Attualità | Behind The Screen

Twitter, il social più piccolo che conta ancora

Sembrava aver perso la guerra con le altre piattaforme, ma gli eventi delle ultime settimane ci ricordano quanto sia influente.

di Pietro Minto

Foto di STF/AFP via Getty Images. Artwork di Tommaso Garner

Nel 2020, mentre l’ascesa di TikTok scatena scontri geopolitici, Zuckerberg è stretto tra le proteste degli investitori e il suo rapporto sospetto con Donald Trump, mentre lo scontro tra titani tecnologici per la nostra attenzione continua si fa sempre più agguerrito, è facile dimenticarsi di Twitter. Con 330 milioni di utenti attivi (dati relativi al 2019), ogni confronto con la concorrenza è piuttosto doloroso: Douyin, la versione cinese di Tiktok, raggiunge i 400 milioni di utenti solo in Cina, per dire. Eppure, Twitter resiste, anche grazie al suo rapporto privilegiato con il potere.

Qualche giorno fa avevamo parlato delle celebrity che sono rimaste vittime dei loro stessi tweet, da J.K. Rowling a Elon Musk, ma le loro storie non devono farci dimenticare di tutti coloro che devono il proprio successo all’uso costante del mezzo: un nome tra tutti, Donald J. Trump. Un paio d’anni fa il Daily Beast ha raccontato la triste storia di Justin McConney, ex social media manager di Trump che, prima della discesa in campo dell’imprenditore, rabbrividì quando scoprì che il suo cliente aveva imparato a twittare da solo. Un momento minuscolo ma di portata storica: nulla sarebbe stato più lo stesso. Anche perché se McConney gli avesse insegnato a usare Instagram, per esempio, le cose non sarebbero andate così: il formato del tweet permette uno scambio diretto e facile, seppur caotico, tra l’utente e i suoi follower. È la bolla perfetta.

Il peso del social network si è fatto sentire la scorsa settimana per ben due volte, la prima quando un attacco informatico – forse avvenuto proprio grazie al “tradimento” di un dipendente di Twitter – ha preso il controllo di molti account “ufficiali”, da quello di Barack Obama a quello di Joe Biden, pubblicando messaggi truffaldini sui Bitcoin e, probabilmente, arrivando a leggere i messaggi privati. Twitter è importante.  La seconda quando Bari Weiss, giornalista del New York Times, dichiarava nella sua lettera di dimissioni che il vero direttore del prestigioso quotidiano era diventato Twitter. È la perfetta espressione del potere nel XXI secolo; accentrato, caotico e spesso mal gestito. Quello che vi succede riguarda poche persone direttamente ma ha conseguenze globali sempre più pesanti, come ha dimostrato il peso che avuto nelle battaglie sociali più importanti della storia recente (il movimento #MeToo in primis) ma anche nelle cacce all’uomo degli ultimi anni (come il fenomeno sessista del Gamergate, che nel 2014 fu l’embrione della alt-right che si sarebbe coagulata attorno a Trump).

Si fa presto a dimenticarsi di Twitter mentre Facebook e YouTube controllano spazi sempre più ampi di conversazione. La tendenza a farsi bolla è da sempre uno dei principali punti deboli della piattaforma, una caratteristica che spinge i suoi stessi utenti a minimizzarlo, al grido di “Twitter non è la vita reale”. Ma pensiamo davvero sia così? Recentemente il commentatore Charlie Warzel ha spiegato sul New York Times quando questa credenza sia un mito: «Chiedete a un giornalista che è stato licenziato per un vecchio tweet riportato alla luce o a una donna o persona nera che sia stata vittima di doxing o swatting [rispettivamente: la pratica con cui si pubblicano online le informazioni personali e sensibili su un utente; spingere i servizi di emergenza e la polizia, attraverso chiamate e denunce finte, a intervenire in un luogo, anche sfondando la porta di casa della vittima, nda] con cui si spinge la polizia a  o molestie varie fino a dover andarsene di casa, se Twitter è la vita reale. Diranno di sì».

Anche per questo l’attuale Ceo dell’azienda, Jack Dorsey, è tra due fuochi: da una parte una parte della sinistra lo critica per non aver messo al bando utenti apertamente razzisti e nazisti prima, dall’altra Trump e la destra americana lo accusa da tempo di parzialità e di praticare lo shadowbanning, ovvero l’oscuramento di alcune personalità care ai Repubblicani. Quando lo scorso marzo il fondo Elliott Management, noto per essere un grande finanziatore proprio del Partito repubblicano, ha acquistato il 4 per cento delle quote aziendali ed espresso dubbi sul lavoro svolto da Dorsey, si è visto quanto la politica abbia interesse nel social network. Twitter è un attore piccolo, problematico e difficile da spiegare ai neofiti. Ma è anche la rappresentazione più fedele della conversazione che si tiene ogni giorno, ogni picosecondo, online, tra minacce di morte, trollate, meme che nascono e bruciano, attacchi hacker e politici che scrivono messaggi che un tempo avrebbero distrutto la carriera di un assessore di provincia. Succede ogni giorno, anche quando chi non lo usa, ovvero la maggioranza delle persone, non sta a guardare. Il potere disfunzionale è pur sempre potere.