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Riprogettare l’Ucraina

Il 24 febbraio del 2022 cominciava la guerra: il conflitto continua ma nelle città liberate si pensa già alla ricostruzione, tra desiderio di modernità e voglia di superare l'eredità architettonica sovietica.

di Francesco Del Vecchio

Fino al 2014, Irpin era poco più di un villaggio di campagna alle porte di Kiev. Durante quell’anno, la Russia ha iniziato il processo di invasione dei territori orientali dell’Ucraina e ha sfollato centinaia di migliaia di civili dalle loro case, molti dei quali hanno deciso di spostarsi nei sobborghi della capitale. Ai veterani di ritorno dalle battaglie dell’est sono stati assegnati appezzamenti di terreno o appartamenti nei paraggi, come ricompensa per il loro servizio. Per accogliere i nuovi residenti, presto sono sorti nuovi complessi residenziali a più piani, con nomi come Green Life e Rich Town. Irpin ha adottato un nuovo motto, “Città per la vita”, guadagnandosi l’amore dei residenti, in particolare della classe media.

Un anno fa, dopo l’aggressione russa e l’offensiva verso Kiev, Irpin si è trasformata in un teatro di aggressioni e soprusi, come spesso sottolineato dai racconti di guerra. L’occupazione russa è durata relativamente poco, ma è stata ricca di sofferenza per la popolazione civile: i residenti hanno iniziato ad andarsene alla fine di febbraio, quando, insieme alle vicine città di Bucha e Hostomel, Irpin è diventata uno snodo fondamentale per circondare e catturare la capitale. Almeno fino al 28 marzo, quando dopo un mese e un giorno dopo l’invasione, la città è stata riconquistata. I russi si sono ritirati a nord verso la Bielorussia, lasciando una scia di devastazione. A Irpin, edifici scintillanti sono stati inceneriti; le dimore residenziali sono state ridotte in macerie; le scuole sono state bombardate, bruciate e devastate.

Oggi, a un anno dall’aggressione russa, è ora di pensare alla ricostruzione dell’intera città. L’invasione ha cancellato gran parte delle infrastrutture civili: gli attacchi hanno fatto saltare migliaia di abitazioni, causato il crollo dei tetti, sventrato sistemi di riscaldamento e distrutto il sistema di filtraggio dell’acqua. La Casa Centrale della Cultura, il mercato pubblico, gli ospedali e lo stadio sono stati bombardati. Tutti questi edifici dovranno in qualche modo essere restaurati. «Quando abbiamo iniziato a contare i danni, abbiamo scansionato tutto con i droni», hanno reso noto le autorità locali. «Il 70 per cento degli edifici è stato distrutto, i ponti sono spariti, tutti gli asili sono stati danneggiati». A Irpin, come in molte città e villaggi occupati dalla Russia nelle zone di guerra, la violenza bellica è stata accompagnata da una distruzione urbanistica. Si è arrivati a parlare di “urbicidio”: attaccare la città per il suo significato stesso di città, coinvolgendo il suo patrimonio, i centri culturali e i luoghi di aggregazione. Secondo l’amministrazione locale, 885 edifici sono stati distrutti e oltre 12 mila danneggiati. La città stima di aver bisogno di un miliardo di euro per la ricostruzione completa.

Poiché Irpin è stata una delle prime città ucraine a essere distrutte e liberate, è stata anche una delle prime a fare un bilancio completo delle perdite subite e a pianificare il futuro. La sua ricostruzione potrebbe un giorno servire da modello per i lavori di centri più grandi come Kharkiv, Kherson e Mariupol. Una sorta di laboratorio della ripartenza, considerando che di fronte a uno spazio urbano completamente distrutto, non è semplice comprendere come iniziare a ricostruire. Il Centre for Economic Policy Research, think tank con sede a Londra, nei suoi studi ha delineato un piano in tre fasi per l’Ucraina. Nelle città distrutte, il primo step prevede il ripristino della sicurezza (ad esempio, rimuovendo le mine antiuomo) e delle infrastrutture critiche, come le linee elettriche e i sistemi idrici. Segue la “rinascita dell’economia”, ovvero la rimozione delle macerie e il ripristino delle reti di trasporto, oltre che delle abitazioni e delle scuole che sono rimaste in piedi. La costruzione di nuove case, scuole e ospedali inizia nella terza fase, con un obiettivo chiave: ricostruire meglio di prima.

