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Andrea Bajani ha vinto il Premio Strega 2025 con L’anniversario Feltrinelli torna alla vittoria 20 anni dopo l'ultima volta.
La Bbc non ha voluto trasmettere un documentario sui crimini dell’Idf contro i medici di Gaza Documentario che la stessa Bbc aveva commissionato. Si intitola Gaza: Doctors Under Attack e alla fine è andato in onda su Channel 4, tra le polemiche.
Per vincere le elezioni adesso Marine Le Pen punta sull’aria condizionata per tutti Una proposta che ha acceso il dibattito politico, in uno dei Paesi, la Francia, meno climatizzati d'Europa.
Luca Guadagnino sta cercando delle comparse molto specifiche per il misterioso film che girerà quest’estate in Piemonte Se avete la carnagione molto chiara o siete amanti di videogiochi, potrebbe essere la grande occasione per esordire al cinema.
La Lidl ha fatto una giacca limited edition dedicata agli Oasis e l’ha chiamata Lidl By Lidl Prende ispirazione da una giacca cult indossata da Liam, quella di Berghaus, di cui è volto pubblicitario.
L’uomo Del Monte ha dichiarato bancarotta L’azienda ha grossi debiti perché i consumatori statunitensi hanno cominciato a cercare cibi più sani, facendo diminuire molto le vendite. 
La sentenza del processo Diddy è molto più complicata di come la si sta raccontando È vero che è stato assolto dalle accuse più gravi, che gli facevano rischiare l'ergastolo. Ma è vero anche che rischia fino a 20 anni di carcere.
Il Dalai Lama sta per compiere 90 anni e Cina e Tibet già litigano per il suo successore Lui ha detto che il suo successore non nascerà sicuramente in Cina, la Cina lo ha accusato di essere «un manipolatore».

Sharp Objects: raccontare l’orrore con eleganza

Perché guardare la miniserie thriller Hbo con Amy Adams.

18 Luglio 2018

Sharp Objects è una miniserie Hbo di otto puntate tratta dall’omonimo romanzo di Gillian Flynn che approda su Sky Atlantic dal 17 settembre. Proprio come Gone Girl, altro best seller della scrittrice ex critica televisiva trasformato in un film diretto da David Fincher, la trama di Sharp Objects ruota intorno a un personaggio femminile negativo, carismatico e inquietante e a un’indagine che coinvolge l’intera comunità. Ma a differenza della psicopatica e crudele protagonista di Gone Girl, Camille è una giovane donna solitaria e autolesionista che si veste soltanto di nero e grigio scuro, ha lo schermo dell’iPhone perennemente distrutto e l’abitudine di dissetarsi con piccole bottigliette di vodka che porta sempre con sé. Era dai tempi di Mad Men che non vedevo tanto alcool e tante sigarette in una serie tv. Ma qui a fumare e bere senza soluzione di continuità non è il tormentato e geniale Don Draper, ma la tormentata e geniale Camille.

Interpretata da una superba Amy Adams cupa e appesantita, Camille è una giornalista che vive e lavora nella città di St. Louis ma proviene da un minuscolo paesino che si chiama Wind Gap, luogo in cui il suo caporedattore la costringe a tornare per scrivere dell’omicidio di un’adolescente e la sparizione di un’altra, avvenute proprio lì. Aspirante Truman Capote, Camille torna suo malgrado nel luogo dove è cresciuta, che detesta con tutto il suo cuore. Girando per le tristi strade di provincia con la sua automobile sgangherata inizia a osservare, indagare e raccontare. Ovviamente, come presto apprendiamo (eppure ormai dovremmo saperlo fin dall’inizio: non funzionano così tutte le serie tv dell’universo?) il suo passato nasconde un trauma che rivela importanti legami con il presente. Sempre ubriaca e stremata, Camille è continuamente tormentata dalle immagini del passato, remoto e recente. A questo si somma il violento contrasto con la madre, che vive insieme al marito e la sorellastra di Camille in un’enorme villa turchese, una specie di casa per le bambole a grandezza umana dove il tempo pare essersi fermato. La madre, che ancora non ha superato la morte della sorellina di Camille, avvenuta molti anni prima, ostacola le indagini della figlia, accusandola di voler rimestare nella sofferenza, mentre suo marito, un uomo passivo con la mania di ascoltare musica classica a tutto volume, vive completamente soggiogato dalla moglie. Ma il personaggio più affascinante è la sorellastra adolescente Amma, che (altro topos) conduce una doppia vita: bambolina della mamma a casa, conturbante mean girl fuori.

