Hype ↓
01:32 sabato 22 novembre 2025
Negli Usa il Parmigiano Reggiano è così popolare che un’agenzia di Hollywood lo ha messo sotto contratto come fosse una celebrity La United Talent Agency si occuperà di trovare al Parmigiano Reggiano opportunità lavorative in film e serie tv.
I farmaci dimagranti come l’Ozempic si starebbero dimostrando efficaci anche contro le dipendenze da alcol e droghe La ricerca è ancora agli inizi, ma sono già molti i medici che segnalano che questi farmaci stanno aiutando i pazienti anche contro le dipendenze.
Kevin Spacey ha raccontato di essere senza fissa dimora, di vivere in alberghi e Airbnb e che per guadagnare deve fare spettacoli nelle discoteche a Cipro L'ultima esibizione l'ha fatta nella discoteca Monte Caputo di Limisso, biglietto d'ingresso fino a 1200 euro.
Isabella Rossellini ha detto che oggi non è mai abbastanza vecchia per i ruoli da vecchia, dopo anni in cui le dicevano che non era abbastanza giovane per i ruoli da giovane In un reel su Instagram l'attrice ha ribadito ancora una volta che il cinema ha un grave problema con l'età delle donne. 
Da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, le donazioni per Gaza si sono quasi azzerate Diverse organizzazioni umanitarie, sia molto piccole che le più grandi, riportano cali del 30 per cento, anche del 50, in alcuni casi interruzioni totali.
Lorenzo Bertelli, il figlio di Miuccia Prada, sarà il nuovo presidente di Versace Lo ha rivelato nell'ultimo episodio del podcast di Bloomberg, Quello che i soldi non dicono.
Il più importante premio letterario della Nuova Zelanda ha squalificato due partecipanti perché le copertine dei loro libri erano fatte con l’AI L'organizzatore ha detto che la decisione era necessario perché è importante contrastare l'uso dell'AI nell'industria creativa.
Per evitare altre rapine, verrà costruita una stazione di polizia direttamente dentro il Louvre E non solo: nei prossimi mesi arriveranno più fondi, più telecamere, più monitor, più barriere e più addetti alla sicurezza.

I giganti della tecnologia stanno comprando i giornali, ma possono salvarli?

Il Washington Post, l'Atlantic, e ora anche Time. Analisi di una tendenza che ha le sue luci ma anche qualche ombra.

25 Settembre 2018

Ormai si può parlare di un trend. L’ultimo capitolo è quello di Marc Benioff, fondatore e amministratore delegato di Salesforce, il gigante del cloud, che la scorsa settimana ha acquistato la rivista Time: 190 milioni di dollari pagati sull’unghia. L’anno scorso era stata la volta di Lauren Powell Jobs, la vedova di Steve Jobs, che attraverso la sua organizzazione Emerson Collective aveva comperato le quote di maggioranza dell’Atlantic. Il caso più emblematico, probabilmente, è quello di Jeff Bezos, il proprietario e fondatore di Amazon, nonché uomo più ricco del mondo, che ha acquistato il Washington Post nel 2013. Più recentemente Patrick Soon-Shiong, il tycoon delle biotecnologie, ha acquisito le quote di maggioranza del Los Angeles Times, di cui era già socio di minoranza. Abbondano i magnati del tech, un settore che in questi anni sta andando particolarmente bene, che si comprano giornali, un settore che invece se la passa piuttosto male.

Manca solo Mark Zuckerberg, verrebbe da dire, anche se lo strapotere di Facebook sull’informazione è tale che, per dire, un New York Times in mano a Zuckerberg sarebbe estremamente inquietante, e questo lui lo sa. C’è stato però il caso di un altro co-fondatore dl Facebook, Chris Hughes, che una testata se l’era comprata: nel 2012 Hughes aveva rilevato The New Republic, rivista prestigiosa ma in difficoltà. L’esperimento durò poco e infatti finì – male – nel 2016. L’implosione di TNR è stato uno dei casi editoriali di questi anni e infatti nessuno s’è sorpreso quando lo storico, seppure relativamente giovane, direttore della testata, Franklin Foer, ha pubblicato un libro contro la Silicon Valley. Il titolo è tutto un programma: World Without Mind: The Existential Threat of Big Tech, uscito proprio in questi giorni in italiano come I nuovi poteri forti. Come Google, Apple, Facebook e Amazon pensano per noi (Longanesi).

I miliardari della tecnologia, si diceva, si stanno comprando i giornali. E la cosa solleva due domande. Primo: perché? E, secondo: è una buona cosa? Insomma, davvero la Silicon Valley può salvare l’editoria in crisi, visto che la rivoluzione tecnologica ha contribuito a mettere in crisi l’editoria? A queste due domande, e a qualche altra, ha dedicato un editoriale interessante Kara Swisher sul New York Times. Più che offrire risposte aiuta a inquadrare meglio la questione (un’ammissione personale: scrivo, retribuita, su due dei sopracitati giornali americani comprati da tech-magnati, dunque non ho la pretesa di essere un osservatore imparziale).  Come per il libro di Foer, anche qui titolo la dice lunga: «Can people who almost brought down the news business save it?».

