Cultura | Editoria

Il caso Star Comics

Intervista a Cristian Posocco e Renato Franchi, publishing manager e responsabile marketing e comunicazione di Star Comics, "la casa editrice dei manga" che da qualche giorno è entrata a far parte del gruppo Mondadori.

di Francesco Gerardi

Un'immagine di Kaiju No. 8, manga di Naoya Matsumoto edito in Italia da Star Comics

La scorsa settimana il panorama editoriale italiano è cambiato. Mondadori ha comprato il 51 per cento di Edizioni Star Comics, casa editrice che dagli anni Novanta ha costruito il suo successo anche e soprattutto sui manga. Portando in Italia titoli come Ken il guerriero, Dragon Ball, Saint Seiya, Ranma ½, Maison Ikkoku, ONE PIECE, Shaman King, Detective Conan, My Hero Academia e Kaiju No. 8, Star Comics ha contribuito al riconoscimento del fumetto come prodotto culturale di massa anche nel nostro Paese, storicamente abituato a considerarlo una forma di narrativa minore. Dell’acquisizione da parte di Mondadori, dei manga che scalano le classifiche di vendita e delle trasformazioni del mercato editoriale abbiamo parlato con Cristian Posocco e Renato Franchi, rispettivamente Publishing manager e Responsabile marketing e comunicazione di Star Comics.

Vorrei cominciare da una notizia che ho letto in questi giorni, quella di Tuttolibri e Robinson che decidono di escludere i fumetti dalle classifiche generali. Che ne pensate?
Renato Franchi: Per il momento non ci risulta li abbiano esclusi, solo che in questa settimana, che è la prima in cui è stata istituita una classifica specifica per fumetti, il primo fumetto della generale era all’undicesimo posto. Non figuravano [i manga, ndr] nella top ten ma semplicemente perché non c’erano, non perché erano stati espunti.

Cristian Posocco: Quello che noi abbiamo sempre sostenuto, anche con Aie [Associazione italiana editori, ndr], è che è giusto che i fumetti abbiano una loro categoria ma che è anche giusto che il computo finisca poi nella categoria generale e i manga se la vedano con tutti gli altri.

Ma secondo voi è il segno che in Italia c’è ancora resistenza ad accettare il fumetto come parte della cultura?
Franchi: Per anni la rilevanza del fumetto è stata sottovalutata nel nostro Paese, questo è innegabile. Anche perché i risultati che facevano i fumetti non andavano in classifica, facevano un percorso diverso, stavano nei negozi specializzati, che non sono rilevati e non lo sono tuttora. Adesso la diffusione è tale che la rilevanza culturale non può più essere messa in dubbio.

Posocco: No, credo che le cose ormai siano cambiate. All’Aie hanno studiato per la prima volta il fenomeno fumetto e sono esterrefatti. Non solo dai numeri ma anche dall’identikit del lettore di fumetto. Una volta si pensava fossero lettori di serie B e ora invece si è capito che sono i maggiori consumatori culturali in Italia. All’ultimo Salone del Libro di Torino, in tutti gli eventi ai quali ho partecipato ho percepito un chiaro cambiamento dell’aria. Verso il fumetto e verso di noi come casa editrice. Che la Rizzoli Galleria di Milano, un tempio della cultura editoriale in Italia, ci abbia invitato due volte a fare delle presentazioni, e che abbiano dedicato un intero piano solo al fumetto, già solo questo la dice lunga. Tanto più che c’è anche l’attenzione dei media generalisti, che fanno a gara per fare articoli sui manga.

Eppure meno di un anno fa Walter Veltroni scriveva quell’editoriale sul Corriere.
Posocco: Ma non era male! Già il fatto che ne avessero parlato… Si vedeva che non lo conosceva, ma comunque non lo condannava. Un passo avanti notevolissimo. E dopotutto non è che possiamo aspettarci l’accettazione da parte di tutti gli ultra sessantenni. Perché il fumetto è una forma di consumo culturale molto complessa da approcciare. Hai due aree differenti, quella del testo e quella dell’immagine da attivare, il manga è particolare perché ha immagini molto narrative e molto simboliche e il testo non ti aiuta a capire quello che dice l’immagine. Quindi non condannerei chi non li capisce ma non li condanna. Quell’editoriale comunque è stato un momento positivo.

