Attualità

Una giornata Eroica

Racconto (romanzesco e romanzato) della lunga esperienza in sella alla bicicletta (rigorosamente d'antan) a pedalare tra i colli senesi del Chianti, intervallati da punti ristoro dispensatori di ribollita e muri impossibili da scalare.

di Peppe Granato

Febbraio 2014. È una notte invernale e io continuo a girarmi nel letto. Non riesco a capire cosa sia. Forse fame. Scalzo, mi muovo verso il frigorifero di casa e lo tengo aperto per qualche minuto. Una fetta di prosciutto? Meglio di no, poi mi viene sete. Allora un bell’uovo? Sì, ma già so che senza formaggio e olio d’oliva non avrà lo stesso sapore. Ecco, capisco cosa stuzzica il mio palato: ho voglia di ribollita. Ma non una qualsiasi, voglio quella che mi preparava a Siena mia nonna Lucrezia. La ribollita della Lucrezia è sempre stato l’evento che sedeva a tavola l’intera famiglia: le 7 nuore, i 24 nipoti e 3 dei 13 fratelli rimasti in vita. Tutti insieme a scucchiaiare e ciarlare davanti al piatto fondo. Non è solo la ribollita: è la Toscana a mancarmi. Non quella delle cartoline e della Torre di Pisa, mi manca la Toscana del sugo di cinghiale, delle strade sterrate, dei riti contadini e della colazione nei campi. Cibo e vino, campagna e bicicletta: amo i binomi di quella terra. È deciso, a ottobre vado a trovare nonna Lucrezia e dato che ci sono accarezzo la vendemmia con l’Eroica.

«È un mondo dove ognuno fa l’eroico a modo suo: l’importante è dimostrare che ci si può sacrificare col sorriso per una passione sana» ha scritto Giancarlo Brocci, il padre dell’Eroica. Quando è nata, nel 1997 era una corsa per pochi appassionati del ciclismo d’epoca, per 92 «cacciatori di sentimenti e di emozioni». Oggi partecipano migliaia di ciclisti da tutto il mondo.

Quando è nata, nel 1997 era una corsa per pochi appassionati del ciclismo d’epoca, per 92«cacciatori di sentimenti e di emozioni». Oggi partecipano migliaia di ciclisti da tutto il mondo.

Controllo la mia bicicletta, perché non è che si va all’Eroica come si andrebbe con gli amici la domenica. L’Eroica è qualcosa di diverso di un evento cicloturistico. È una ciclostorica e le tradizioni vanno rispettate. Si può partecipare solo con bici eroiche. Non dovrei aver problemi visto che ho trovato la bici da Libero, un mio vecchio amico che ha sempre lavorato come tuttofare meccanico e negli anni Ottanta ha fatto pure il saldatore per un biciclettaio di Cesena. Ha messo da parte un ottimo telaio in acciaio marchiato Venturi e montato interamente Campagnolo Super Record, che era di uno dei tanti misconosciuti professionisti del pedale romagnolo. Il colore non è il massimo ma la misura è la mia e Libero non ha esitato a prestarmelo. Scorro veloce il regolamento per vedere se ci siamo. «Per bici eroiche si intendono biciclette con tutte le seguenti caratteristiche: da corsa su strada costruite prima del 1987», questa ha almeno 15 anni di più; «con telaio in acciaio, leve del cambio sul tubo obliquo del telaio, con pedali muniti di fermapiedi e cinghietti, fili esterni al manubrio e cerchi a basso profilo», Libero non ha torto un capello alla mia Venturi, tutte le caratteristiche ci sono. Posso andare. Anzi, manca ancora una cosa: anche i vestiti devono essere “eroici”. A me troppi ghirigori di anni prebellici non piacciono proprio, così mi sono procurato una bella divisa Dreher Forte con tanto di cappellino, perché il casco all’Eroica non è obbligatorio. Dunque, bici e ciclista sono sistemati.

