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RondodaSosa contro il mondo

Dalla zona sette di San Siro a un tour mondiale, passando per la conversione all'Islam, un Daspo del comune di Milano e la collaborazione con Drake: storia di Rondo, già stella mondiale dell'hip hop.

di Marco Bianchessi

Uno dei brani che più ha definito la carriera di Tupac è stato senza dubbio “Me Against the World”, una canzone simbolo per la storia dell’hip hop dove il rapper losangelino dichiarava la sua solitudine di fronte a un mondo che lo emarginava, e insieme a lui tutte le persone di cui si faceva portavoce con la sua musica. È strano parlare di RondodaSosa facendo riferimento a Tupac: i due non hanno quasi niente in comune, nazionalità, attitudine, approccio, versatilità, nulla. L’unica cosa che li accomuna è questa costante sensazione di abbandono da parte del prossimo, sentirsi outsider e volersi ricavare il proprio spazio all’interno di un mondo che ha deciso di rifiutarli.

Una delle cose che hanno più definito la carriera di Rondo fino a questo a momento è che, nonostante sia uno dei rapper più popolari in Italia, abbia suonato pochissimo dal vivo nel nostro Paese. Ha avuto più possibilità di esibirsi all’estero, in effetti. La ragione? Un Daspo del Comune di Milano, che a partire dall’agosto 2021 ha creato a lui, Baby Gang e altri membri della loro crew Seven Zoo problemi legali e lavorativi. Innanzitutto perché gli è stato impedito di suonare nella loro città, poi perché sull’onda di questa ordinanza altri locali in giro per l’Italia hanno deciso di cancellare loro le date o non invitarli a suonare. Questo ha inevitabilmente influenzato la percezione di Mattia Barbieri, in arte RondodaSosa, che viene molto spesso definito più per questioni extra musicali che legate al suo mestiere. Nonostante ciò, ogni volta che si parla di lui, piaccia o meno, si fa riferimento a uno dei primi casi di rapper italiani davvero internazionali. E questo è il punto di partenza dal quale si deve incominciare se si vuole tracciarne un profilo.

La storia di Rondo parte da Milano, quartiere San Siro, zona sette, una parte di città spaccata in due che si divide tra i grattacieli di City life e la povertà. Nella parte più povera inizia a muovere i suoi primi passi, lui che non voleva neanche rappare, come ha dichiarato in più interviste, perché tutte le persone attorno a lui lo facevano. E proprio la sua crew, la Seven Zoo (composta da Neima Ezza, Sacky, Keta, Kilimoney e Vale Pain) è un elemento centrale nel racconto della sua storia, il gruppo in cui è cresciuto, unico italiano in mezzo a ragazzi immigrati di seconda generazione. Un dettaglio affascinante in questo senso è la sua conversione all’Islam da ragazzino: «Ho sempre frequentato persone musulmane, abbiamo anche aperto una moschea in zona. Durante il ramadan abbiamo dato da mangiare alla gente.  Fin da piccolo sono sempre stato religioso e credevo in Dio, ma la religione cristiana non mi faceva sentire parte di qualcosa in cui credevo appieno, e mi sono ritrovato nell’Islam» (da Noisey Italia – Personal – Rondo).

Questa scelta non ha nessun significato preciso, ma racconta di come Rondo sia sempre cresciuto all’interno di un contesto multietnico e popolare, dove culture e modi di vedere il mondo si mischiano. Probabilmente, anche questo l’ha reso fin da subito ricettivo verso ciò che non era italiano. L’ascesa di Rondo parte nel 2020 quando, da semi sconosciuto (aveva pubblicato giusto qualche pezzo prima, con riscontri buoni ma non eccezionali) arrivò come un uragano sulla scena italiana trainato dall’onda del successo di “Face To Face” (remix di “Exposing Me”, brano del rapper King Von). La prima canzone che riusciva a portare nella penisola in modo credibile quello che allora era il trend del momento: la drill UK, sottogenere della drill nata tra Londra, Chicago e New York, di cui il compianto Pop Smoke è stato la stella più luminosa.

