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Soul City, storia di un’utopia diversa da tutte le altre

Nel 1969 il leader dei diritti civili Floyd McKissick decise di costruire una città aperta a tutti ma pensata a beneficio dei neri: un libro ripercorre la sua impresa.

di Enrico Ratto

Quando ci sono di mezzo le utopie, non è mai chiaro il confine tra ambizione personale ed il desiderio di spostare un poco più in là l’asticella di un impianto sociale che non funziona come dovrebbe. Siamo nel 1969 e Soul City è una comunità del North Carolina immaginata da Floyd McKissick, avvocato afro-americano impegnato nella difesa dei diritti civili e direttore esecutivo del Congress for Racial Equality. È il luogo dove, attraverso il “capitalismo nero”, si sarebbe dovuta realizzare la punta di diamante dell’uguaglianza razziale. Cinquant’anni dopo, raccontare il suo fallimento non sarebbe una notizia, se non fosse che Soul City è stata affossata – pare – dal fuoco amico dei liberal americani.

Di recente, la sua storia è stata ripercorsa nel libro Soul City: Race, Equality, and the Lost Dream of an American Utopia del giornalista e professore di diritto Thomas Healy, che ha raccolto in modo dettagliato l’evoluzione di questo esperimento sociale e, soprattutto, economico. Una breve parentesi sul contesto, quello di oggi. Da qualche mese, la produzione culturale – editoria, serie tv, reportage fotografici – si sta interessando alla storia delle utopie. Sarà il momento storico, che mette in cima alle priorità la trasformazione dei modelli economici e sociali ma, questa volta, non su scala globale come succedeva alla fine degli anni ’90, piuttosto osservando piccoli esperimenti territoriali, certo non per replicabili, di sicuro ricchi di dettagli a cui ispirarsi per un eventuale piano b. Come dire che una possibilità esiste, ecco come è andata ed ecco gli errori commessi. Il libro che Thomas Healy ha dedicato a Soul City non è una storia ispirazionale, non ci sono ingenui eroi sconfitti dal sistema, ci sono persone di potere che hanno fatto una serie di di valutazioni errate e sono caduti in una serie di imboscate politiche dalle quali nessuno è stato capace di tenersi alla larga.

La fondazione di Soul City inizia con quattordici milioni di dollari del New Communities Act, un fondo del governo americano che destinava fino a cinquanta milioni di dollari per progetti di New Town e sviluppo urbanistico. Esempi paralleli a Soul City, di successo e sviluppati con gli stessi fondi, sono stati l’enclave (per ricchi) di Woodsland in Texas o l’urbanizzazione della Roosevelt Island di New York. Soul City non nasce come una comune borderline perennemente sotto la lente di autorità ed istituzioni, in cerca di un passo falso per radere tutto al suolo. La “città nera” del North Carolina si sviluppa grazie ad un accordo tra Floyd McKissick, il governo e le banche. L’avvocato McKissick aveva fatto un ragionamento a ritroso, dall’effetto alla causa: per realizzare lo sviluppo urbano dev’esserci capitale, e per ottenere capitale dev’esserci ricchezza. Era un pragmatico, quando annunciò i suoi piani per Soul City disse che Abraham Lincoln «non aveva liberato gli schiavi, li aveva licenziati». 

Così la nuova città sarebbe stata nata sull’ideale dell’uguaglianza, certo, ma per funzionare avrebbe dovuto perseguire l’accumulo di ricchezza. Naturalmente non c’era grande disponibilità di capitale tra la società afroamericana, non c’erano società ad alta capitalizzazione – quindi in grado sponsorizzare la costruzione di una intera città – guidate da neri. E a chi poteva rivolgersi Floyd McKissick, se non alle banche dei bianchi? I quattordici milioni del fondo New Communities Act erano piccola cosa rispetto agli obiettivi del progetto, era necessario attingere all’unico sistema finanziario esistente: quel capitalismo che, secondo Floyd McKissick, aveva problemi, era vessatorio, provocava diseguaglianze ed aveva certamente bisogno di una riforma, ma nell’immediato era l’unico sistema disponibile. Le banche avrebbero contribuito alla redistribuzione della ricchezza, cosa che dovrebbe competere al governo.

