Attualità

Il ritorno di Twin Peaks, mmm…

In un'epoca in cui la TV è qualità, riuscirà il nostro eroe David Lynch a ricominciare la sua serie anni Novanta senza farsi trascinare dal tempo che è passato (sì, anche per lui)?

di Federico Bernocchi

La notizia è questa: David Lynch e Mark Frost hanno annunciato che Twin Peaks avrà un seguito. Nel 2016, il canale statunitense Showtime manderà in onda nove episodi che, a quanto ci è dato sapere oggi, saranno ambientati nel presente e saranno una continuazione di quanto abbiamo visto nella seconda serie. Non sarà dunque un remake, come era legittimo temere, ma un vero e proprio sequel in cui, a detta dello stesso Frost, «i 25 anni passati saranno un elemento molto importante». La cosa più esaltante di questa notizia è che a quanto pare sarà proprio David Lynch a dirigere tutte le nove puntate. Ne gioiamo perché, se escludiamo cortometraggi o documentari sui Duran Duran, Lynch non si mette dietro la macchina da presa dai tempi di INLAND EMPIRE – L’Impero della Mente, film chiave nella lunga carriera del regista che lo avvicinò al digitale e che portò alle estreme conseguenze il percorso di frammentazione, disgregazione della linearità e comprensibilità delle sue storie iniziato con Strade Perdute e proseguito poi con Mulholland Drive. Ed è sconvolgente anche perché su trenta episodi in tutto di Twin Peaks, Lynch all’epoca ne diresse solo sei. Questa volta invece, a meno che da qui al 2016 le cose cambino, si occuperà di tutto lui: scrittura e regia. E mentre tutto il mondo esulta sui vari social network, io sinceramente comincio un po’ a preoccuparmi.

Nel 1990, cioè dall’inizio di Twin Peaks, David Lynch veniva da esperienze come Cuore Selvaggio e Velluto Blu, forse due dei momenti più alti della sua poetica. Al tempo stesso questi due titoli rappresentano la sua accettazione ufficiale nel gotha di Hollywood, la sua patente da Regista Autore. Prima c’era stato il pasticcio di Dune, il “normalizzato” The Elephant Man e lo sconvolgente Eraserhead – La Mente che Cancella. Lynch era partito vent’anni prima come un pazzo visionario difficile da digerire anche per gli amici del cineclub e alla fine degli ’80 si ritrova ad essere un pazzo visionario candidato agli Oscar. Lynch, da grande autore qual è, era riuscito finalmente a farsi accettare da un’industria che in quegli anni non era di certo di ampie vedute. Alla 59esima edizione della cerimonia di premiazione degli Oscar, al fianco di Lynch candidato come miglior regista per Velluto Blu c’erano Woody Allen per Hannah e Le Sue Sorelle, James Ivory per Camera con Vista, Roland Joffé per Mission, Randa Haines per Figli di un Dio Minore e il vincitore Oliver Stone per Platoon. Tutti bei film, non si discute, ma ben più canonici rispetto alla follia e alla libertà con cui Lynch rivoltava le regole del noir a suo piacimento. Lynch era in stato di grazia e poteva fare tutto quello che voleva. Ed è esattamente quello che fa. Si mette a fare televisione.

Nel 1990 qui era tutta campagna e il fatto che un regista affermato decidesse di abbandonare il grande schermo in favore del tubo catodico non era socialmente accettato come oggi. C’era da una parte il Cinema con la C maiuscola, la qualità e poi dall’altra la televisione. Ricordo che mia nonna guardava una scarica di quattro o cinque telenovele differenti su Rete 4 (che per lei poi diventavano una sola, in cui Grecia Colmenraes penetrava il mondo di Sentieri), mia madre era un passo oltre con prodotti come Falcon Crest e Dallas, mentre facevo merenda guardando cose come l’A-Team o Ralph Super Maxi Eroe.

Mi è sempre piaciuto vedere Twin Peaks come uno scherzo di Lynch tirato per le lunghe. Come intuì e fece anni dopo Lars Von Trier con The Kingdom. Vi piace la televisione? Ve la faccio io ma ci metto anche una signora che parla con un pezzo di legno

In un sistema di intrattenimento del genere, David Lynch si mette in testa di fare televisione. In uno slancio pop senza precedenti, forse il regista mainstream più ostico in attività, decide di lavorare nell’ambiente più immobile e conservatore. E lo fa stando, più o meno, alle regole del gioco. Twin Peaks diventa un fenomeno di costume gigantesco perché riesce ad appassionare in primis proprio chi non ha mai visto un film di Lynch in vita sua. Ok, ci sono nani che ballano e che parlano al contrario, giganti illuminati da luce divina, detective che invece di seguire gli indizi preferiscono lanciare dei sassi contro delle bottiglie vuote, ma questo non ferma il pubblico. Perché in fondo si parla di un giallo ambientato in un piccolo paesino di provincia dove succedono tutte le cose che succedono nei piccoli paesi di provincia. Si mangiano le ciambelle al bar, ci sono le storie d’amore, i tradimenti, i colpi di scena e tutto quell’armamentario canonico televisivo che fa finire Twin Peaks su Tv Sorrisi e Canzoni prima ancora che sui Cahiers du Cinéma.

Mi è sempre piaciuto vedere Twin Peaks come uno scherzo di Lynch tirato per le lunghe. Come intuì e fece anni dopo Lars Von Trier con il suo The Kingdom. Vi piace la televisione? Ve la faccio io, ma dentro ci metto anche una signora che parla con un pezzo di legno. E la mia preoccupazione è che un’operazione del genere fosse possibile solo nel 1990. All’epoca si alzò di molto l’asticella, ma oggi la situazione è completamente differente. Nel 2014 per noi le serie televisive sono La Qualità. Abbiamo visto Spielberg, Scorsese, Mann, Fincher, Cuaron e molti altri alle prese con la televisione. Non esiste più quella distinzione qualitativa che esisteva prima, anzi. Anche tematicamente e a livello di sceneggiatura le cose si sono “evolute”. Siamo abituati alle supercazzole di Lost, ci siamo pure ricaduti con Leftovers e nel frattempo abbiamo visto cose bizzarre come American Horror Story o Lost Room (qualcuno se lo ricorda?). Potrà mai stupirci vedere il fantasma di una ragazza morta in una stanza con le tende rosse? Direi proprio di no.

Allo stesso tempo anche Lynch è cambiato. Sono passati 25 anni non solo dalla fine di Twin Peaks, ma anche dal suo sdoganamento come regista. E Lynch, dopo aver giocato con noi in televisione, s’è divertito a sperimentare ancora ed è arrivato in posti che forse solo lui poteva immaginare. Abbiamo visto i suoi corti più strani, i suoi folli esperimenti con il cinema d’animazione, le sue fotografie, i suoi quadri, i suoi dischi di esperimenti pop. Non ha mai smesso di stupirci, non ha mai smesso di inventare. Anche per questo mi spaventa sapere che tornerà a dirigere Twin Peaks. Perché se non sarà come ce lo ricordiamo, non sarà la stessa cosa. Ma se invece sarà come l’abbiamo lasciato, vorrà dire che sarà un piccolo stop per un artista che ha fatto della capacità di lasciarci sempre a bocca aperta la sua fortuna. Nel frattempo Showtime ha colto la palla al balzo e, in attesa che parta la nuova stagione, ritrasmetterà quelle vecchie, che nel frattempo sono state rimasterizzate.