Oltre al topos dell’indagine sulla teenager brutalmente uccisa (Twin Peaks è un esempio tra tanti), di cui appaiono in dissolvenza una serie di immagini di quando era viva, bionda e sorridente, compare qui anche un altro ricorrente tipo letterario e cinematografico, quello del personaggio intelligentissimo e autolesionista, che non riesce a perdonarsi per misfatti che in realtà ha subito in condizioni di totale innocenza durante l’infanzia, e quindi si riempie di tagli. Basta chiudere gli occhi e le troviamo lì, confuse e sedimentate nella nostra memoria, tutte le scene che abbiamo letto e visto in cui la manica della bellissima ragazza (o del bellissimo ragazzo) si solleva leggermente lasciando scorgere varie cicatrici, e l’innamorato, l’innamorata o la madre afferrano l’esile polso sollevando con irruenza il tessuto e pronunciando col terrore negli occhi domande tipo: «E questi, cosa sono?». Se l’autolesionismo è così inflazionato, soprattutto nei prodotti per teenager, è perché è facile da raccontare attraverso le immagini. Un cliché di cui i libri, i film e le serie tv hanno abusato e che, conseguentemente, diventa sempre più difficile da descrivere senza provocare una sensazione di piattezza e deja-vù.

Un romanzo recente che tratta il tema dell’autolesionismo in maniera impeccabile è lo straordinario Una vita come tante di Hanya Yanagihara, la cui capacità di raccontare l’orrore con grazia e delicatezza, senza per questo renderlo meno sconcertante, mi ha ricordato quella del regista di Sharp Objects, Jean-Marc Vallée (lo stesso di Big Little Lies). Tra le 838 pagine scritte dalla editor del T Magazine, pubblicate da Sellerio nel 2016, si trovano dettagliate descrizioni di questo tipo di dipendenza, che ha a che fare con il dolore ma è anche una sorta di rituale e un vero e proprio piacere fisico, in grado di provocare forti scosse di adrenalina (e, nei peggiori scrittori, frasi tipo «tagliarsi era l’unico modo per riuscire a sentirsi viva»). Proprio come in Una vita come tante, anche in Sharp Objects l’autolesionismo del protagonista è un disturbo al quale, inizialmente, assistiamo soltanto noi lettori/spettatori, quando rimaniamo soli in bagno con Jude o Camille: nessuno dei personaggi ne parla o si confronta apertamente con il fatto, finché nella trama qualcosa esplode provocando l’inevitabile confronto. Di Sharp Objects Hbo ha finora trasmesso soltanto le prime due puntate, ma è chiaro – anche per via del titolo – che quella che per ora è solo una caratteristica della protagonista acquisirà importanza.

Il rischio di spoiler, con questa serie, è altissimo (sto infatti cercando di raccontare il meno possibile), perché già i primi due episodi sono dotati di una trama ricca di piccoli e perturbanti così come di enormi e terrificanti colpi di scena. Un’efficacia narrativa per la quale bisogna ringraziare Gillian Flynn, ovviamente, ma anche Marti Noxon (la stessa che ha scritto Buffy – L’ammazzavampiri, un’altra anti-eroina autodistruttiva). Da parte sua Jean-Marc Vallée riesce a creare un’atmosfera al tempo stesso estremamente inquietante ed esteticamente molto appagante. Il suo modo di turbare e terrorizzare lo spettatore è raffinatissimo, sempre elegante, anche quando si tratta di sangue, cadaveri, denti di una tredicenne estratti dall’assassino con delle pinze. Non solo: attraverso il montaggio e gli effetti sonori, Vallée riesce, come una specie di Virginia Woolf della serie tv, a restituire le modalità di libera associazione in cui i ricordi e le nuove idee compaiono e prendono forma nella mente della protagonista, e i profumi, i colori e i suoni si rispondono.

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