Da parte loro, le banche, videro in Soul City e nel “black capitalism” una possibilità di sviluppo per un’area del Paese depressa, priva di industria e lasciata fuori dai piani di sviluppo. Se si alza la marea, se si dà spinta al capitale, ci saranno benefici per tutti, è questo che pensava Floyd McKissick ed è così che ha cercato di convincere i banchieri. L’avvocato per i diritti civili è ricorso al mantra più ripetuto del sistema capitalista, valido in tutte le occasioni, in questo caso anche per fare le rivoluzioni. Secondo i piani, Soul City avrebbe raggiunto i 44.000 abitanti residenti e i 24.000 posti di lavoro entro il 2004.

«McKissick voleva dimostrare ai bianchi che detenevano le leve del potere che, se avessero lavorato insieme a lui, avrebbero potuto migliorare la vita di tutti in quella zona. La maggioranza delle persone in quell’area erano neri, quindi avrebbero migliorato la vita più dei neri che dei bianchi. Ma i funzionari bianchi volevano che anche la vita dei bianchi potesse migliorare. Insomma McKissick, attraverso le convinzioni più profonde del capitalismo, mostrò loro come migliorare la vita di tutti», spiega Thomas Healy in una intervista rilasciata a Bloomberg.

Con questo impianto ben collaudato, chi ha affossato Soul City? Floyd McKissick aveva molti amici tra industriali e banchieri e fu a loro che presentò il suo progetto. Secondo Thomas Healy, personaggi del calibro di Ted Kennedy promisero appuntamenti con banchieri che non si concretizzarono in nulla. Ma anche Nelson Rockefeller, repubblicano liberale, promise senza mantenere. Al di là di nomi e cognomi, è stato l’obiettivo di raggiungere una integrazione al contrario a portare Soul City al fallimento, prima di tutto economico.

Secondo i piani, Soul City avrebbe raggiunto i 44.000 abitanti residenti e i 24.000 posti di lavoro entro il 2004

«Tutti pensano all’integrazione nei termini dei bianchi, 80% bianchi e 20% neri», continua Thomas Healy. «Nessuno può concepire un’integrazione dove i neri costituiscono l’80% e i bianchi il 20%», che è ciò che Soul City sarebbe stata. McKissick voleva l’autonomia e voleva che i neri avessero il controllo del proprio destino economico. Il problema è che le istituzioni bianche erano disposte a farlo solo se assomigliava a come loro pensavano dovesse apparire l’uguaglianza. Oltre ai 14 milioni federali, Soul City riuscì ad ottenere 500 mila dollari dalla First Pennsylvania Bank, e qualche milione da donazioni private. Nel 1980, la città di Floyd McKissick entrò in crisi, il governo versò 10 milioni di dollari per ripianare i debiti, e nello stesso momento Floyd McKissick prese l’impegno di abbandonare il progetto Soul City.

Perché qualcuno ha pensato che costruire una città fosse uno strumento valido per perseguire l’obiettivo dell’accumulo di ricchezza, e per trasformare un sistema non considerato equo? Perché non un’impresa o qualsiasi altra forma di organizzazione? Stiamo parlando ancora di quel sottile confine – tipico delle utopie – tra ambizione personale, obiettivi di potere, ed impegno al servizio della comunità. Floyd McKissick non si arricchì personalmente con il progetto Soul City, questo dicono i fatti e lo scrivono i biografi.

Ma perché una città? L’avvocato McKissick aveva osservato la ricostruzione dei villaggi rurali francesi dopo la Seconda Guerra Mondiale, e si era convinto che attraverso la costruzione di una città, la trasformazione può avvenire in modo più ampia e più radicale. Se un’impresa produce ricchezza, la città è in grado di aggregare diversi sistemi di produzione di ricchezza, con un risultato superiore alla somma dei singoli. In quel modello di città tutto poteva essere gestito dagli afroamericani: dal privato al pubblico, dalle imprese al commercio, dai vigili del fuoco al sistema sanitario, alle scuole. E, per agire in modo radicale, bisognava partire da zero, da un sistema non ancora condizionato dai bianchi: posare i semi di una utopia in un quartiere esistente – per esempio Harlem – avrebbe prodotto un sistema ibrido, che poi è un altro modo per definire l’integrazione parziale, di parte. Solo che, se vuoi partire da zero, non dovresti bussare alla porta di un sistema bancario che ti ha impoverito fino al giorno prima. Ma questo è il senno del poi, il modo meno utile per raccontare la storia di un’utopia.