Perché i signori della Silicon Valley si stanno comprando i giornali? Su questo Swisher in principio è brutale: «Questa abbuffata di acquisti editoriali può essere spiegata con due parole: perché possono. E, volendo, con altre cinque parole: perché i media costano poco». Poi però la commentatrice avanza altre ipotesi: «Perché una rivista e non una squadra di calcio, visto che l’editoria è un campo più caotico e incerto? Forse perché offre una miscela inebriante di altruismo, potere ed ego». Sul «potere» forse ci sarebbe da ridire: se sei l’uomo più ricco del mondo, se sei entrato nelle case di tutti i consumatori del globo e hai database sterminati, non hai bisogno di una testata per avere potere. Sull’«ego» e sull’«altruismo» (e solo gli ingenui possono credere che siano principi antitetici), l’editorialista però coglie il segno.

Il punto non è che avere un giornale fa figo, il punto è che possedere un giornale permette di presentarti, e pensare a te stesso, come un salvatore dell’informazione libera, in una fase storica in cui l’informazione libera è in crisi, per questioni di modelli economici ma anche socio-culturali (l’effetto bolla, le fake news, la polarizzazione, l’overdose di contenuti, eccetera). Anche se è ancora presto per giudicare il loro operato, scrive Swisher, sia Benioff che la signora Jobs sostengono che il loro interesse è semplicemente sostenere il quarto potere. Quanto a Bezos, «Trump lo accusa spesso di avere comprato il Washington Post per avere una maggiore influenza, ma per il momento sembra che semplicemente gli piaccia possedere un giornale che sta andando a gonfie vele». Del Washington Post, Bezos non ha parlato molto nell’intervista a Forbes, che lo ha messo nella sua ultima copertina. Però ne aveva parlato all’Economic Club di Washington: ha deciso di immischiarsi nelle sorti del giornale perché era convinto che il Post avesse «un ruolo incredibilmente importante da svolgere in questa democrazia».

Nell’era Trump, sia il Post sia l’Atlantic stanno facendo un gran lavoro, anche grazie ai soldi immessi dai loro nuovi proprietari. In tutto questo, c’è però «un’ironia terribile: coloro che ci hanno quasi uccisi ci stanno rendendo più forti», scrive Swisher. Che prosegue, parlando a nome della categoria dei giornalisti: «Ci dà la nausea trovarci a dipendere dalla generosità di persone la cui ricchezza è il risultato diretto della stessa era digitale che ha messo in difficoltà i media, un tempo potenti». Allora, chi ha quasi distrutto il business del giornalismo può davvero salvarlo? Questa domanda però ne solleva un’altra, forse un po’ meno ideologica ma più scomoda: se la salvezza dei giornali dipende dalla generosità della Silicon Valley, chi vigila sulla Silicon Valley? Non è una questione da poco, in un periodo in cui il rapporto tra tecnologia e democrazia è sempre più delicato. Tra le più grandi storie di quest’anno, segnaliamo il caso Cambridge Analytica e la mega-inchiesta su Facebook. Lo scoop su Cambridge Analytica l’hanno fatto il New York Times e il Guardian, mentre la mega-inchiesta su Facebook è di Wired. Nessuna di queste tre testate appartiene a un miliardario della Silicon Valley.

Articoli Suggeriti
Per Eugenia Dubini di NN Editore i libri non sono affatto finiti

Nel 2015 ha fondato e dirige una delle case editrici più interessanti in Italia. Pubblicando nuove voci italiane e stranieri di successo ha dimostrato che si può vincere la crisi, che i lettori cambiano ma la lettura resterà sempre.

The Smashing Machine quasi non è un film ed è proprio per questo che merita di essere visto

Il primo film da solista di Benny Safdie, con protagonista un trasformato The Rock, è un esperimento meta-cinematografico. Frustrante, deludente, spericolato e, a tratti, geniale.

Leggi anche ↓
Per Eugenia Dubini di NN Editore i libri non sono affatto finiti

Nel 2015 ha fondato e dirige una delle case editrici più interessanti in Italia. Pubblicando nuove voci italiane e stranieri di successo ha dimostrato che si può vincere la crisi, che i lettori cambiano ma la lettura resterà sempre.

The Smashing Machine quasi non è un film ed è proprio per questo che merita di essere visto

Il primo film da solista di Benny Safdie, con protagonista un trasformato The Rock, è un esperimento meta-cinematografico. Frustrante, deludente, spericolato e, a tratti, geniale.

Il più importante premio letterario della Nuova Zelanda ha squalificato due partecipanti perché le copertine dei loro libri erano fatte con l’AI

L'organizzatore ha detto che la decisione era necessario perché è importante contrastare l'uso dell'AI nell'industria creativa.

Terrazza Sentimento è la storia di Alberto Genovese, ma anche di Diddy, Epstein e Weinstein

Al di là della bruttezza della miniserie Netflix, guardandola è impossibile non notare come queste storie di élite degenerate si somiglino tutte.

Per evitare altre rapine, verrà costruita una stazione di polizia direttamente dentro il Louvre

E non solo: nei prossimi mesi arriveranno più fondi, più telecamere, più monitor, più barriere e più addetti alla sicurezza.

L’unico a volere il water d’oro di Cattelan andato all’asta è stato un parco di divertimenti

Lo ha comprato per dodici milioni di dollari: è stata l'unica offerta per un'opera che ne vale dieci solo di materiale.