Attualità
Il cinema di Stephen King
Il complesso rapporto tra il "re del terrore" e il grande (e piccolo) schermo: da Stanley Kubrick a Carpenter, passando per qualche serie tv.
Era il marzo del 1999 e Stanley Kubrick era morto da pochi giorni. Il manifesto gli dedicò la prima pagina, con una bella fotografia che lo ritraeva di profilo. All’epoca ero ancora all’università, studiavo cinema e questa notizia segnò tutti, studenti e professori. Il mio amico Daniele ritagliò la foto del manifesto e, partito poi per le vacanze di Pasqua, la portò con sé a casa sua in Sicilia. Il giorno dopo essere arrivato però, la foto sparì. Daniele guardò ovunque, tra i libri, in fondo alla valigie, nello zaino, ma nulla. Alla fine la trovò: sua nonna se l’era appesa di fianco al letto. Interrogata sul perché si fosse messa quella foto in camera, la nonna del mio amico Daniele rispose: «Così Padre Pio mi protegge! E speriamo protegga pure te!». Ovviamente confondere Stanley Kubrick per Padre Pio è una cosa così geniale e con talmente tante letture possibili che potremmo parlarne tutto il giorno, ma vi ho raccontato questa storia per un altro motivo. Lo scopo è quello di sottolineare come, tolti pochi e rarissimi casi, al mondo siano veramente in pochissimi a non conoscere Kubrick.
Il regista di Arancia Meccanica, Orizzonti di Gloria, Barry Lyndon rappresenta un’eccezione, un caso più unico che raro. Se andate a chiedere a una persona che non s’è mai avvicinata a un cinema in vita sua chi sia Stanley Kubrick, quasi sicuramente vi risponderà che è stato uno dei più grandi registi viventi e forse sarà anche in grado di dirvi anche uno o due titoli dei suoi film. Azzardando un po’: Kubrick è per il cinema quello che i Beatles rappresentano per la musica. Patrimonio culturale universale, anche senza l’esperienza diretta. Perché? Perché Kubrick è morto, perché esiste un’aneddotica che lo colloca nella categoria “genio e sregolatezza” (“andava in macchina con il casco! Ha fatto un film tutto con le candele!”) e perché ha fatto dei film che non sono invecchiati di un minuto. Capolavori immortali che sono diventati un culto per intere generazioni.
Shining è decisamente fuori gara. Talmente fuori gara che Stephen King lo odia.
Tra tutti i vari film, forse quello più ha lasciato il segno nella cultura popolare, subito dopo Arancia Meccanica, è Shining. Una delle interpretazioni più famose e iconiche di Jack Nicholson, le riprese del triciclo per i corridoi dell’Overlook Hotel, Shelly Duvall dietro la porta del bagno, le gemelline più inquietanti della Storia del Cinema, «il mattino ha l’oro in bocca», il labirinto, l’ascensore pieno di sangue… Insomma, un film entrato di prepotenza nell’immaginario collettivo per una lunga serie di motivi e che ancora oggi, a 23 anni dalla sua realizzazione mantiene ancora intatta la sua forza. Merito anche della storia che, lo ricordiamo, è tratta da un famoso romanzo di Stephen King. Quel Re del Terrore che oltre ad averci terrorizzato per anni sulla carta stampata, ha anche un rapporto privilegiato con la settima arte. Ha recitato in una ventina tra film e serie tv (l’ultima apparizione è in Sons of Anarchy nel 2010), nel 1986 ha diretto il film Brivido e, tra cinema e televisione, dai suoi racconti e dai suoi libri hanno più di 160 prodotti. Un numero assolutamente impressionante, soprattutto se pensiamo che la maggior parte di questi non si possono vedere. Anzi, quelli belli, sopra la media, sono veramente pochissimi. Andiamo a vedere quali.
Ok, Shining è decisamente fuori gara. Talmente fuori gara che Stephen King lo odia. Dal suo punto di vista tutta una serie di differenze con il testo originale, soprattutto il finale, e l’evidente impronta registica di Kubrick l’hanno trasformato in qualcosa di diverso rispetto a quello che lui aveva in mente. Questa sua delusione l’ha portato a produrre nel 1997 una miniserie in tre episodi secondo lui più fedele al libro. Dietro la macchina da presa non c’era Kubrick, ma Mick Garris, lo stesso che tre anni prima tentò di realizzare con scarsissimi risultati L’Ombra dello Scorpione. E indovinate? La serie voluta da King di Shining non si può vedere. Ma evidentemente Stephen King ha tutta una sua idea di quello che è il cinema. Più o meno lo stesso era successo nel 1976 con la trasposizione cinematografica di Carrie, il suo primo romanzo. Il film è diretto da un altro grande e personalissimo regista, Brian De Palma, cosa che appunto non convinse lo scrittore. Secondo lui De Palma, con i suoi insistiti (e stupendi) piani sequenza durante la scena del prom, con i suoi split screen e – ancora una volta – con un finale evidentemente attaccato all’ultimo e inesistente nel libro, aveva reso Carrie un’altra cosa. In realtà Carrie è un ottimo film ancora oggi. Certo, risulta spesso molto più datato rispetto a Shining ma ha anche molti pregi. Il cast è assolutamente eccezionale (su tutti Sissy Spacek e la magica Piper Laurie) e lo sceneggiatore Lawrence D. Cohen, lo stesso che poi lavorerà su It e The Tommyknockers, è riuscito nella difficile impresa di far convogliare una lunga serie di temi forti e ingombranti mantenendo però una suspense invidiabile. Fra poco uscirà il remake con Julian Moore nei panni della madre ultrareligiosa e Chloë Grace Moretz in quelli di Carrie e alla regia quella Kimberly Peirce, diventata famosa grazie a Boys Don’t Cry. Certo, la tecnica non è la stessa di De Palma, ma la Peirce, femminista e dichiaratamente lesbica, sembra avere una sua precisa poetica legata al corpo, caratteristica che la fa apparire piuttosto azzeccata per un film del genere.
