Attualità

Tomas Bella

Incontro con l'inventore di Piano Media, la start-up editoriale che è riuscita a convincere l'Est Europa a pagare per leggere le notizie su internet. E i giornali ci guadagnano.

di Matteo Tacconi

Inizialmente c’era la tentazione di andare a Bratislava e incontrarlo nel suo ufficio, in carne e ossa. Poi è spuntata l’alternativa, molto più immediata: fare l’intervista via Skype. Non è lo stesso, si dirà. Certo che no. Però in questo caso ha forse più senso così che dal vivo. Dopotutto Tomas Bella, classe ’79, slovacco, è uno che ha costruito il suo successo imprenditoriale sulla rete. Il web è la sua faccia.

Bella è fondatore e amministratore delegato di Piano Media, una delle storie d’innovazione più interessanti degli ultimi tempi. L’azienda bratislavese promuove in patria, in Slovenia e in Polonia una piattaforma telematica dove, con cifre modeste, gli utenti registrati hanno accesso ai contenuti offerti da un’ampia gamma di giornali e periodici, altrimenti consultabili solo abbonandosi alle singole testate o procurandosene i formati cartacei.

Se con cinque o sei euro al mese poteste leggere il meglio di Corriere, Stampa, Repubblica, Sole, Espresso, Panorama, che fareste?

Giusto per capire meglio come funziona Piano Media, immaginiamo un possibile scenario italiano. Calatevi nei panni di consumatori di notizie, più o meno avidi. Sempre che non lo siate già. Se pagando cinque, sei euro al mese poteste leggere tutti i giorni alcuni dei migliori articoli di Repubblica, Corriere della Sera, Sole 24 Ore, Stampa, Espresso, Panorama, Internazionale, Gazzetta dello Sport e altri giornali, che fareste? Probabilmente affrontereste questo piccolo investimento. Giusto? D’altronde vi farebbe risparmiare, rispetto allo shopping in edicola. Fermo restando che se siete affezionati a una di queste letture e vi piace sfogliarla da cima a fondo, godendovi il fruscio delle pagine e l’odore dell’inchiostro, ve la comprereste comunque.

Le cose, in sostanza, vanno così. Tomas Bella – a lui finalmente la parola – semplifica ulteriormente. «Non siamo che un’infrastruttura che permette ai lettori di acquistare, agevolmente e a costi limitati, quello che vogliono leggere». Gli editori, dal canto loro, possono ottenere forme di guadagno diverse e ulteriori rispetto ai canali tradizionali dell’online, vale a dire abbonamenti e pubblicità originata dal traffico. I dividendi sono così ripartiti. Il 30 per cento della spesa affrontata da ogni singolo utente va a Piano Media, il 40 alla testata tramite la quale si sottoscrive il contratto e il restante 30 viene suddiviso tra tutte le testate presenti sulla piattaforma, in base ai tempi di navigazione e alla quantità di materiale consultato.

La genesi di quest’avventura, primo esempio di paywall nazionale nella storia del giornalismo, risale al 2010. «Due anni fa – racconta l’imprenditore slovacco – ero vice direttore del sito di SME (uno dei più importanti quotidiani slovacchi). Si provò a introdurre il servizio a pagamento e andò malissimo. Le visite al portale calarono bruscamente e gli introiti non furono soddisfacenti. Il caso vuole che proprio allora, indipendentemente da questo fiasco, stessi lasciando il giornale per creare Piano Media. Era infatti da tempo che lavoravo alla prospettiva di mettere sul mercato contenuti giornalistici a pagamento, seguendo strade diverse dalle solite».

Tra un’idea e l’altra, Bella arriva al sospirato eureka quando, con Marcel Vass, amministratore delegato di Etarget, gruppo operante nel pay per click, capisce che la soluzione del problema è più elementare di quanto non possa sembrare: importare sul web il modello già rodato della tv via cavo. «Filosofia semplice e vincente. Si accetta volentieri di pagare perché facendolo si ottiene non uno, ma una serie di prodotti, eterogenei tra loro».

Piano Media viene fondata a metà 2010. Tre i soci della prima ora: Tomas Bella con la sua azienda di consulenza NextBig, la Etarget di Marcel Vass e Monogram, compagnia slovacca attiva nell’information technology che assicura il primo investimento. I primi mesi sono segnati dai negoziati con gli editori slovacchi. Chiusi gli accordi, si lancia il paywall nel maggio 2011. L’inizio è incoraggiante. «Nel primo mese di attività abbiamo avuto 40mila euro di utili. In Slovacchia, giusto per fare un esempio, ci si possono pagare 25 salari giornalistici».

«Quando siamo partiti in molti nutrivano dubbi, dettati a mio avviso dalla tendenza a credere che la vera innovazione abbia sempre il bollino occidentale».

La curva degli affari, da allora, è salita. I soci, da tre, sono diventati quattro con l’ingresso di 3TS, gruppo di venture capital che lavora sui mercati dell’Europa centro-orientale e che ha messo due milioni di euro nel progetto. Piano Media s’è espansa anche in termini di personale (siamo a quota 25 dipendenti), come sul fronte geografico, con gli sbarchi in Slovenia e Polonia. Che finalmente hanno portato a guardare a questo modello con serio interesse e non più con la sola curiosità, mista a scetticismo. «Quando siamo partiti in molti nutrivano dubbi, dettati a mio avviso dalla tendenza a credere che la vera innovazione abbia sempre il bollino occidentale. Le perplessità, anche quando s’è visto che la nostra iniziativa carburava bene, non sono venute meno. Possono andare bene in Slovacchia, perché è il loro paese e hanno i contatti giusti, s’è sentito dire. Invece ci siamo allargati alla Slovenia. Ciò nonostante sono emerse nuove riserve. Piano Media, così s’è sostenuto, può esistere solo in contesti piccoli. Abbiamo smentito anche questa tesi, con l’ingresso nel mercato polacco, il più grande dell’Est. Nel 2013, inoltre, dovremmo inaugurare il primo paywall in un paese occidentale». Quale? Bella non si sbilancia. Castra ogni ambizione di conoscere in anticipo le sue prossime mosse, dicendo tutto senza dire niente. Riferisce che ha intavolato discussioni anche in Italia, ma il paese prescelto potrebbe essere extra-europeo e tutto, comunque, dipende in ultima istanza dalla volontà degli editori.

