Una conversazione libera tra due Millennial su matrimonio gay, diritti acquisiti e diritti da conquistare, vite da privilegiati e vittimismo social, militanze vecchie e nuove e prospettive per il futuro.
Le scarpette di Dorothy sono tornate a casa
«Voglio tornare a casa, voglio tornare a casa» era la formula magica che avrebbe permesso a Dorothy di tornare nel suo lettino ogni volta ne avesse sentito il bisogno. Per far funzionare l’incantesimo, doveva scuotere per tre volte le sue scarpette rosse. Paradossalmente, però, sono state proprio le scarpe a non tornare a casa per ben 13 anni.
Le glitterate décolleté create per essere indossate da Judy Garland durante le riprese de Il Mago di Oz furono rubate nel 2005. Misteriosamente sottratte dal Judy Garland Museum in Minnesota, alla faccia dell’avanguardistico sistema d’allarme, soltanto oggi sono state restituite al legittimo proprietario. Un giallo durato oltre un decennio, il cui colpevole non è ancora stato svelato. A risolvere il caso ci ha pensato l’FBI che, come riportato dal Guardian, sta ancora lavorando «per identificare tutte le parti coinvolte nel furto».

Le rosse scarpette di nuovo al loro posto
Il furto delle scarpette rosse, secondo i dipendenti, ha rappresentato «la cosa più grave mai successa al museo». Le luccicanti calzature, d’altronde, sono uno dei più costosi tra i memorabilia cinematografici. A portarle via dal set fu l’eccentrico Kent Warner, costumista hollywoodiano che era solito rubare gli abiti di scena per poi indossarli nel proprio salotto, mentre la tv trasmetteva in sottofondo il film in questione. Di scarpette rosse in origine ne esistevano oltre sette paia, Warner dichiarò ne fosse rimasto solo uno, mettendosi in saccoccia gli altri sei.
In seguito, le due scarpette superstiti furono acquistate dal cineamatore Micheal Shawn, che decise poi di donarle al museo dedicato all’attrice che le aveva indossate. Generosità non premiata, visto che lo stesso Shawn fu accusato di aver organizzato il furto per poter incassare il premio assicurativo di un milione di dollari. L’accusa è stata poi ritirata e l’innocente collezionista ha incassato ben 800mila dollari d’indennizzo.