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La strategia cinese sul Covid rischia di peggiorare la situazione dell’approvvigionamento mondiale

Da quando il mondo è uscito dai lockdown decisi nel tentativo di limitare la diffusione del SARS-CoV-2, la questione più discussa nel dibattito politico ed economico mondiale è stato il rallentamento di quella che in inglese si chiama supply chain, due parole che racchiudono tutti quei processi, meccanismi e automatismi che permettono alle economie mondiali di produrre, distribuire e vendere merci di ogni tipo, dalle più economiche ai beni di lusso, dai prodotti più artigianali a quelli risultato di elaboratissime catene di montaggio industriali. Una delle ragioni per cui i governi di tutto il mondo stanno facendo tutto ciò che è nelle loro possibilità per evitare altri lockdown ha a che fare anche (se non soprattutto) con questa crisi della catena di approvvigionamento: la ripresa dell’economia mondiale incontrerebbe grandissime difficoltà a reggere l’impatto di un altro shock.

Purtroppo, un altro shock pare in arrivo, secondo quanto riporta il New York Times. In Cina, dove il governo insiste sulla politica ribattezzata “zero Covid” e impone nuovi, durissimi lockdown all’accendersi anche del più piccolo dei focolai di contagio, si trova circa un terzo della capacità manifatturiera mondiale: se la Cina chiude, le conseguenze di quella chiusura vengono avvertite, anche molto pesantemente, in tutto il resto del mondo. Per dare un ordine di grandezza: in questo momento ci sono almeno 20 milioni di cinesi (circa l’1,5 della popolazione) in lockdown, soprattutto nella città di Xi’an e nella provincia di Henan. La strategia adottata fin qui dal governo cinese si è dimostrata efficace, ma la variante Omicron, con la sua elevatissima capacità d’infezione, apre un buco enorme in questo piano di contenimento: è sempre più difficile evitare il contagio e, in un Paese che adotta la strategia “zero Covid”, è quindi sempre più difficile evitare le chiusure. Tutto questo in un momento dell’economia mondiale in cui in tutti i Paesi si sta cercando una maniera di affrontare l’aumento del costo dell’energia e delle materie prime, oltre a nuovi strumenti legislativi per impedire che le infezioni, e gli isolamenti e le quarantene che conseguono, limitino in maniera insostenibile e per periodi di tempo prolungati la quantità di manodopera a disposizione dell’economia.

Fino a questo momento, i lockdown cinesi sono stati (relativamente) limitati. Ma gli addetti ai lavori temono che la situazione possa peggiorare, anche piuttosto in fretta: il mese prossimo a Pechino avranno inizio i Giochi Olimpici invernali, e il governo cinese pare seriamente intenzionato a interrompere la diffusione della variante Omicron nelle poche settimane che ci separano dall’inizio di questo grande evento. Lo scorso sabato, da Pechino è giunta la notizia che la scoperta di un solo caso di infezione da variante Omicron è bastata perché le autorità locali decidessero di mettere in lockdown il condominio e il luogo di lavoro in cui la persona infetta abita e vive. Se questo metodo dovesse essere confermato, le conseguenze sarebbero avvertite inevitabilmente in tutto il resto del mondo. Resto del mondo in cui si sta già affrontando, non senza una certa preoccupazione, un rialzo inflattivo come non se ne vedevano da anni. Craig Allen, il presidente dello U.S. − China Business Council, ha detto che tutto sta nella «capacità dei cinesi di controllare la situazione, la domanda fondamentale è questa. Se cominceranno a mettere in lockdown le città portuali, avremo altri problemi con la catena d’approvvigionamento».