Adesso devo capire come ci si iscrive all’Eroica. Sul sito c’è scritto che saranno ammessi circa 5.500 partecipanti. Poco meno della metà, 2.500, vengono sorteggiati fra tutte le preiscrizioni, altrettanti sono divisi fra donne e over 60. Gli ultimi 500 sono a disposizione dell’organizzazione.  Io non ho problemi, i 60 li ho passati da un pezzo, ma ho visto un sacco di gente impazzire per l’estrazione: pregare, accendere candele a feticci pagani, tatuarsi pignoni sotto ai gomiti. D’altronde l’Eroica è la festa di tutti e mica c’è un vincitore. Si corre per esserci e per ammirare il paesaggio, noi vecchietti abbiamo il ritmo giusto. Piuttosto c’è l’annoso problema dell’alloggio. Andremo a correre per le strade bianche del Chianti, luogo d’elezione per i turisti enogastronomici. Gaiole in Chianti in particolare è presa d’assalto nelle prime settimane di ottobre. Io non sono capace a prenotare in anticipo neanche l’esame dei trigliceridi, figuriamoci un posto letto per l’Eroica. Nessun problema, ho visto guerre di trincea e montato palafitte di carbonio, io. È bastata una telefonata al mio vecchio amico Mauro, ex presidente dell’Asd Chiantigiana che mette a disposizione il campo sportivo per i campeggiatori eroici. Ha detto che mi terrà un posto.

Alla fine, messe in ordine tutte le questioni organizzative, mi rilasso e aspetto che arrivi il giorno della corsa. Ah no, non ho finito. Devo decidere il percorso. Si può scegliere fra 38, 75, 135 o 209 chilometri. Se avessi 30 anni di meno farei l’eroico fino in fondo, ma ascolto le mie gambe che mi dicono di non andare oltre i 135. Adesso veramente mi rilasso con un bicchiere di vino in mano e le immagini delle strade bianche toscane in testa.

D’altronde l’Eroica è la festa di tutti e mica c’è un vincitore. Si corre per esserci e per ammirare il paesaggio, noi vecchietti abbiamo il ritmo giusto.

Il giorno della vigilia arriva e mi trova già pascolante nella mia valle da un paio di settimane. Carico la macchina e arrivo a Gaiole verso le quattro di pomeriggio. Incontro Mauro che mi ha tenuto il posto come promesso, e fra una chiacchiera e un bicchiere monto la tenda non troppo lontano dai bagni. Io all’Eroica preferisco andarci da solo, perché so che conoscerò un sacco di gente. Prendo la mia Venturi color prugna e vado in centro a ritirare il dorsale. In un paese infestato da maniaci di bici d’epoca si guardano quelle degli altri come sotto la doccia dopo il calcetto si scambiano furtive occhiate sotto la cintura. Se si viene pescati a sbirciare la bici del vicino si fa la faccia indifferente di chi “carina, ma la mia Colnago è meglio”. La foga dei partecipanti si vede anche al quartier generale dei pettorali. Tutti in fila a ritirare il sudatissimo numero. Mi sembra di essere alle Poste quando arriva la pensione.

La sera mangio un’ottima fiorentina con Silvio e Aimo, i primi due amici che ho incrociato, al Rifugio degli Eroici. Bevo due amari al baretto in cima al paese schivando karaoke e balli sudamericani più goffi che gioiosi, e torno in tenda. L’Eroica comincia quando il sole non c’è e al mattino si vivono le scene migliori: urla che iniziano alle 4 (ché c’è gente che fa 209 Km, mica come noi sciacqualattughe), gente che al bagno cerca di darsi un tono guardandosi allo specchio, chi trattiene il respiro guardando verso la tazza e chi maledice vino e bistecca tenendosi lo stomaco e sorseggiando del tè caldo.

