Cultura | Personaggi

Taylor Swift spiegata ai boomer

È la persona dell'anno per Time e per moltissimi altri (soprattutto giovani), ma per le vecchie generazioni continua a essere un oggetto misterioso. Cosa c'è da sapere per capirla una volta per tutte.

di Laura Fontana

Lunedì scorso Michele Serra ha dedicato la sua newsletter per il Post, Ok Boomer!, a Taylor Swift, dicendo che la sta pedinando da qualche mese, cercando di capirne il fenomeno, del perché è stata nominata “Persona dell’anno 2023” dal Time. Dice di aver letto un po’ di spiegazioni ma alla fine si arrende: «Qualcuno mi dia una mano». Certo, il 2023 è l’anno in cui ci siamo accorti di Taylor Swift anche in Italia: all’improvviso anche il Tg1 ha iniziato a dedicarle con una certa costanza il servizio d’approfondimento culturale, invece che a qualche aggiornamento sui soliti Rolling Stones.

Non è assolutamente facile spiegare l’inspiegabile e mastodontico successo di Taylor Swift. Non è insomma solo un problema da boomer, è che bisogna proprio avviarsi su per una via crucis, dove ogni tappa rappresenta un fenomeno di Internet, che va analizzato e capito. Intanto bisogna avere chiaro cos’è la “stan culture”, poi si passa al concetto di “ancella dell’algoritmo” e per ultimo alla comprensione dei dogmi del “femminismo performativo”. Infine, il contesto in cui inserire questi tre fenomeni di Internet è quello delle “megachurch”. Siccome siamo in Italia e nessuno sa veramente cosa siano le “megachurch”, ecco una definizione: sono congregazioni cristiane di orientamento protestante o evangelico, che usano riunirsi in edifici di grandi dimensioni (tipo palazzetti dello sport, da cui il nome “megachurch”), e che offrono ai fedeli anche attività parallele come educazione e intrattenimento (cioè hanno sia scuole che centri commerciali annessi alla chiesa). Le funzioni sembrano più dei concerti negli stadi, il pastore perlopiù si esibisce, canta o fa dei sermoni simili a discorsi da stand up comedy.

Le megachurch sono molto popolari in Paesi come gli Stati Uniti, la Corea del Sud e il Brasile, gli stessi Paesi che hanno online gli standom (community online formate da stan, che a sua volta sono l’evoluzione del normale fan) più grandi e vigorosi legati a band come i BTS, Beyoncé e, appunto, Taylor Swift. Se non avete capito per quale motivo nel giro di due righe sono passata da Taylor Swift alle megachurch, sarò più chiara: se fino all’anno scorso si poteva parlare della presenza di alcuni elementi della religione nella pop culture, adesso si può direttamente parlare di pop culture come religione.

La pop culture come religione è l’approdo di un processo che ha avuto l’ultima accelerata negli anni Dieci, lo stesso decennio che non a caso ha determinato il successo di Taylor Swift. L’epos swiftiano, dall’estetica totalmente millennial, è una storia che viene raccontata sempre come molto tribolata, fatta di crescite, cadute, scontri, cambiamenti e lotte. In fondo, però, racconta una storia totalmente americana e wasp, quella dell’autorealizzazione attraverso il successo e i soldi. Nel protestantesimo evangelico americano, infatti il successo e i soldi sono l’evidente manifestazione del divino. Quest’idea in qualche modo è la stessa degli “stan” che venerano nel mondo online i loro “idol”, e fanno di tutto affinché questi vincano nella gara della fama. Lo fanno acquistando gli album e il merchandising, ma soprattutto facendo salire le metriche online dei loro idol, streammando senza sosta le loro canzoni. E questo è il motivo per cui le canzoni e gli album di Taylor Swift sono sempre ai vertici di ogni classifica, al netto della loro bontà artistica: è grazie soprattutto alla sua community di stan, cioè agli Swifties.

