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18:06 martedì 1 luglio 2025
L’Unione Europea ha stabilito che sapere quanto guadagnano i propri colleghi è un diritto Lo ha fatto con una direttiva che l’Italia deve recepire entro il 2026. L'obiettivo è una maggiore trasparenza e, soprattutto, contribuire alla diminuzione del gap salariale tra uomini e donne.
Grazie all’accordo tra Netflix e la Nasa ora si potrà fare binge watching anche dell’esplorazione spaziale Il servizio di streaming trasmetterà in diretta tutta la stagione dei lanci spaziali, comprese le passeggiate nello spazio degli astronauti.
Gli asini non sono affatto stupidi e se hanno questa reputazione è per colpa del classismo Diverse ricerche hanno ormai stabilito che sono intelligenti quanto i cavalli, la loro cattiva fama ha a che vedere con l'associazione alle classi sociali più umili.
In Turchia ci sono proteste e arresti per una vignetta su Maometto pubblicata da un giornale satirico Almeno, secondo le autorità e i manifestanti la vignetta ritrarrebbe il profeta, ma il direttore del giornale ha spiegato che non è affatto così.
Una delle band più popolari su Spotify nell’ultimo mese è un gruppo psych rock generato dall’AI Trecentomila ascoltatori mensili per i Velvet Sundown, che fanno canzoni abbastanza brutte e soprattutto non esistono davvero.
A Bologna hanno istituito dei “rifugi climatici” per aiutare le persone ad affrontare il caldo E a Napoli un ospedale ha organizzato percorsi dedicati ai ricoveri per colpi di calore. La crisi climatica è una problema amministrativo e sanitario, ormai.
Tra i contenuti speciali del vinile di Virgin c’è anche una foto del pube di Lorde Almeno, secondo le più accreditate teorie elaborate sui social sarebbe il suo e la fotografia l'avrebbe scattata Talia Chetrit.
Con dei cori pro Palestina e contro l’IDF, i Bob Vylan hanno scatenato una delle peggiori shitstorm della storia di Glastonbury Accusati di hate speech da Starmer, licenziati dalla loro agenzia, cancellati da Bbc: tre giorni piuttosto intensi, per il duo.

Tunisia, welcome back politica

Alla vigilia del voto, passata la sbornia da candidature indipendenti, i tunisini iniziano a fare sul serio

21 Ottobre 2011

Tunisi – Fioccano le barzellette sui candidati indipendenti alle elezioni tunisine. La più diffusa comincia così: “Ci sono un giurista, un intellettuale e un islamista. Uno ordina un caffé, il secondo del tè, l’altro un tovagliolino di carta. Il giurista chiede all’intellettuale perché abbia ordinato tè verde alla menta. Lui: perché aiuta a pensare. Poi chiede all’islamista cosa ci debba fare con un tovagliolo. E lui spiega che, al tavolo accanto, c’è una donna che prima o poi dovrà coprirsi, solo che non lo sa ancora. Così va da lei e le raccoglie i capelli nel tovagliolo. Lei chiede: ‘Scusi, ma lei è un islamista!?’. Risposta: ‘No, affatto, sono un candidato indipendente alle elezioni di domenica’. Poi arriva il barista, che ha ascoltato la risposta. Si avvicina all’intellettuale e al giurista. ‘Scusate, ma perché siete allo stesso tavolo con un uomo del genere..?’. ‘Non lo vede?’, dice l’intellettuale’, siamo tutti candidati indipendenti alla Costituente!’, mostrando con fierezza la spilla della lista elettorale, che non ha simboli di partito incisi sopra. Il cameriere si gira verso il bancone e grida al collega: ‘Il signore non prende del té… per pensare avrebbe bisogno di un cervello nuovo: sono arrivati nel Paese??’”. Ecco, per capire com’è cambiato il clima pre elettorale, basta riportare una semplice barzelletta ascoltata in un bar di Avenue Mohamed V.