Il film, sicuramente non tra i capolavori di Carpenter, è comunque una sfida vinta: riuscire a fare un film dove il cattivo è una macchina non è una cosa molto semplice.
E visto che parliamo di corpo, citiamo il regista che più di ogni altro ha trattato questo tema: David Cronenberg. Anche il regista de Il Demone Sotto la Pelle, Inseparabili e Cosmopolis s’è trovato a dirigere un film tratto da un libro di King. Parliamo de La Zona Morta del 1983. La storia è quella di un uomo (interpretato da uno straordinario Christopher Walken) che dopo essere uscito dal coma, acquisisce una straordinaria capacità: riesce a leggere nella mente delle persone e a vedere il loro futuro tramite contatto fisico. Il film ha qualche ingenuità, ma dipendono più dalla storia che dalle scelte registiche. In realtà di Cronenberg riesce perfettamente a rendere al meglio le sequenze oniriche, quelle in cui Walken vede il futuro delle persone con cui entra in contatto, riuscendo sempre a rimanere legato alla realtà ma con piccoli elementi di astrattismo. In più, oltre a inserire nel racconto piccoli elementi melodrammatici, realizza nella prima parte una delle più belle sequenze mai tratte da King: quella della morte dell’assassino di Castle Rock Frank Dodd, qui interpretato da Nicholas Campbell. De La Zona Morta esiste anche una serie televisiva con l’ex teen idol Anthony Michael Hall come protagonista, iniziata nel 2002 e proseguita poi per ben sei stagioni. Ovviamente per riempire un così grande numero di puntate la storia originale venne allungata incredibilmente, ma il risultato rimane decisamente buono.
Sempre lo stesso anno, il 1983, un altro grane dell’horror decide di confrontarsi con King. Parliamo di John Carpenter e del suo Christine: La Macchina Infernale. La storia è quella di una Plymouth rossa del 1957 che sembra possedere una sua diabolica personalità. La macchina finisce per trasformare il suo proprietario, un ragazzino sfigato, in un perverso maniaco omicida. Il film, sicuramente non tra i capolavori di Carpenter, è comunque una sfida vinta: riuscire a fare un film dove il cattivo è una macchina non è una cosa molto semplice, ma tra una colonna sonora azzeccatissima (sempre curata da Carpenter) e un’atmosfera capace di rendere al meglio quella fascinazione per gli anni ’50, tema centrale nella poetica di King, si porta a casa il risultato.
Stand By Me è uno degli scritti meno smaccatamente horror del grande scrittore, quindi forse più facile da un certo punti di vista da portare su grande schermo.
Un altro buon titolo tratto da un libro di King, L’Uomo in Fuga (firmato in realtà con lo pseudonimo di Richard Backman), è L’Implacabile, diretto nel 1987 da Paul Michael Glaser, ovvero il detective Starsky del famoso telefilm Starsky & Hutch. Il film si ricorda principalmente per il suo protagonista, Arnold Schwarzenegger, all’epoca lanciatissimo divo dell’action movie più fracassone. Del libro originale rimane ben poco, se non l’idea del reality show in cui i protagonisti rischiano realmente la morte, ma rimane un ottimo action con delle trovate molto divertenti. Certo, il finale è incredibilmente diverso, si perde gran parte della critica sociale che c’era nel testo originale, ma non è per nulla male. Se non l’avete mai visto, recuperatelo prima che a qualcuno venga in mente di farci un remake. Cambiamo genere e torniamo indietro nel tempo di un anno con Rob Reiner – regista di Harry Ti Presento Sally e This is Spinal Tap – e il suo Stand By Me: Racconto di un Estate. Parliamo di un film tratto da Il Corpo, un racconto tra i più belli e rappresentativi della poetica kingiana. Una storia di formazione in cui quattro bambini (Corey Feldman, Will Wheaton, Jerry O’Connell e River Phoenix) si mettono in viaggio a piedi con lo scopo di vedere un cadavere di cui hanno sentito parlare i “ragazzi grandi”. Stand By Me è uno degli scritti meno smaccatamente horror del grande scrittore, quindi forse più facile da un certo punti di vista da portare su grande schermo, ma Reiner sembra aver capito perfettamente l’atmosfera e riesce a realizzare un film capace di commuovere e divertire al tempo stesso. La sequenza della gara di torte e conseguente vomitate a catena è passata alla storia. Reiner riesce a doppiare questo suo successo quattro anni dopo Misery Non deve Morire con James Caan e una straordinaria Kathy Bates che per questo suo ruolo vinse sia l’Oscar che il Golden Globe. La storia questa volta ha venatura molto più horror e anche un po’ pericolosamente