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Attualità | Dal numero
Talia Lavin, infiltrata nell’alt-right
Intervista all'autrice di Culture Warlords, un saggio sull'estrema destra americana che combina sapientemente l’esperienza in prima persona con l’analisi storico-politica.
Tre anni fa Talia Lavin lavorava come fact-checker al New Yorker e non aveva ancora trent’anni, quando si è trovata, improvvisamente, bersaglio dei principali troll di estrema destra: Andrew Anglin, il fondatore del sito neonazista The Daily Stormer, che l’ha definita «un ingrediente per saponette», Milo Yiannopoulos, che ha donato 14,88 dollari sul suo PayPal (la cifra è un inside joke neonazista e infatti PayPal bloccò l’account di Yiannopoulos appena se ne accorse), per non parlare di una serie di altri personaggi poco raccomandabili che promettevano di «contare i giorni che rimangono agli ebrei come te». A quei tempi Lavin non era ancora un nome del giornalismo americano, dopotutto il suo lavoro era, più che scrivere, controllare i pezzi degli altri, però nel suo piccolo era già una personalità della twittersfera progressista, e due cose furono subito chiare ai non pochi che assistettero in tempo reale alla vicenda: quelli che le davano addosso erano degli sbroccati ma erano tremendamente seri.
Oggi Lavin collabora con Washington Post e The New Republic, ed è l’autrice di un libro di cui si è parlato molto: Culture Warlords: My Journey into the Dark Web of White Supremacy, uscito per Hachette lo scorso ottobre e incluso da Time nei 100 libri del 2020 da leggere (non ha ancora un editore italiano). E oggi la realtà che racconta è sotto gli occhi di tutti: negli Stati Uniti d’America esiste una frangia di estremisti di destra, che forse così frangia non è, galvanizzata dai quattro anni di Donald Trump e capace di ricorrere alla violenza organizzata. Potrà sembrare gente un po’ strana, gente che pensa che il Coronavirus sia un complotto ordito da Bill Gates e che magari va in giro conciata come Diego Abatantuono in Attila, ma è anche gente capace di prendere d’assalto il Congresso. Degli sbroccati, forse, ma tremendamente seri.
Culture Warlords, uscito pochi mesi prima che l’insurrezione degli irriducibili trumpiani trasformasse Capitol Hill in una zona di guerriglia, è stato accolto come un saggio preveggente: «Credimi, avrei preferito che il mio libro non si fosse rivelato così attuale», commenta Lavin, sospirando, quando la raggiungiamo al telefono. «Sono una di quelli che da un po’ di tempo mettevano in guardia sulla radicalizzazione e il rafforzamento dell’estrema destra negli Stati Uniti, ma non ero certo l’unica», prosegue. «Era abbastanza ovvio che la situazione stava andando fuori controllo, che il partito repubblicano stava incubando una forza che non riusciva necessariamente a gestire».
Il libro, che combina sapientemente l’esperienza in prima persona con l’analisi storico-politica, parte da una serie di inchieste sotto copertura effettuate dall’autrice. Nell’estate del 2019 Lavin si è unita a una novantina di gruppi Telegram di estrema destra, sotto la falsa identità di Tommy, un ventenne frustrato con una banana per avatar. Tommy ha un’identità fittizia ben costruita, incluso un numero di telefono creato con un generatore automatico, ma non si espone, si limita ad osservare: «Il mio obiettivo era accedere alla retorica dell’estrema destra come se fossi stata una mosca sul muro, sorvegliare la sua violenza, il suo odio razziale e antisemita, in un ambiente in cui i partecipanti sentivano di potersi esprimere liberamente», si legge. A un certo punto, Talia/Tommy si trova immischiata/o in una rissa, più o meno digitale, tra estrema destra cristiana ed estrema destra neopagana::«Sapevo da che parte stare, la parte che pensava che tutti quei pazzi razzisti fossero degli sfigati, ma troppo pericolosi per essere ignorati».
Con un’altra identità fittizia, questa volta una bellezza nordica in cerca di marito, tale Ashlynn, Lavin si infiltra nel meraviglioso mondo dell’online dating del suprematismo bianco. Che, possiamo anticiparvi, non è un gran bel posto, il genere di spazio virtuale dove i maschi approcciano le femmine con frasi come: «Ti auguro buona fortuna nel trovare un marito bianco con cui fare figli, qual è la tua pistola preferita?». Sul New York Times Carolyn Kellogg ha riassunto lo spirito del libro così: «Lavin è il Virgilio che vi farà da guida nell’inferno neo-nazista». E ancora: «Sa costruire una narrazione accattivante attraverso la storia lontana e vicina dell’alt-right, dalle teorie del complotto dell’Europa medievale a come Henry Ford ha portato nel mainstream certe idee antisemite, dal Gamergate alle storie di YouTuber adolescenti che si sono radicalizzati. Questa combinazione di memoir e analisi funziona bene».