È il momento di partire: sono le 7.15, ho fatto un po’ tardi e il fresco della mattina toscana si fa sentire. I primi incontri sul percorso non tardano ad arrivare: già prima della partenza incontro Rosa, ragazza biondo platino, gambe chilometriche in un’antica divisa blu Marsiglia della nazionale Francese. La sua è una Peugeot Champagne «che non ha percorso più di 45 Km quest’anno, e io con lei, ma punto a fare 135 Km in 8 ore» mi dice. Poi c’è Pier che affianco nella prima salita. Il suo è uno stile tecnico ma minimale, tutto fasciato nella divisa color argento completamente no-logo. Pier sa mulinare barba e gambe a velocità ventilatore facendo volare la sua Viner. Mi stacca quasi subito.

Scaldo la gamba sulla prima asperità ma le difficoltà arrivano al primo muro completamente sterrato: è il Castello di Brolio. Lo raggiungo ancora al buio grazie alle lucine sul confine e alla ruota di Francesco che con la sua cadenza mi detta il ritmo come l’arancia nello Spritz. Un muro dopo 10 Km? Per fortuna avevo fumato un paio di Muratti prima di partire.

La discesa successiva è davvero rognosa: se avessi avuto con me la fidata vanga avrei volentieri dato una mano a dargli una rizollata. Dopo qualche saliscendi c’è la meravigliosa strada di Montechiaro che costeggio insieme ad Andrea, malaugurato interlocutore degli oceanici resoconti delle mie esperienze da vendemmiatore esperto.
A Radi il primo ristoro dirada l’appetito come un machete nella foresta: finocchiona, salame, crostata, miele, formaggio, vino. Penso di essermici fermato almeno un’oretta.

Un sacco di polvere e gran premi della collina dopo, ecco la passerella di Buonconvento con un ricco ristoro non previsto. Sacchettate di cantucci sono pronti a rifocillare le membra quanto i sorrisi delle signore del forno. A quanti chilometri siamo? Una sessantina, mi sa. Sono le 11 e penso di aver mangiato troppo. La crisi di fame sulla salita prima del prossimo ristoro mi dice il contrario. Per fortuna mi viene in aiuto la crostata di Diego, romagnolo sempre in piedi sulla sua Bianchi.

La Ribollita e l’ovetto di Armstrong arrivano al ristoro di Asciano. Riescono a rimettermi completamente al mondo, tanto poi ci pensa il colle del Sante Marie a scagliarmi all’inferno: 10 km di sterrato, cinque muri impossibili, Qui i ciclisti più duri devono farsi spazio fra la gente che preferisce la passeggiatina in mezzo al sentiero al balzo sui pedali. «Non vi angustiate» – dicono i vecchini per la strada – «questo è il tratto principe dello Strade Bianche, qui anche i professionisti scendono». E così è successo anche a me. La scarpinata è davvero piacevole e me la godo insieme a Luigi che spinge la svizzera Gerber.

Per fortuna subito dopo c’è l’ultimo ristoro, quello di Castelnuovo Berardenga. Qui la Ribollita dovrebbe di nuovo riempire i piatti di coccio, ma arrivo troppo tardi e mi toccano i soliti affettati. La seconda salita di Madonna di Brolio è dolce e tardiva. Sono ancora freschissimo e non mi disturba portarmi dietro Lele e il suo 42/23. Il panorama mozza il fiato: le crete senesi, le vigne del Chianti, il sottobosco toscano e sopra ogni cosa il castello.

Manca solo la picchiata da Madonna di Brolio e il falsopiano verso il traguardo. Sono indiavolato, snocciolo gli altri partecipanti senza neanche dargli la possibilità di succhiarmi la ruota. Sono arrivato a Gaiole, le foto di rito e la fila verso il timbro in una Gaiole già in dismissione. Dopo la doccia, seduto davanti alla seconda fiorentina sciacquata dal Chianti della borsa premio mi sono ritrovato dello stesso umore del sabato sera alla tavola della Lucrezia.

 

Per l’immagine in evidenza si ringrazia Pierluigi Riccio

Nel testo, foto di Giuseppe Cacace / Afp