Qual è il ritratto del lettore di fumetti in questo momento, se è possibile farne uno?
Franchi: È sempre una generalizzazione perché già quando diciamo fumetto stiamo generalizzando: il manga non è i comics, i comics non sono i graphic novel. Sicuramente c’è del lettorato nuovo, giovane, che durante la pandemia si è avvicinato al mondo manga e anime. La transmedialità, che in Giappone è abbastanza organica, ci ha dato qualcosa sicuramente. La cosa che stupisce i librai è proprio che i manga portino a leggere i ragazzini, cosa che nel mondo recente del fumetto è una novità. È esistito sempre un pubblico fidelizzato, ma accanto a questo adesso c’è una generazione di lettori nuovi che si sta avvicinando per la prima volta sia ai nuovi titoli che ai classici. Penso alla nostra riedizione di Rocky Joe.

Posocco: I dati Aie dicono che il lettore di fumetti è molto più lettore di libri rispetto alla media nazionale italiana, poi. Praticamente più di otto su dieci di quelli che leggono fumetti leggono anche romanzi e saggistica e consumano molta altra cultura. Il fatto del fumetto è che fa parte di un immaginario, quello nerd, diciamo così, che rappresenta le nuove mitologie che per loro natura si incarnano in molti media diversi, e questo si riflette nei consumi dei nuovi lettori.

[A questo punto Renato Franchi ci lascia, ha un altro impegno al quale non può mancare e la conversazione prosegue con Cristian Posocco]

Forse attraverso i manga stiamo capendo che non esistono più i cosiddetti lettori forti ma consumatori culturali forti, che si muovono indifferentemente tra i media.
Bisogna seguire un po’ tutti i fattori. La transmedialità è quello fondamentale, perché dà al pubblico la possibilità di esplorare il personaggio senza finire l’esperienza con la lettura o comunque nel medium di partenza. Noi siamo stati aiutati da questa nuova vita che hanno avuto le serie animate giapponesi sulle piattaforme streaming. C’era già stato un rilancio anni fa da parte delle piattaforme dedicate agli anime, poi durante la pandemia è diventato impossibile produrre nuovi live action e i grandi player hanno cominciato a ripiegare sull’animazione. Si è rivissuto un po’ quello che è successo negli anni Ottanta e Novanta, con la differenza che mentre i ragazzini che leggevano manga e guardavano anime all’epoca erano un po’ osteggiati dai genitori, ora i genitori condividono quei consumi culturali e chiedono consigli su cosa comprare ai figli.

In questo consenso c’entra anche il fatto che i protagonisti di molti manga contemporanei sono eroi, come dire, senza macchia e senza paura. Figure rassicuranti per tutti. Penso a Kanjiro di Demon Slayer.
In Demon Slayer c’è anche il tema della compassione per il nemico che è estremamente importante, soprattutto se consideri che viene da una cultura come quella giapponese. Ma pensa anche a My Hero Academia. Il percorso del protagonista ricalca semplicemente le fasi della crescita, inserendo il tutto in una intelligentissima summa di tante scuole e stilemi. Un errore della narrativa per adulti, ma anche di quella per ragazzi, in Occidente è quella di aver paura di parlare di emozioni, di adolescenza. Quanti fumetti occidentali sono ambientati a scuola, per esempio?

Non a caso un prodotto per ragazzi entrato davvero nell’immaginario collettivo negli ultimi 20 anni, forse l’unico a esserci riuscito, è Harry Potter.
E non è un caso, infatti. E anche in Harry Potter non c’è paura di mostrare le emozioni. I manga piacciono ai ragazzi perché mostrano emozioni travolgenti come quelle degli adolescenti, usano un linguaggio che questi ultimi capiscono. Il fatto è che questo è un modo di fare letteratura che una volta che ti appassiona, non lo lasci più. Nemmeno quando hai 40 anni. Ecco perché sono prodotti trasversali.

Come si sceglie un nuovo titolo da portare in Italia?
Bisogna essere curiosi. Guardare i numeri, i contenuti, i mutamenti sociali. Per la scelta di un titolo manga si tratta di capire quanto bene riesca a narrare per immagini, quanto efficacemente riesca a creare ritmo. Poi va tutto incrociato con le reazioni dei lettori. Oltre alle vendite possiamo misurare, tramite certe serializzazioni online, le visite e i commenti, vedere se una cosa diventa virale sui social. I momenti di grande successo del fumetto, poi, storicamente vengono in fasi di grande difficoltà per il mondo. Demon Slayer ha dato una sensazione di sicurezza al popolo giapponese durante la pandemia. E ora c’è la guerra. In questo scenario abbiamo bisogno di un personaggio come Kafka di Kaiju No. 8, l’eroe imbattibile, l’amico ideale, il fratello perfetto, la lettura è sia gratificante che rassicurante. La scelta si basa anche su questi criteri.