autobiografiche. Lo scrittore Paul Sheldon viene rapito da una sua fan che lo vuole convincere a non uccidere la protagonista dei suoi romanzi, la Misery del titolo. La donna, inizialmente docile e servizievole, si rivela una pazza scatenata che non esista a spezzare le gambe al suo idolo pur di leggere altri suoi romanzi. Un successo clamoroso sia di critica che di pubblico, capace di incassare più di 60 milioni di dollari al fronte di una spesa, per l’epoca piuttosto ridicola, di 20. Il film, come detto, lancia definitivamente Kathy Bates che ritroviamo cinque anni dopo ne L’Ultima Eclissi, curioso film tratto da Dolores Claiborne, diretto dal regista di Ray, Taylor Hackford. La storia è un lungo e doloroso flashback in cui la protagonista, una governante, tenta di discolparsi con la figlia dell’omicidio della sua padrona. La storia, ancora una volta non strettamente horror, è molto bella e affascinante, gli interpreti sono eccezionali (oltre alla Bates ci sono Jennifer Jason Leigh, Christopher Plummer, John C. Reilly e David Strathairn); quello che manca è proprio una regia efficace e capace di esaltare una trama fatta più d’atmosfere che altro. Un esperimento riuscito a metà.
The Mist è un buon monster movie che riesce nella difficile impresa di spostare l’attenzione dai mostri esterni a quelli che si celano dietro delle persone “normali” all’interno del supermercato. È però l’ultimo film tratto da King degno di nota.
Concludiamo con il regista che forse più di chiunque altro è stato in grado di capire la poetica kingiana e trasportarla su grande schermo. Parliamo di Frank Darabont, che forse molti di voi conoscono per essere stato fino alle metà della seconda stagione lo showrunner di The Walking Dead. Darabont, dopo aver esordito con una serie di sceneggiature di film horror come quelle di Nightmare III: I Guerrieri del Sogno e Blob – Il Fluido che Uccide, nel 1994 scrive e dirige Le Ali della Libertà, tratto dal racconto Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank compreso in Stagioni Diverse, lo stesso libro che conteneva Il Corpo. Si tratta di un film carcerario che racconta la storia di Andy Dufresne, un detenuto accusato di aver ucciso la moglie che però si dichiara innocente, e della sua rocambolesca fuga dal durissimo carcere di Shawshank. Anche Le Ali della Libertà, come già Stand By Me, non è un horror ma ha molte delle caratteristiche portanti della poetica di King. Un film che più classico non si può, da un certo punto di vista estremamente prevedibile ma al tempo stesso godibile e ben realizzato. Evidentemente Darabont apprezza quel tipo di romanzo e King apprezza il lavoro del regista, tant’è che cinque anni dopo esce Il Miglio Verde.
Anche in questo caso si tratta di una storia ambientata in un carcere anche se questa volta il fattore “soprannaturale” è ben più forte. La storia è quella del rapporto tra la guardia carceraria Paul Edgecombe e il gigantesco detenuto John Coffey, un ragazzo nero accusato di aver ucciso due bambine. Quest’ultimo si scopre poi essere ovviamente innocente ma soprattutto dotato della capacità di riportare in vita le persone o di guarirle da terribili malattie. Un altro filmone di quelli incredibilmente classici con Tom Hanks nella parte della guardia e il recentemente scomparso Michael Clarke Duncan nella parte di Coffey. Anche Il Miglio Verde va benissimo e segna dunque definitivamente il rapporto tra Darabont e King. La loro collaborazione vanta ancora un altro titolo, The Mist del 2007. Questa volta arriviamo definitivamente in territori horror, con un gruppo di uomini e donne assediati in un supermercato e minacciati da una strano banco di nebbia che sembra contenere degli orribili tentacoli. Nel cast c’è Thomas Jane, protagonista di un altro film kinghiano, il delirante L’Acchiappasogni di Lawrence Kasdan, affiancato da Marcia Gay Harden e Toby Jones. The Mist è un buon monster movie che riesce nella difficile impresa di spostare l’attenzione dai mostri esterni a quelli che si celano dietro delle persone “normali” all’interno del supermercato. Ma soprattutto lo si ricorda per un finale decisamente pessimista e molto crudo. The Mist è però l’ultimo film tratto da King degno di nota; al momento sono in preparazione il rifacimento di L’Ombra dello Scorpione e di It, forse i romanzi più belli del Re del Terrore, ma tra i più difficili da realizzare al cinema. Non è un caso che quelli già esistenti siano decisamente orribili. Staremo a vedere.
Immagine: una scena di Shining