Rispetto alla sbornia d’entusiamo che aveva reso i tunisini incapaci di filtrare la realtà dei fatti, quella di un Paese che stava superando l’era post Ben Ali con l’effluvio di liste indipendenti, senza un programma di sviluppo, economico o sociale, col rischio di consegnare le chiavi del nascituro sistema democratico agli islamisti senza contromisure, serviva una barzelletta. Nello smarrimento generale di questi mesi, si era candidato un tunisino su mille ai 217 posti nell’assemblea costituente. Ma quando il ministero dell’Interno ha pubblicato la cifra dei candidati, gli stessi partiti hanno capito che c’era qualcosa di profondamente sbagliato. Undicimilaseicentottantasei nomi – più di cinquemila cosiddetti “indipendenti” – per così pochi seggi. Una moltiplicazione di sigle e liste che insieme stavano facendo assomigliare questa elezione ad un farsa.
Mentre tutti si accorgevano che almeno dieci partiti progressisti stavano sviluppando una piattaforma politica pressoché identica, frammentando solo le preferenze, gli islamisti di Ennahadha si fregavano le mani per quella che sembrava già una vittoria annunciata. La commissione istituita dal governo ha infatti indicato un sistema proporzionale “spagnolo”. In cui saranno avvantaggiati i partiti o le liste di coalizione più forti.
La campagna a tappeto di Rachid Ghannochi, leader di Ennahadha, finora non ha avuto rivali. E, mentre lo smarrimento dovuto a così tante liste aumentava, col passare dei giorni aumentavano le incertezze di ottenere consensi utili ad eleggere deputati per tutti gli altri cartelli. Sui blog, su facebook e perfino nei bar dove oggi non c’è più paura di parlare chiaro, di dire la verità dopo la caduta di Ben Ali, lo spirito critico è però tornato protagonista. Come uno di quei cocktail che servono per riprendersi da una brutta ubriacatura, i politici laici lo hanno servito freddo. All’opinione pubblica e ai giornali. Non questa estate, non a settembre. Soltanto pochi giorni fa. Hanno cominciato a fare politica a una settimana dal voto.

I giovani, gli elettori non ideologizzati dal messaggio islamista, hanno preso a farsi domande a loro volta. Come evitare percentuali inutili e come arginare un possibile plebiscito islamico. Nel giro di una settimana è nata un’alleanza progressista che unisce democratici, socialisti e alcuni candidati indipendenti della prima ora. Un fronte democratico composito, che piace a tanti, e che ha un obiettivo dichiarato: non regalare il Paese a chi vorrebbe basare la prima democrazia dell’era post Ben Ali sui principi dell’islam (compreso lo spirito di tolleranza che il leader di Ennahadha, Rachid Gannouchi, ha più volte evocato in questi giorni, salvo spiegare, prima, l’importanza di tutelare i costumi islamici della Tunisia e poi semmai cedere a qualche concessione). Il Partito democratico progressista sarà dunque alleato del Polo democratico modernista, di Afek Tounes, del Partito del Lavoro tunisino. Certamente dopo il 23 ottobre. Quando ci sarà da scrivere la nuova Costituzione e formare un governo. L’offerta di un fronte comune è stata rifiutata solo da uno dei grandi partiti che si oppongono a Ennahadha, un cartello chiamato Ettakatol che certamente riuscirà ad eleggere alcuni deputati. Ettakatol esiste su tutto il territorio nazionale e non è soltanto un manifesto elettorale come i tantissimi appesi per le strade principali di Tunisi. Come i candidati sconosciuti delle 678 liste elettorali indipendenti (altre 845 fanno riferimento a partiti cosiddetti regolari, altre 77 sono frutto di piccolissime coalizioni) che non si sono mai presentati in pubblico. “La democrazia non può funzionare con gli indipendenti, ha bisogno di stabilità”, dice a la Presse de Tunis il politologo Hamadi Rédissi. Di partiti, alleanze.

Rispetto a una settimana fa, nei bar di Tunisi non si parla più dei candidati fantasma. I giuristi, gli intellettuali e gli islamisti più duri, mascherati dietro liste senza partito, sono diventati protagonisti di barzellette e prese in giro. Si parla di politica, di confronto programmatico. Parole che la dittatura di Ben Ali sembrava aver cancellato e che, invece, stanno tornando prepotentemente sulla bocca di migliaia di tunisini. E nelle loro teste.

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