da cicerone: Jeremy Strong E viceversa: tutte le volte che l'attore si trova a passare da Copenaghen, passa la serata assieme allo scrittore.
È uscito il trailer di Blossoms Shanghai, la prima serie tv di Wong Kar-wai che arriva dopo dodici anni di silenzio del regista Negli Usa la serie uscirà il 24 novembre su Criterion Channel, in Italia sappiamo che verrà distribuita su Mubi ma una data ufficiale ancora non c'è.
È morta Diane Ladd, attrice da Oscar, mamma di Laura Dern e unica, vera protagonista femminile di Martin Scorsese Candidata tre volte all'Oscar, una volta per Alice non abita più qui, le altre due volte per film in cui recitava accanto alla figlia.
L’attore e regista Jesse Eisenberg ha detto che donerà un rene a un estraneo perché gli va e perché è giusto farlo Non c'è neanche da pensarci, ha detto, spiegando che a dicembre si sottoporrà all'intervento.

Perché l’usato è diventato di lusso

Né boutique vintage né mercatino delle pulci: come funzionano i nuovi re-seller del lusso, dove trovi quello che in negozio tira di più.

05 Novembre 2018

Con quasi sei milioni di utenti attivi in quarantotto Paesi diversi e circa tremiladuecento prodotti aggiunti ogni giorno sul sito, Vestiaire Collective è la piattaforma leader in Europa nell’acquisto e vendita di capi e accessori di lusso. Fondata nel 2009 da Sophie Hersan e Fanny Moizant, sin dal suo esordio ha puntato a “responsabilizzare” i suoi venditori, assistendoli nella scelta del prezzo più competitivo per i loro prodotti e offrendo una breve guida per fotografarli al meglio. Quindi, gli oggetti vengono pubblicati sul sito con uno sfondo bianco (per garantire una minima concordanza estetica) e una volta venduti, devono essere spediti dal venditore alla sede parigina di Vestiaire Collective. La piattaforma gestisce direttamente i costi della spedizione: si può perciò scegliere di andare in posta con il codice emesso da Vestiaire Collective oppure prenotare il ritiro a casa. Una volta giunti a destinazione, i prodotti vengono autenticati e, se superano i i controlli, spediti all’acquirente. La commissione per questi servizi varia a seconda del prezzo dell’oggetto che si vende: mediamente, si aggira intorno al 40%. È onerosa, ma permette comunque di racimolare un discreto guadagno se si vendono scarpe e borse di un certo valore.

Funziona in maniera leggermente diversaTheRealReal, che è poi uno dei principali concorrenti di Vestiaire Collective negli Stati Uniti, uno dei mercati più reattivi a questo fenomeno. Fondato nel 2011 da Julie Wainwright, oggi TheRealReal conta due negozi, uno a New York e uno a Los Angeles, e si basa sul modello del contovendita. I potenziali venditori spediscono i loro prodotti direttamente al magazzino della piattaforma, che si occupa di verificarne l’autenticità, fotografarli e venderli tramite i propri canali, sia fisici che virtuali. Come segnala Jo Ellison sul Financial Times, il prezzo varia a seconda della desiderabilità di un marchio (Gucci, Louis Vuitton e Chanel i più ricercati) e delle condizioni dell’oggetto, che vanno da “buone” a “incontaminato”. Chi vende può guadagnare fino all’85% del prezzo finale. Sebbene sia un mercato ancora difficile da inquadrare con precisione, Bain & Company stima che per il 2018 il “second-hand” di lusso raggiungerà i sei miliardi di dollari a livello globale. Funziona particolarmente bene in America, dicevamo, dove la compravendita dell’usato di lusso è destinata ad aumentare nel 2021 e raggiungere quota trentatré miliardi di dollari (nel 2016 si era fermata a diciotto). Lo segnala Marta Casadei su Il Sole 24 ore: nel 2017, negli USA, le vendite di capi e accessori usati si sono attestate sui venti miliardi di dollari, pari al 49% del mercato dell’usato, e secondo il Resale report 2018, una ricerca condotta da Fung Global Technology per il sito e-commerce ThredUp, sono cresciute del 35% a fronte dell’8% di quelle nel retail classico. Un altro dato interessante è quello che riguarda il 13% di coloro che stanno riscoprendo il valore dell’usato: si tratta infatti della fascia più ricca dei consumatori, a dimostrazione di come oggi comprare di seconda mano sia diventata a tutti gli effetti una tendenza.

Una dipendente controlla un abito nel centro logistico di Vestiaire Collective a Tourcoing, il 4 dicembre 2017 (Philippe Huguen/Afp/Getty Images)

Quando diciamo “second-hand”, meglio specificarlo, non si intende vintage: ad andare a ruba su Vestiaire Collective, TheRealReal, Tradesy e Grailed (sito dedicato allo streetwear maschile) sono le scarpe, le borse e gli accessori del momento, che non corrispondono in automatico a quelli che vengono considerati rilevanti per la storia della moda e, perciò, rivenduti a prezzi mediamente più alti di quelli qui discussi. Al contrario, potrebbero essere cose che tra vent’anni non indosseremo più: difficile prevederlo allo stato attuale delle cose. Questo cambiamento attitudinale nei confronti dell’usato è perciò significativo sotto molteplici punti di vista: intanto perché segnala la peculiarità dell’approccio di Millennial e Generazione Z (che sono meno legati a ciò che comprano rispetto al passato) nei confronti dello shopping di lusso, quindi perché apre la strada a nuovi modelli di business. Comprare di seconda mano, infatti, consente agli acquirenti di avere tra le mani l’oggetto desiderato a un prezzo vantaggioso e ai venditori di reinvestire i propri soldi con velocità: per acquistare nuovi capi, magari, o semplicemente per accumulare credito. Non è secondario il fatto di sentirsi “meno in colpa” rispetto ai nuovi acquisti (in fondo si tratta di “riciclo”), a conferma di come concetti quali il consumismo “responsabile” e la circolarità dell’economia facciano in qualche modo presa (con tutte le contraddizioni del caso) anche su questo tipo di consumatore.

In realtà, il boom dell’usato potrebbe essere l’ennesima riprova di come la battaglia del lusso si combatta sempre più su fasce di prodotti dai prezzi “moderati” (ovvero che non superino i tremila euro, si pensi alla strategia di Burberry per la Belt Bag) e non è un caso che gli stessi marchi del lusso, lo segnala Fashion United, stiano cominciando a interessarsi al settore. LVMH, ad esempio, ha acquisito una quota di minoranza in Stadium Goods, un negozio che rivende streetwear, mentre Richemont ha recentemente rilevato Watchfinder, marketplace online per gli orologi di lusso. Mantenere alta la popolarità di un rivenditore second-hand, però, non è un affare semplice: lo sanno bene da Vestiaire Collective, che punta ad allargarsi con nuovi investimenti. I problemi principali che queste piattaforme si trovano ad affrontare, d’altronde, sono principalmente due: la questione dei falsi (The RealReal, ad esempio, è incappato nell’immancabile post denuncia di Diet Prada) e quella dell’inventario. A questo proposito, ha scritto Lauren Sherman su Business of Fashion: «aziende come queste non solo devono trovare persone che vendano, ma che abbiano anche le giuste cose da vendere». Mica facile.

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