«Sebbene ci sia una tendenza naturale a ricostruire le città nella loro forma originale, non si dovrebbe cercare di ripristinare le abitazioni e le altre infrastrutture in stile sovietico», si legge nel piano. Al contrario, «la ricostruzione dovrebbe concentrarsi sull’utilizzo di tecnologie moderne e sulla pianificazione urbana». Le città distrutte hanno l’opportunità di rinascere più verdi, belle ed efficienti. Se il potenziale di cambiamento è proporzionato al livello di distruzione, alcune città dell’Ucraina potrebbero essere quasi completamente trasformate. Grazie alle abbondanti risorse naturali, il paese può creare un ecosistema più verde per i cittadini: in particolare, può fornire energia solare, eolica e idroelettrica, nonché acciaio, oltre a prodotti agricoli per rafforzare la sicurezza alimentare. Fondi speciali, partnership pubblico-privato, città e parchi industriali devono essere progettati per incanalare i fondi nella giusta direzione. Un esempio potrebbero essere proprio i parchi industriali green. Se collocate nei luoghi giusti, ad esempio intorno a Kiev, queste strutture hanno il potenziale per crescere e rappresentare un incentivo per il ritorno dei rifugiati, sfruttando le loro competenze professionali.

Per ora, però, a Irpin e nelle altre città il piano di ricostruzione procede in modo frammentario. Nel sobborgo alle porte di Kiev i volontari hanno identificato i siti più bisognosi di riparazioni, tra cui la Casa della Cultura, la biblioteca pubblica, il museo locale e il vecchio mercato, oltre a diverse case private e grandi condomini. A ogni progetto è stato assegnato un prezzo preliminare; un opuscolo in lingua inglese illustra i danni subiti. Iryna Yarmolenko, residente a Irpin e membro del Consiglio comunale di Bucha, ha indetto un bando aperto ad architetti, designer e urbanisti ucraini affinché sviluppassero proposte per la ricostruzione della città. A luglio, Yarmolenko ha esteso l’invito agli architetti stranieri. Alcuni progetti hanno ridisegnato i punti di riferimento architettonici di Irpin con complessi scintillanti, immaginando vetrate a impreziosire le facciate. «Circa centoventi architetti provenienti da tutta l’Ucraina sono arrivati a Irpin per elaborare una strategia per il restauro e lo sviluppo della città», ha dichiarato Oleksiy Kuleba, capo dello staff umanitario dell’amministrazione regionale di Kiev, in un messaggio su Telegram, ringraziando coloro che hanno accettato l’invito.

Ad aprile, il presidente Zelensky ha annunciato che il ponte di Irpin sarebbe diventato un complesso commemorativo, conservato per «ricordare a tutte le generazioni del nostro popolo l’invasione brutale e insensata che l’Ucraina è riuscita a respingere». Le forze di difesa ucraine, infatti, avevano fatto saltare il ponte nella prima settimana dell’invasione, nel tentativo di tagliare uno dei principali punti di ingresso a Kiev e impedire all’esercito russo di avanzare. Diversi studi di architettura hanno presentato proposte per la sua ricostruzione, tra cui il Balbek Bureau, lo studio di Slava Balbek, che ha adottato un approccio minimalista, progettato per esporre e preservare la zona esistente senza alterare significativamente lo spazio. La proposta prevede che tutti gli oggetti presenti vengano scannerizzati in 3D, archiviati, conservati e riposizionati esattamente come erano stati lasciati, una tecnica che Balbek ha descritto come “architettura invisibile”.

Le autorità locali stanno supervisionando anche la conversione del mercato in uno spazio pubblico chiamato Piazza della Libertà. Il vecchio mercato è uno spazio di aggregazione pubblica presente da secoli; come molti altri siti della città, rappresenta un’opportunità per Irpin di liberarsi dell’architettura sovietica. Tre diversi studi hanno presentato progetti per il nuovo spazio, cercando una rappresentazione di ciò che significa “libertà” per Irpin. Due progetti hanno disegnato la piazza con un monumento al centro, mentre lo studio Project Seven di Kiev ha immaginato un piccolo pergolato di pini. Anche l’architetto giapponese Hiroki Matsuura, residente a Rotterdam, ha iniziato a studiare un piano generale per Irpin, anche se non è chiaro se verrà accettato.

