Studio X VELASCA

Stile Velasca

Conversazione con Enrico Casati, co-fondatore, insieme a Jacopo Sebastio, del marchio di calzature e accessori nato a Milano nel 2013, su come si costruisce l’identità del fatto bene in Italia.

di Michela Marrocu

Per la scelta del nome si sono ispirati a quello che i milanesi chiamano affettuosamente il “grattacielo con le bretelle” e oggi Velasca (non la Torre ma il brand) è uno di quei marchi che, in un panorama sovraffollato, esprime il meglio del fatto bene in Italia applicato alle calzature. La sua storia inizia quando Enrico Casati chiese all’amico Jacopo Sebastio di portagli un paio di mocassini, rigorosamente made in Italy, per completare il suo look da uomo d’affari in quel di Singapore. Da quell’inconsueta richiesta di export italiano nasce l’idea di Velasca. Partiti nel 2013 con 125 paia di mocassini in magazzino, i due giovani imprenditori si sono ritrovati nel 2019 con oltre 9 milioni di euro di fatturato, pareggiati nel 2020 nonostante la pandemia. E nonostante, secondo quanto rileva una recente indagine di Confindustria Moda, nel primo trimestre del Covid-19 il comparto calzaturiero in Italia abbia accusato una flessione media del fatturato pari al 38,4 per cento, con una perdita complessiva stimata in 1,7 miliardi di euro. Velasca, insomma, è un marchio solido.

Una foto dalla collezione dedicata alla donna, uscita lo scorso ottobre e nata sempre dall’amore per lo stile italiano e per le cose fatte bene, con cura

Oggi l’ex startup è diventata un’eccellenza del saper fare italiano, applicando il modello direct-to-consumer al settore delle scarpe da uomo e strutturando una strategia di storytelling online e offline, che si muove cioè dal sito (e dai canali social) alle 13 botteghe monomarca, senza dubbio vincente. «Il cuore di tutto è la trasparenza nella comunicazione», racconta Casati, «Abbiamo in mano tutti i giorni uno strumento potentissimo che può avere effetti positivi tanto quanto negativi. Il nostro obiettivo è usarlo in maniera positiva, per promuovere il bello e fatto bene all’italiana, portando la nostra community in giro per l’Italia e a conoscere le persone con cui lavoriamo tutti i giorni». Le collezioni di Velasca sono infatti lo spunto per innumerevoli viaggi lungo tutta l’Italia, dove il prodotto da comunicare è tanto importante quanto il luogo e le persone che lo hanno reso possibile. Oltre 150 mila follower su Instagram e più di 250 mila iscritti alla newsletter, permettono al brand di creare un link diretto tra i produttori, ossia le famiglie di artigiani situati nelle Marche, e i consumatori finali. Nessun anello intermedio nella catena del valore di Velasca. E anche la scelta dei luoghi non è mai lasciata al caso: si conosce il territorio non solo attraverso la bellezza dei suoi paesaggi, ma soprattutto grazie all’esplorazione del suo artigianato da punti di vista spesso inediti e poco commerciali.

In the mountains from Velasca on Vimeo.

«Parte tutto dal cliente. Dove andrebbe in vacanza? Quali luoghi, case, hotel e ristoranti frequenterebbe? Dove andrebbe a fare il bagno? Sembrano domande banali ma avere coerenza tra queste domande è il cuore del brand e del suo stesso Dna», spiega infatti Casati. Velasca avvicina la sua community al fatto a mano di alta qualità a un prezzo sostenibile, e lo ha fatto prima in Italia nelle principali città, quindi andando a Parigi e Londra, e adesso anche a New York, dove lo scorso 24 luglio ha aperto la sua bottega al 250 di Elizabeth Street, Manhattan. Dall’online i due imprenditori sono dunque atterrati con successo all’offline, continuando a intrecciare entrambe le dimensioni. Questo racconto di un’Italia approfondito e non stereotipato rientra in una strategia che punta a comunicare i valori chiave per l’azienda e che ha permesso oggi al marchio di integrare la propria produzione con l’introduzione della linea per calzature da donne e quella degli accessori. La dimensione virtuale però oggi più che mai ha un peso importante.

La pandemia ha chiamato infatti in causa un nuovo player nella definizione dello shopping online, in grado di dare una nuova dimensione ai prodotti virtuali, e cioè la realtà aumentata. Una variabile che da qui a cinque anni rimescolerà ancora una volta le carte in tavola del retail. «Le abitudini di shopping sono cambiate tantissimo già adesso», precisa ancora Casati, «Non è solo una questione di online versus offline. Si tratta sempre della consapevolezza dei clienti di voler appartenere a una comunità di persone con determinati valori etici ed estetici. Non è più solo prodotto. Si tratta di identità».