Capire la stan culture è il primo passo per capire come la pop culture sia diventata religione di massa, basata sull’auto-affermazione e il successo, che fa proselitismo tra un pubblico vastissimo e globale, che a sua volta si impegna attivamente per rendere ancora più di successo la sua megastar. C’è da dire che non tutti gli artisti si prestano a diventare idol. C’è chi vuole solamente cantare canzoni senza sottostare agli impegni imposti dall’industria musicale e alle richieste degli stan. In Corea del sud, l’industria musicale ha ovviato al problema creando delle “factory”, dove addestrano talenti fin da piccoli: costoro già sanno che dovranno diventare “idol” e sono più o meno consapevoli del loro destino. Taylor Swift, invece, può essere definita “un’ancella dell’algoritmo”, un po’ come Chiara Ferragni: per sua scelta, perché le piace e perché c’è ovviamente da guadagnarci, elargisce content in abbondanza e continuità, è assolutamente disposta a fare tutto quello che l’industria musicale le dice di fare e a dare agli stan tutto quello che vogliono, stabilendo con loro un legame simbiotico. I suoi album, infatti, sono una specie di gioco interattivo per Swifties, con easter egg e rimandi interni, misto a gossip sugli ex fidanzati, sulle amiche e sui nemici. Ha perfettamente senso la ripubblicazione nel giro di poco tempo degli stessi album, al netto dei risvolti affaristici: semplicemente sono stati aggiunti altri indizi ed easter egg, ha dato ulteriore materiale su cui gli stan possono fare le loro “stan wars”.

Essere ancella dell’algoritmo vuol dire anche sottostare allo storytelling preteso dagli stan (ad esempio: lasciare un fidanzato che non piace, fidanzarsi con uno che gradiscono di più). Inoltre lei deve aderire alle cause del “femminismo performativo” e dell’attivismo online, il che vuol dire mantenersi “moralmente integra” agli occhi della sua community. Questa è sicuramente la parte più difficile per chi volesse cimentarsi nel fare oggi la mega-popstar: non solo gli stan sono sempre all’erta, ma anche i canali di mainstream news non vedono l’ora di beccare la mega-popstar a fare o dire qualcosa che non avrebbe dovuto fare o dire. Sono molti i commentatori culturali americani che pensano che Taylor Swift abbia usato il femminismo performativo per rendersi incriticabile: chi dice che il suo successo non è meritato lo fa solamente perché è misogino o intriso di mentalità patriarcale. Chi la accusa di non fare questo o quello, lo fa perché “è una donna”. Chi critica gli Swifties, una standom in effetti particolarmente perniciosa che si scaglia anche violentemente contro i nemici della mega-popstar, lo fa perché è “una community composta prevalentemente da donne”. C’è da dire che le critiche a Taylor Swift vengono anche dall’interno: chi la critica dall’interno, però, di solito specifica che lo fa non per misoginia ma perché Taylor Swift si sta comportando da “donna bianca, miliardaria e privilegiata” che non fa nulla per combattere il male del mondo (che è il patriarcato, il cui prodotto è l’Occidente bianco, globalizzato e capitalista). Ad esempio, Taylor Swift ha ricevuto forti critiche dai suoi stan per non aver detto nulla per “fermare il genocidio palestinese”; è gente che crede veramente che lei potrebbe far finire un conflitto tra due Stati se solo lo volesse, postando qualcosa sul suo profilo Instagram.

Taylor Swift non ha solo stan ma anche fan del tutto normali. Ma qui si ritorna su un terreno già noto: li ha perché ha album che spaziano dal country, all’elettronica, fino all’indie music, con ballate e pezzi ballabili. E poi ha quel tipo di attitudine e bellezza per cui le maestre l’avrebbero scelta per fare la parte di Maria nella recita scolastica natalizia. Una bellezza rassicurante, da principessa Disney: i suoi look di scena, infatti sono un misto di Aurora de La bella addormentata nel bosco e Trilli di Peter Pan. I nuovi culti basati sulla pop culture d’altronde sono tutti così: un misto di vecchi riti e rituali aggiornati con elementi pop, e Internet che fa da rete. Nei concerti si vedono orde di ragazze in estasi, che piangono, si stringono, si abbracciano, fanno cose tipo chiamare l’ex e mandarli a quel paese, o chiamare il ragazzo che amano e dichiararsi. Una forma di estasi più apollinea che dionisiaca, meno sessuale, più basata sull’amore romantico e l’amicizia, la rivincita, l’affermazione del sé e con un’estetica che è quella da ragazza Millennial che ha passato molto tempo su Tumblr. La grande contraddizione è che questi culti basati sulla pop culture sono estremamente funzionali al capitalismo che forse vorrebbero combattere. Ma la contraddizione fa comunque parte del vangelo secondo Taylor Swift: ella è sia hero che anti-hero. E così sia.