Per il momento, i lavori sono rallentati a causa della carenza di materiali, la cui produzione è in gran parte basata nelle regioni orientali dell’Ucraina. I prodotti per l’isolamento termico provengono da Zhitomyr e il cartongesso da Donetsk, regioni parzialmente occupate e sotto la costante minaccia di azioni militari. In precedenza i progetti edilizi si rifornivano di acciaio dalla fabbrica Azovstal di Mariupol, dove a maggio sono stati fatti prigionieri gli ultimi difensori ucraini della città. Ora l’acciaio deve arrivare dalla Polonia e dalla Turchia, trasportato via terra e via mare a costi molto più elevati. Ro3kvit, una nuova coalizione di architetti, urbanisti e artisti formatasi dopo l’invasione, è particolarmente attenta alle sfide della ricostruzione in condizioni di guerra. Fondato da Oleg Drozdov della Scuola di Architettura di Kharkiv e dal suo collega olandese Fulco Treffers, il gruppo è composto da esperti ucraini e stranieri. Ora è in contatto con i governi di varie città e regioni, tra cui Bucha, Zaporizhzhia e Mariupol, per fornire consulenza sui lavori: ha iniziato anche a costruire unità abitative temporanee per gli sfollati. Lo studio sta lavorando sulla “costruzione circolare”, ovvero sul riutilizzo dei detriti di guerra.

Un dossier importante, ad esempio, riguarda l’edificio dell’Amministrazione Regionale di Kharkiv, gravemente danneggiato da un attacco missilistico nel marzo scorso. La struttura degli anni Venti, ricostruita dopo la Seconda guerra mondiale nello stile stalinista, presenta un grande spessore storico. Per questo motivo il suo futuro è oggetto di un dibattito controverso. La demolizione è un’opzione, così come la ricostruzione della versione novecentesca. Su questi aspetti è intervenuto anche l’architetto britannico Norman Foster, che ha suscitato scalpore quando ad aprile si è offerto di seguire la ricostruzione di Kharkiv pro bono. Foster ha lavorato a progetti di rilievo globale, come il futuristico Millennium Bridge sul Tamigi e l’Apple Park di Cupertino; ora è in contatto regolare con il sindaco di Kharkiv Ihor Terekhov. L’archistar vorrebbe conservare solo la facciata storica dell’Amministrazione Regionale e ricostruire interamente l’interno. Ha adottato un approccio simile per il Reichstag di Berlino, l’edificio che ospita il Bundestag tedesco. Kharkiv, nota per la sua architettura Art Nouveau, è stata riconquistata nell’autunno scorso. Durante il conflitto, sono stati colpiti edifici storici in stile liberty, un nuovissimo centro commerciale, una piscina, una centrale elettrica e il complesso sportivo universitario. Nella ricostruzione c’è l’opportunità di sviluppare un nuovo concetto di risparmio energetico – molti edifici erano a malapena isolati prima della guerra.

In città sono stati individuati cinque progetti pilota per la ricostruzione, tra cui uno sul patrimonio culturale per creare un nuovo punto di riferimento architettonico nel centro della città. Un progetto di carattere fluviale, invece, punta a trasformare una striscia verde tra i fiumi Kharkiv e Nemyshlya, favorendo l’afflusso di pedoni e ciclisti. Il “Progetto Industria” trasformerà una centrale elettrica a carbone in un centro per l’energia pulita, mentre quello relativo alle abitazioni mira a modernizzare gli edifici esistenti per renderli più sicuri ed efficienti dal punto di vista energetico. Infine, un progetto pilota scientifico sarà concepito per attrarre aziende tecnologiche, società di ricerca e startup. L’architettura è fatta anche di simboli e oltre alle riflessioni più tecniche ci sono anche le questioni politiche e ideologiche. Le possibili strade verso la ricostruzione sono molte: una di queste passa anche da Mariupol. I report indicano che il 90 per cento degli edifici della città è stato danneggiato o distrutto, con conseguente sfollamento e perdita del patrimonio culturale e architettonico. Lo studio di architettura NOVA, con sede a Kiev, ha immaginato il nuovo municipio cittadino come una proposta di cambiamento. Il progetto cerca di ragionare sulla democrazia attraverso l’architettura urbana, sostituendo le linee tradizionali con un edificio governativo aperto e accessibile.

Progettato inizialmente per un concorso nel 2019, il municipio di NOVA sta ora definendo un nuovo tipo di città. Il piano aggiornato non solo risponde all’urgenza della ricostruzione, ma propone anche nuove idee su come reinterpretare la democrazia. Accettare che la ricostruzione sia un esercizio democratico, infatti, è ciò che permette di una rifondare città su basi sostenibili, coinvolgendo la comunità locale. L’edificio concretizza questa riflessione con due volumi spaziali, collegati da un grande atrio aperto al pubblico, per mettere al primo posto l’accesso dei cittadini. Secondo NOVA, gli spazi aperti accolgono e servono la cittadinanza, contrariamente alle piante labirintiche e poco illuminate di molti edifici governativi. La guerra in Ucraina ha dato a una nuova generazione la consapevolezza del ruolo dell’architettura nel garantire libertà e uguaglianza sociale. Il futuro del Paese, un anno dopo l’attacco russo, riparte dalle sue città.