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Uncut Gems è un’opera d’arte

L'ultimo film dei fratelli Safdie, dal 31 gennaio su Netflix, conferma la genialità dei due registi newyorkesi.

03 Febbraio 2020

Guardare Uncut Gems, l’ultimo film dei fratelli Safdie (su Netflix dal 31 gennaio con il titolo Diamanti Grezzi) è un po’ come tenere in mano l’opale nero che il protagonista, il gioielliere ebreo newyorkese Howard Ratner, riesce a farsi spedire dall’Etiopia dentro a un enorme pesce morto. L’opale nero, ancora allo stato grezzo, è l’unica pietra che riesce ad attirare l’attenzione di Kevin Garnett, il cestista alto 2 metri che nel film interpreta se stesso, in visita nel negozio di gioielli di Howard nel Diamond District di Manhattan. Quando lo prende in mano e lo guarda con una lente, si perde nel labirinto dei suoi riflessi cangianti e resta come ipnotizzato da un’energia misteriosa e potente. Il film prodotto da Martin Scorsese è come l’opale: prezioso, ipnotico e forse anche un po’ magico.

Il merito è anche degli attori pazzeschi: Adam Sandler in quello che è stato salutato come il ruolo migliore della sua carriera, la rivelazione Julia Fox e l’impeccabile Idina Menzel, Eric Bogosian nei panni del cattivo meno convinto di sempre, Lakeith Lee Stanfield ammaliante, The Weeknd nei panni di se stesso. Ma non solo: c’è anche l’adrenalina delle scommesse di Howard, l’esasperante protagonista, che coinvolge anche noi che guardiamo, perfettamente in grado di empatizzare con la sua dipendenza per il gioco. Alla fine ci ritroviamo a saltare sul divano durante la partita di basket, urlando, proprio come lui. E poi potere sprigionato dai gioielli (i furby tempestati di diamanti, soprattutto, a cui Vulture ha dedicato un articolo), una New York caotica, sporca, eppure anche astratta, classica e inedita allo stesso tempo.

Come in Good time del 2017, un altro gioiello dei Safdie e della casa di produzione A24, che ruotava intorno all’interpretazione straordinaria di uno dei registi, Benny Safdie, nel ruolo del fratello ritardato di un altrettanto bravo Robert Pattinson, la colonna sonora è del musicista elettronico-sperimentale Oneohtrix Point Never. E insieme al montaggio folle e forsennato, alle telefonate e ai dialoghi assurdi e urlati, perfettamente sospesi tra il tragico e il comico (merito di Ronald Bronstein, protagonista del loro film del 2009 Daddy Longlegs, poi diventato loro abituale collaboratore artistico e sceneggiatore), l’attenzione alle luci (rosa, verdi, ma soprattutto quelle freddissime dei neon) e ai costumi (la giacca logora di Pattinson, i denti finiti e gli orecchini di Sandler, i vestiti fosforescenti nel buio durante l’esibizione di The Weekend in un locale), concorre a creare uno stile unico, quello che ha fatto sì che con pochi film i Safdie, a poco più di 30 anni – Joshua è del 1984, Benjamin del febbraio 1986 – abbiano conquistato pubblico (Uncut Gems, uscito a Natale nei cinema americani, è andato benissimo) e critica (recensioni entusiaste sempre e ovunque).

In un momento storico in cui siamo abituati alla velocità, tanto nella produzione di contenuti quanto nel loro consumo, è sempre emozionante scoprire opere che, invece, hanno richiesto molti anni per venire alla luce. Così come il recente caso letterario americano appena pubblicato da Einaudi, Gli incendiari di R. O. Kwon, un libro velocissimo che si legge in una sera, ha richiesto alla sua autrice 10 anni, Uncut Gems, che si ispira alle storie raccontate ai registi dal loro padre, che per un periodo lavorò nel Diamond District di Manhattan, è stato in lavorazione per quasi un decennio. I Safdie hanno interrotto il progetto più volte per dedicarsi ad altro: un documentario e due film. Il già citato Good time, cucito su misura per Pattinson (li ha contattati lui, pregandoli di poter lavorare con loro), e prima ancora un’altra opera stupefacente, Heaven Knows What, del 2014, nato grazie all’incontro con Arielle Holmes, una giovane senzatetto dipendente dall’eroina. Basato sul memoir inedito scritto da lei stessa per l’occasione, con colonna sonora di Dev Hynes e Ariel Pink, il film di cui Holmes è l’attrice protagonista racconta le giornate di un gruppo di eroinomani a New York e rivela ancora una volta l’interesse dei Safdie per un cinema fatto di casi umani irresistibili: disadattati, disperati, autodistruttivi, stupidissimi e ingenui ma anche eroici, bellissimi, innamorati e intensi, descritti con una cura immensa, celebrati attraverso l’arte. Perché di arte si tratta: Uncut Gems avviluppa lo spettatore nella sua strana atmosfera sprigionando un’energia arcana, dalla scena iniziale (il sangue che cola dalla ferita di un minatore etiope scende nella terra, percorre i cunicoli delle miniere e riemerge in un altro tunnel: il retto di Howard durante una colonscopia) ai titoli di coda con L’amour toujour di Gigi d’Agostino che risuona nello spazio, tra i pianeti e le stelle.

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