Gli editori, appunto. Come fa Piano Media a mettere d’accordo tra loro giornali di sinistra e giornali di destra? Allarghiamo il tiro, andando oltre le culture politiche: in che modo si convincono le proprietà, con tutte la capricciose rivalità che serpeggiano nel mondo editoriale, a stare nello stesso chiosco? Lo start-upper snocciola due segreti. «Il primo – ride – è che negoziamo bilateralmente. Mai chiudersi con due editori nella stessa stanza. Mai. Il secondo è far capire che il paywall su scala nazionale è come un’edicola. Se ci sono lettori che acquistano dal loro giornalaio fogli di orientamento opposto, non si capisce perché in rete non si possa fare la stessa cosa».

Il prezzo accessibile del servizio la facilita. «Il costo contenuto (3,90 euro in Slovacchia, 4,89 in Slovenia e grosso modo anche Polonia, che come valuta ha lo zloty), è funzionale al superamento di una barriera psicologica. Da una parte c’è la convinzione diffusa che Internet sia gratuito. Dall’altra, Piano Media è una novità e come tale può affiorare, davanti al pagamento, una certa ritrosia. Tuttavia, anche sulla scorta dei bei risultati finora conseguiti, penso che in futuro ritoccheremo un po’ al rialzo le tariffe». Il che non sorprende. Un business in salute, che sta fidelizzando, non si svende.

Chi nella vita si è abituato all’idea di comprare il giornale, riconoscendo all’informazione un valore economico, si adegua all’offerta di Piano Media.

Sorprende invece scoprire che la maggioranza degli utenti di Piano Media non è composta, come verrebbe da pensare, da quella generazione di lettori allevata a pane, web e tecnologia. È rappresentata bensì dalla fascia di popolazione di età compresa tra i quaranta e i sessant’anni. «C’è una spiegazione sociologica», ragiona Tomas Bella. «Chi nella sua vita s’è abituato all’idea di comprare il giornale, riconoscendo all’informazione un valore economico, si adegua all’offerta di Piano Media pur se non possiede le competenze tecnologiche che vantano i giovani. Loro, invece, non sembrano ancora così inclini a investire in news. La vera sfida sarà cercare di intercettarli. Il problema riguarda Piano Media, ma soprattutto gli editori. Se vogliono sopravvivere devono fare breccia all’interno di questo gruppo sociale».

Bella ritiene che l’informazione, ai tempi della rete, sia un compromesso tra la qualità e le notizie capaci di portare nuovi lettori. Il giornalismo odierno deve bilanciare le sue forme più nobili e quelle più fruibili. Sulla piattaforma di Piano Media si trova proprio questo. Il massimo della qualità convive con prodotti indirizzati a una readership più vasta. «L’esempio è quello di SME. È un broadsheet, ma sono i video, sul paywall slovacco, a garantirgli la quota principale dei profitti». Questo non significa che i filmati siano di basso livello. Fruibilità non fa rima con spazzatura. «È importante che gli editori capiscano che è ancora possibile fare giornalismo d’eccellenza e che c’è gente che le belle storie continuerà a comprarle».

Internet, insomma, non sta assassinando il mestiere. L’ad di Piano Media cita a questo proposito l’efficace scritto di un giornalista britannico, Andrew Brown, pubblicato sul Guardian nel 2006. Brown traccia il parallelo tra l’alcol e la rete. Al tempo del giornalismo vecchia maniera erano in tanti a pensare che l’abuso di alcolici, molto diffuso tra i cronisti dell’epoca, avrebbe strozzato idee e creatività. Ma poi era anche vero che c’erano giornalisti che senza alzare il gomito non rendevano e storie che, senza frequentare locali da sbronza, non si scovavano. Internet è come il whisky. Da una parte annebbia e forse sì, livella la qualità dell’informazione. Dall’altra garantisce nuova originalità e una miniera inesauribile di spunti. Non se ne può fare a meno.

Può terminare qui, la chiacchierata. Ma appena prima di chiudere il collegamento viene in mente un’ultima cosa. Una piccola curiosità. Perché il nome Piano Media? Come mai s’è scomodato uno strumento musicale e il senso uditivo, se si ha a che fare con i giornali, che si consumano con la vista? «Mi piace l’idea che piano sia una parola universale, che si pronuncia ovunque alla stesso modo. Al tempo stesso, mi affascina il fatto che questo strumento si possa suonare anche con una mano e persino con un solo dito, ma è usando entrambe le mani e tutte le dita che si ha il risultato migliore, sia per chi suona, sia per chi ascolta». È la filosofia della creatura di Tomas Bella, in fin dei conti. Più sono le testate che aderiscono, migliori gli incassi (di Piano Media e degli stessi giornali) e più succoso l’arsenale di notizie a cui i lettori possono attingere.

 

Nell’immagine, le testate gestite da Piano Media
Dal numero 12 di Studio