Come funziona il vostro lavoro sui social? Quelli della Generazione Z, penso a TikTok, sono pieni di rimandi agli anime e ai manga, per esempio.
Per i social abbiamo due social media manager ufficiali, un’altra persona che li supporta, poi Renato Franchi che coordina il tutto, e io che non mi sottraggo. È una parte del lavoro fondamentale. Devi far conoscere quello che fai. Non puoi fare fumetti e aspettare che si vendano da soli. E devi farti conoscere come brand. E il luogo in cui farlo adesso sono i social. In questi giorni, dopo la notizia di Mondadori, ho sentito persone che dicevano che magari adesso si vedranno le pubblicità dei manga in televisione. Ma io penso che ormai non sia più così importante, che il focus debba essere su altri canali.

E il rapporto con editori e autori giapponesi?
Con gli autori, mediamente, non ci sono rapporti diretti. Con gli editori, soprattutto con quelli più grandi, esiste tutto un cerimoniale abbastanza complesso. Non bisogna solo conoscere i manga, il panorama editoriale giapponese e quello italiano, ma anche come avere a che fare con gli editori giapponesi. Di solito, i rapporti con le case editrici si tengono tramite mediatori, agenzie. Possono essere delle esterne, che lavorano in esclusiva per quell’editore o con più editori. Oppure si ha a che fare il dipartimento licensing interno, che fa da tramite anche con la redazione.

I fumetti stanno anche diventando oggetti del desiderio. Penso alla Fashion Variant di Jujutsu Kaisen, per esempio, o al box per il centesimo numero di ONE PIECE. Come funziona la parte del vostro lavoro che riguarda il design?
Abbiamo un designer, Fabrizio Verrocchi, che si occupa di tutte queste cose. Lui ha lavorato a lungo nella moda ed è un nerd super appassionato, ama lavorare su queste cose. Per quanto riguarda, per esempio, ONE PIECE 100, è un oggetto in cui abbiamo sempre cercato di coniugare la qualità – volevamo fare una cosa preziosa, uno scrigno, un oggetto di design – e il prezzo più basso possibile, perché anche questa è una questione fondamentale, quella del prezzo. Non volevamo sembrasse una fonte di guadagno per noi, volevamo una festa per i lettori e un’occasione di branding per noi. Mantenendo sempre la nostra anima di editore popolare.

Quella del prezzo, con la trasformazione del fumetto in un prodotto da libreria, sta diventando in effetti una questione. Pensi la strada sia ormai decisa, edicola e fumetteria diventeranno canali distributivi minori e il grosso si farà in libreria?
L’edicola va contraendosi da anni. È un meccanismo distributivo che è stato molto efficace storicamente ma che oggi, per un certo tipo di fumetto, non è più quello che funziona. Soprattutto se ci si rivolge a un pubblico che, come dicevamo prima, vuole anche un bell’oggetto. Per esempio: noi se distribuiamo qualcosa in edicola non mettiamo la sovracoperta, perché, per come funziona quella catena distributiva, si rovinerebbe. Per quanto riguarda la libreria di varia e la fumetteria, io non credo siano in competizione. Credo facciano arrivare al fumetto pubblici diversi. La fumetteria è diventata identitaria, diciamo così. Mentre le librerie di varia sono state una vetrina senza la quale il boom non sarebbe avvenuto. Per i prezzi: avere più edizioni da libreria non vuol dire eliminare quelle economiche. Si aggiungeranno edizioni, non il contrario. Quando abbiamo annunciato le storie brevi del maestro Fujimoto [autore di Fire Punch e Chainsaw Man, ndr], abbiamo subito detto che avremmo realizzato due edizioni contemporanee: tankobon classico, poco prezzo, e deluxe cartonato. Per noi è un’operazione nuova, un esperimento. Il pubblico sceglierà.

Non posso non farti una domanda su Mondadori. Cosa cambierà ora che fate parte di uno dei più importanti gruppi editoriali italiani?
Cambia la proprietà e quindi cambierà il lavoro burocratico-amministrativo. Per quanto riguarda tutto il resto, dallo scouting al licensing, dalla produzione alla comunicazione, siamo sempre noi. Ci stiamo espandendo ma lo stavamo facendo già prima. Saremo sempre più proiettati su promozione, comunicazione, eventi, per andare ad affermare con sempre maggior vigore che il fumetto è cultura, è letteratura. In modo che non si possa più tornare indietro.