«In un momento di ansia e di paura, la reazione di alcuni è stata aggrapparsi a una teoria del complotto che ruota attorno al concetto che i Democratici sono un gruppo di pedofili che bevono il sangue umano e venerano Satana»
Un elemento scioccante, ma non sorprendente, è la perfetta normalità apparente dei personaggi con cui Lavin viene in contatto. Certo, ci sono i disadattati, gli incel, quei maschi etero che restano casti non per scelta e che danno la colpa a un complotto pluto-femminista-massonico; ma in larga misura si tratta di persone socialmente inserite: «Questi uomini hanno un lavoro, una casa, un’auto e delle vite piene, ma sono attratti dal suprematismo bianco, è questo che li fa andare avanti», scrive l’autrice. Del resto, prosegue, «l’odio verso i non-bianchi è una delle ideologie fondative degli Stati Uniti, è qualcosa di palpabile in ogni elemento politico del Paese, nelle sue policies e nelle sue condizioni economiche, dal mainstream alle frange radicali».
La storia di Lavin è una storia molto americana. Classe 1989, è cresciuta in una comunità modern orthodox del New Jersey: per capirci, ebrei ortodossi, ma assai più aperti al mondo esterno di quelli che avete conosciuto nelle serie di Netflix. È un ambiente dove ci si aspetta che i ragazzi e le ragazze eccellano negli studi, infatti Lavin va ad Harvard, dove si laurea in letteratura comparata, russo ed ebraico moderno, e subito dopo vince la prestigiosa borsa di studio internazionale Fulbright. Come Fulbright scholar trascorre un anno in Ucraina, solo che lì si annoia, allora fa due cose: apre un account Twitter (ecco spiegato l’handle, @chick_in_kiev) e comincia a scrivere pezzi giornalistici per la Jewish Telegraphic Agency, un’agenzia d’informazione ebraica. «In quel momento è cambiato qualcosa, ho scoperto che mi piaceva molto l’esperienza di essere letta», racconta nella nostra chiacchierata telefonica.
Lavin trova la sua strada scrivendo per i giornali, ma anche facendo sentire la sua voce sui social media. «Ormai le linee di demarcazione sono abbastanza sfumate, specialmente se sei una freelance. Perché, quando mandi un pitch per una storia, molto di quello che stai vendendo sei tu», dice. «Purtroppo fa parte del modello di business, ma il fatto che ho tanti follower su Twitter è una delle ragioni per cui gli editor mi commissionano articoli. Sanno che posso amplificarle a un’audience di 140 mila persone. Certo, stare su Twitter prende molto tempo ed energie, che magari potrei usare per scrivere, ma nel 2021 fa parte del lavoro di un freelance, ed è uno dei motivi per cui ho potuto scrivere un libro. Poi c’è tutto un discorso di relazioni parasociali. Sui social media sembriamo tutti più accessibili, dunque ci sono persone che investono in me, e io non voglio deluderle».
Lavin ha iniziato a interessarsi all’estrema destra quando ha visto i suprematisti bianchi marciare su Charlottesville nell’estate del 2017, uno spartiacque in cui ci si è resi conto che i razzisti non sentivano più l’esigenza di nascondersi. Da allora, spiega, il fenomeno è lievitato: «Gli Stati Uniti sono arrivati a un punto in cui la base delle persone disposte a compiere atti di violenza politica si è sensibilmente allargata. Non è più soltanto una cosa relegata ai margini», dice Lavin. «QAnon ha accelerato in modo esponenziale le cose, specialmente nell’ultimo anno, con la pandemia. Qui negli Stati Uniti abbiamo visto un’esplosione di teorie del complotto sul virus, è stata una stagione difficile, in cui tante persone sono finite sul lastrico, e anche chi se la cava relativamente bene si è trovato isolato. Il risultato è che la gente passa un sacco di tempo online, in un momento di ansia e di paura, e la reazione di alcuni è stata aggrapparsi a una teoria del complotto che ruota attorno al concetto che i Democratici sono un gruppo di pedofili che bevono il sangue umano e venerano Satana».
Proviamo a chiederle che cosa resterà di questo mondo fatto di odio e negazione della realtà, ora che Trump se n’è andato. «Trump ha avviato un percorso di radicalizzazione delle persone che prima si consideravano apolitiche e questa cosa non andrà via. È come il genio uscito dalla lampada, non lo si può ricacciare dentro tanto facilmente», risponde Lavin. Peraltro, nota, stare all’opposizione è anche una posizione più facile per gli estremisti cospirazionisti, che tendono a identificarsi come una forza di reazione al sistema: «Per esempio è stato durante gli anni di Obama che abbiamo visto l’avanzata del Tea Party. Per QAnon, poi, è sempre stato un po’ scomodo trovarsi nella situazione di dire “ok siamo al potere, ma siamo contro il governo” e infatti s’erano inventati tutte quelle assurdità sul deep state». Insomma, il peggio del trumpismo non solo continuerà a esistere senza Trump alla Casa Bianca, ma potrebbe addirittura fare ancora più danni. «Che si tratti di individui radicalizzati o di azioni di massa, l’unica previsione che possiamo fare è che l’estrema destra e le sue idee porteranno violenza», conclude Lavin. «Questo momento non finirà presto, e temo anzi peggiorerà. L’estremismo ormai è diventato il mainstream della destra».