Il riscontro è stato fortissimo, il successo fulminante, e da semi sconosciuto Rondo si è ritrovato prestissimo sulla bocca di tutti. Ma se “Face to Face” è stato l’antipasto, la portata principale è stato “Louboutin”. Un brano scritto insieme al compagno di crew Vale Pain, che grazie a Instagram e TikTok è arrivato su diverse pagine di rap-trap-drill inglesi e americane, proiettando Rondo e il suo rap in un altro mondo: da fenomeno esclusivamente italiano si è ritrovato ad essere sulla bocca degli appassionati di rap di mezzo mondo. Questo è stato il grande snodo della sua carriera.

Ovviamente, come sempre accade in Italia, il successo non viene perdonato, soprattutto se sei giovane, soprattutto se non dai l’impressione di avere quell’umiltà di chi lavora “a testa bassa” che piace così tanto al pubblico italiano. E a questa esplosione di popolarità ne è corrisposta una equivalente di odio. Tante le motivazioni, in parte quelle già dette, e poi altre che hanno a che fare con questioni tecnico-stilistiche. Rondo non è il rapper più forte che c’è in Italia in questo momento, non è il più tecnico, non è il migliore storyteller, non è il migliore a scegliere le basi né a concepire i dischi – il suo recentemente pubblicato TRENCHES BABY è un album mediocre, senza dubbio. Tutte cose verissime, ma questo non toglie il fatto che Rondo è stato capace di leggere i momenti, è stato bravo a capire quale fosse la strada da prendere a livello di suono, di rap, di collaborazioni e di estetica. E questa capacità di lettura è importante quanto tutto il resto.

Rondo ha infatti portato all’estremo la lezione che già era stata di Sferaebbasta, e cioè: il futuro del rap italiano è all’estero. Anche per questo lui non ha nulla o quasi di riconducibile al rap nostrano. La semplificazione del linguaggio è una storia vecchia che parte, per esempio, da Fabri Fibra, ma lui la porta su un altro livello, rappando come se stesse scrivendo su Instagram a un suo amico. E quindi l’italiano è mischiato con l’inglese. Esempio:

Hoes, chick, thot, gunman (grrah)
Non mi faccio beccare mai lacking (what?)
Dentro il bag, ho il chinga nelle palle
Il mio jiggy ti mette in un toast

Dal testo di “Sturdy”

Lo slang che utilizza è americano, le tute che indossa arrivano dalla moda UK (talvolta il fornitore invece è Drake: Rondo è stato infatti uno dei volti scelti per l’ultima collezione di OVO) e le bandane sono quelle delle gang latine degli Stati Uniti. C’è puzza di appropriazione culturale? In teoria sì, in pratica, però, vista l’approvazione che ottiene al di fuori dall’Italia anche da artisti affermatissimi, viene da chiedersi se il problema non esista solo per chi non vuole riconoscerne le capacità. Rondo parla un linguaggio comune a tutti gli appassionati di rap nel mondo, che spesso vogliono/cercano le loro passioni o ciò che è simile alle loro passioni ma viene da altre parti del pianeta. E non è un caso che proprio grazie a questo esperanto linguistico/stilistico che condivide con il resto d’Europa e del mondo, Rondo sia il primo rapper italiano a essere invitato al RollingLoud in Portogallo (uno dei festival rap più importanti del mondo), faccia collaborazioni con rapper giganteschi come Central Cee e abbia annunciato anche un tour mondiale che lo porterà in Canada per un paio di live, mentre in Italia non ha neanche riempito l’Alcatraz – un’assurdità, a pensarci.

Per un rap perennemente alla ricerca della propria identità come quello italiano, fa specie che il proprio esponente più rappresentativo al di fuori dei confini sia uno che non ha niente di italiano e tutto di straniero. Il percorso di Rondo racconta meglio di tante discussioni che cosa sia oggi l’hip hop/il rap/la trap/la drill per i giovani, un terreno universale di comunicazione all’interno della quale si possono muovere e nella quale si riconoscono. E se questo da una parte riduce le peculiarità territoriali, dall’altra permette successi inimmaginabili fino a pochi anni fa.